"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Novi Sad. I giorni freddi

La copertina del libro

giovedì, 22 novembre 2012

Presentazione del libro di Danilo Kiš e Alexandar Tišma (Editore ADV Advertising Company, 2012)

Intervengono

- Fabrizio Rasera, presidente dell'Accademia Roveretana degli Agiati
- Dževad Karahasan, scrittore, Sarajevo
- Goran Levi, presidente della comunità ebraica di Novi Sad
- Piero Del Giudice, giornalista
- Luisa Chiodi, direttrice di OBC
- Michele Nardelli, presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani

Modera

Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino

Il libro si regge sulla narrazione di due testimoni d’eccezione. Sarebbero diventati i maggiori scrittori dei Balcani, comprimari dei grandi del Novecento europeo, Danilo Kiš e Alexandar Tišma. Nel gennaio 1942 hanno 6 anni il primo e 17 il secondo: «Ero a Novi Sad durante la “razzia”. Tenevo, insieme a mio padre e mia madre, le mani in alto davanti ad una pattuglia di soldati ungheresi che ci urlavano in faccia di armi nascoste nella casa. Era il tempo della guerra, tempo dell’assurdo, dell’odio, della manipolazione» dice Tišma in una intervista della fine anni Novanta.

I “giorni del freddo” della capitale danubiana della Vojvodina, 21-24 gennaio 1942, si chiamano così perché il grande fiume è ghiacciato, ed è neve sulla città rivierasca. I rastrellati sono costretti in fila, in una sorta di corteo verso il Danubio. Ogni tanto, durante il percorso, i soldati spingono fuori dei gruppi e li fucilano. Il grosso viene spinto verso il fiume dove il genocidio si completa con fucilazioni sommarie e seppellimento dei corpi semivivi nelle acque.

Danilo Kiš scrive: «Accanto agli stabilimenti balneari della città, là dove ci sono le cabine di legno, c’è nel ghiaccio un grande buco, come se fosse ritagliato nella superficie di vetro: sopra il buco è gettato un trampolino. Attorno soldati: sui loro baffi si è depositata la brina, dalle loro narici esce vapore. Dalla direzione delle cabine spunta all’improvviso una giovane donna, nuda; tiene per mano una bambina. Anche la bambina è nuda. La loro pelle è di un rosso bluastro per il freddo. I soldati le spingono sul trampolino. Sparano loro in testa e le trafiggono con le baionette. Le vittime cadono nell’acqua del Danubio verde scura».

L’esercito ungherese occupa Novi Sad e la Vojvodina da poco meno di un anno. La Jugoslavia è stata invasa i primi giorni dell’aprile 1941 da Germania, Italia, Ungheria, Bulgaria. Nella spartizione del Prima Jugoslavia - il Regno Trino dei serbi, sloveni e croati - l’Ungheria vanta l’intera pianura del Danubio, inscritta, nel sogno-progetto della “Grande Ungheria”.

Ai primi moti partigiani polizia ed esercito ungherese rispondono con il genocidio. Fucilazioni, mutilazioni, deportazioni.

La strage del gennaio 1942 completa, nella capitale, decimazioni ed esecuzioni di massa in alcuni villaggi. A Novi Sad viene eliminata l’intera comunità ebraica, decimata la comunità serba, ma anche tzigani, ruteni, vengono indiscriminatamente rastrellati alla caccia degli oppositori politici e dei membri della prima resistenza.

INFO:
Osservatorio Balcani e Caucaso
eventi@balcanicaucaso.org
www.balcanicaucaso.org

Rovereto, Palazzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Piazza Rosmini 5

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*