"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L'Ulisse venuto dai Balcani

Bekim Fehmiu e Irene Papas

Questo articolo appare oggi come editoriale sul quotidiano "L'Adige" in occasione dell'evento dedicato a Bekim Fehmiu, l'Ulisse venuto dai Balcani 

di Michele Nardelli

(28 ottobre 2012) Sapevamo di esplorare un territorio immenso. Quando abbiamo scelto il tema del "limite" per il nostro indagare sulla pace avevamo consapevolezza che non avremmo scavato solo sulla questione - peraltro centrale - della limitatezza delle risorse all'origine delle guerre moderne. Il "limite" riguarda i nostri modelli di sviluppo, i consumi e gli stili di vita, le barriere che ci siamo dati nel diritto di circolazione delle persone (i confini), l'esplorazione dei territori della ricerca e dell'eticamente lecito, le nostre vite di corsa...

Abbiamo iniziato con il Leopardi del fiore del deserto, la Ginestra, la cui delicatezza si accompagna alla forza della sua natura. Quel monito "del ritornar ti vanti e procedere il chiami", tanto profetico quanto inascoltato, risuona oggi in tutta la sua attualità di fronte ai deliri del "secol superbo e sciocco" - che si chiamino Eternit, Ilva o Chernobyl ha poca importanza - che abbiamo avuto e lasciamo in eredità.

Incontrando la poetica di Andrea Zanzotto, figlio di quel Veneto che forse più di ogni altra regione italiana ha visto sfigurare il suo volto sotto i colpi di uno sviluppo senza qualità, il limite è diventato lo strumento di indagine sul paesaggio che entra nelle nostre vite. Ci ha narrato di una terra in preda allo spaesamento, di un "progresso scorsoio",  incapace di interrogarsi sul futuro, e di una solitudine che diventa paura.

Non potevamo ignorare il mare, quel Mediterraneo che per secoli è stato il limite dello sguardo, l'orizzonte nel quale si incontravano (non senza conflitti) saperi e culture straordinarie e che oggi - paradosso del progresso - fa da scenario alla moderna tragedia del nostro tempo che, insieme alle speranze, inghiotte le vite di migliaia di diseredati. In queste rive nascono anche inedite primavere, che pure non abbiamo saputo ascoltare nel loro rifiuto di essere complici di uno scontro di civiltà funzionale solo a descrivere le nuove forme dell'esclusione.

Così abbiamo incontrato l'Ulisse, la metafora del grande viaggio dell'uomo alla ricerca del mondo e di se stesso.

"Né pietà di padre, né tenerezza di figlio, né amore di moglie
Ma misi me per l'alto mare aperto
Oltre il recinto della ragione,
Oltre le colonne che reggono il cielo,
Fino alle isole fortunate, purgatorio del paradiso".

L'Ulisse è l'eroe umano di cui ci ha parlato Vinicio Capossela nel suo "Marinai, profeti e balene". Un racconto intorno all'uomo, che non si sottrae alla ricerca della conoscenza, ma che pure la teme perché consapevole che la conoscenza è dolore. L'Ulisse è il simbolo dell'esilio (o del moderno migrare), diviso fra il cercar fortuna e i Centri di
Permanenza Temporanea, fra le sirene e la realtà. Ci parla della saggezza del tornare sui propri passi ma anche del desiderio di riprendere il mare aperto, attratto alfine dal mito dell'eternità, quasi ci si potesse bagnare due volte nelle stesse acque. E dunque del naufragio e della solitudine.

L'Ulisse nella memoria delle persone della mia generazione ha un volto. E' quello di Bekim Fehmiu e della sua interpretazione dell'Odissea televisiva alla fine degli anni '60 che, se non ricordo male, la Rai trasmetteva la domenica sera accompagnata dalla lettura dei versi di Omero da parte di Giuseppe Ungaretti. Così come Irene Papas era il volto di Penelope, Bekim Fehmiu era l'Ulisse, quello più vero, che esprimeva nei lineamenti del volto la sua origine albanese, le montagne del Kosovo, la raffinatezza di Sarajevo, l'orgoglio di Belgrado. Fehmiu era in questo un attore profondamente jugoslavo e quando il suo paese si dilaniò così drammaticamente, si mise da parte fino a morire suicida nel 2010.

Così la sua figura oggi un po' rappresenta l'epilogo di quel paese. E che i ragazzi di Peja/Pec, di Kraljevo e di Prijedor, oltre le loro attuali appartenenze nazionali, decidano di realizzare attorno alla figura di Bekim Fehmiu una mostra che racconta la vita del loro Ulisse e del suo paese che non c'è più, è davvero una bella storia. Che questo lavoro nasca dalla collaborazione con l'Associazione Trentino con i Balcani ci racconta inoltre di una cooperazione pensata come relazione che fa crescere le comunità che ne sono protagoniste.

Dopo Pristina, Sarajevo e Belgrado, dove è stata visitata da migliaia di persone, la mostra sull'Ulisse venuto dai Balcani è approdata in questi giorni alle Gallerie di Piedicastello, a Trento. Verrà presentata oggi, domenica 28 ottobre, alle ore 17.00 alla presenza di Branka Petric e di Uliks Fehmiu, moglie e figlio di Bekim Fehmiu. Nel corso dell'evento Vinicio Capossela consegnerà loro una copia del suo "Marinai, profeti e balene" che l'artista ha dedicato a Bekim Fehmiu, a quell'Ulisse venuto dai Balcani "che se ne era andato in solitudine, privato della sua patria, che aveva dichiarato che le guerre dell'Iraq e dell'Afghanistan erano state guerre imperialiste come quella di Troia". E perché "si sentisse meno solo nella sua disapprovazione".

 

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