"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Che Europa vogliamo?

Istanbul

di Eric Maurice

Assicurare la prosperità al suo popolo non gli è bastato ad evitare la contestazione. Secondo le previsioni della Commissione europea la Turchia dovrebbe registrare una crescita del 3,2 per cento nel 2013 e del 4 per cento nel 2014, contro una media dell'eurozona di -0,4 e +1,2 per cento.

Eppure centinaia di migliaia di turchi sono scesi in piazza per contestare il loro primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan. Le manifestazioni sembrano destinate a durare a lungo, anche senza le violenze eclatanti dei primi giorni.

 

La situazione economica e sociale non è il primo motivo della protesta, scatenata da un progetto di riqualificazione urbana a Istanbul. Questa è la prima differenza tra le proteste turche e la primavera araba, a cui il movimento di piazza Taksim viene spesso paragonato.

Una seconda differenza con le rivoluzioni arabe è che Erdoğan non è un tiranno che si è impossessato del potere per conto di un clan e senza riguardi per il benessere del paese. Il leader dell'Akp, il Partito giustizia e sviluppo, è stato eletto per tre volte consecutive con votazioni regolari, e gode di una popolarità che farebbe invidia a molti leader europei.

Sembrerebbe paradossale identificare la situazione turca con quella del mondo arabo, soprattutto dopo aver sottolineato più volte la vocazione europea del paese. Il fatto è che da dieci anni i difensori dell'adesione della Turchia all'Ue confondono la politica di modernizzazione attuata da Erdoğan con un tentativo di europeizzare il paese.

A meno che non vogliamo ridurre la civiltà europea alla crescita economica e alla costruzione di centri commerciali, o credere che l'Europa possieda il copyright sulla democrazia all'esterno dell'Ue, la politica del primo ministro turco non ha fatto del paese un candidato ideale all'adesione. I manifestanti di piazza Taksim ci hanno appena ricordato che il progetto dell'Akp è basato su un percorso particolare, conforme all'identità multipla e spesso contraddittoria della Turchia: un ponte tra due continenti, un incrocio di culture islamico, post-ottomano e kemalista.

La politica di Erdoğan ha avuto il grande merito di far superare alla Turchia la condizione di pedina strategica della Nato e fornitore di manodopera a buon mercato. Oggi Ankara è un partner commerciale importante e una potenza politica affidabile. La diaspora turca, con i suoi giovani multiculturali e spesso con la doppia cittadinanza, può finalmente tornare indietro e trovare un paese dinamico.

Ma è proprio questa gioventù cosmopolita, che gode i frutti della crescita avviata da Erdoğan, a guidare la contestazione contro il primo ministro. I giovani aspirano a una qualità della vita che non si riduce alle opportunità, e insieme ai manifestanti di tutte le età che si sono uniti a loro parlano di ambiente e vogliono sfuggire al giogo della religione, essere ascoltati e rispettati dal potere.

Per l'Unione europea, che quattro giorni prima delle manifestazioni a Istanbul annunciava di voler discutere l'adesione della Turchia, la situazione è scomoda. Davvero Erdoğan, che definisce "terroristi" i manifestanti e incarcera più giornalisti di quanto non facciano la Cina o l'Iran, è ancora un garante credibile delle buone relazioni Ue-Turchia? Il suo interesse per i modelli russo e cinese è ancora compatibile con gli obiettivi strategici e i principi dell'Ue?

Nonostante tutto, Erdoğan può ancora contare su un'ampia base politica, e per il momento i kemalisti, i curdi, i comunisti e gli halevi non costituiscono un'alternativa credibile. Dopo aver tergiversato per mezzo secolo, l'Ue deve chiedersi cosa rappresenta la Turchia per il progetto europeo e quale linea tenere con Ankara. Mentre una parte del popolo turco manifesta la sua aspirazione verso una maggiore libertà, l'incertezza permanente sarebbe la scelta peggiore.

*Presseurop.eu, 7 giugno 2013

 

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