"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Territoriali ed europei, una prima sintesi di tre giorni di confronto

Un momento della summer school

Quella che segue è una prima sintesi dei temi affrontati nella summer school che si è svolta da venerdì a domenica al Monte di Mezzocorona. Queste ed altre le parole per un possibile manifesto politico. 

(25 agosto 2013) La protagonista di questa Summer School è stata la politica. Di certo è un tempo in cui essa non gode di grande reputazione. Eppure in questi giorni non ne abbiamo celebrato l'ennesimo processo, ma anzi abbiamo provato a dare forma ad un piccolo atto d'amore nei suoi confronti.

Abbiamo descritto, cito uno degli interventi di ieri, la politica e le forme della politica come uno spazio urbano che ha bisogno di essere ripensato, riqualificato. Certamente attraverso percorsi sempre più collettivi, laddove invece vediamo crescere attorno a noi - ad ogni livello - sentimenti di spaesamento e spinte di natura individualista.

Abbiamo accettato di confrontarci con la contemporaneità. Quella della crisi della rappresentanza, della forma partito e più in generale di tutti corpi intermedi, delle categorie interpretative del '900, della curiosità che deve stare alla base dell'agire politico. Abbiamo provato - o almeno abbiamo cominciato - ad interpretare l'auspicio di Annah Arendt di essere "presenti al proprio tempo", condizione fondamentale per sviluppare una narrazione coinvolgente, risultato di quel racconto del reale che sta alla base sia del documentario sociale sia dell'inchiesta politica. Raccontare cosa sta succedendo attorno a noi (parlando dei processi, delle trasformazioni, dello scontro fra tradizione e modernità, della corruzione culturale che abbiamo visto diventare condizione generalizzata degli ultimi vent'anni, di storie e geografie solo apparentemente lontane) è il primo passo per inquadrare il percorso successivo da intraprendere.

Senza evocare fasi costituenti, né piattaforme programmatiche; certo è però che in questo momento va presa in considerazione - se si ha a cuore il futuro della politica, non necessariamente solo quella che per consuetudine definiamo di sinistra - l'esigenza stringente di farsi carico di un lavoro di messa in discussione dei linguaggi, dei termini in uso, dei loro significati e del valore simbolico che spesso assumono.

Non certo come esercizio di pura accademia ma come prima azione necessaria nella predisposizione delle condizioni minime per immaginare il futuro dei luoghi e delle comunità che abitiamo. Locali, europei, mediterranei o internazionali, influenzati dall'interdipendenza e con un assetto sempre più a geografie variabili. Sicuramente dentro una molteplicità di forme, sicuramente con uno sguardo lungo, sicuramente attraverso quello che abbiamo descritto come un salto di paradigma, una metamorfosi, un innegabile cambiamento in atto. La parola in fin dei conti è lo strumento principe dell'interlocuzione con l'altro, della creazione di discorso, di idee, di visione. Senza di essa, o se essa è svuotata del suo potere di rompere il silenzio che ci circonda non possiamo che sentirci muti e terribilmente soli.

Per iniziare questa breve chiacchierata restituiva - volutamente non uso il termine conclusione o sintesi - voglio solo accennare a tre aspetti che sono emersi in questi tre giorni e che sono per me decisamente importanti.

1) Territorio, come soggetto vivo e complesso. Il territorio come progetto politico a tutti gli effetti. Da semplice definizione geografica - o addirittura vocabolo passpartout valido per ogni campagna elettorale - a idea culturale, sociale, economica. Punto di atterraggio dei flussi che ci ha descritto Aldo Bonomi, luogo dove verificare il concetto di esponenzialità che ci ha suggerito Thomas Miorin, dove si devono incontrare cooperazione e competizione, dove dovrà trovare applicazione una governance dolce (chissà, quella delle Autonomie integrali o quella di un rinnovato percorso federalista?). Il territorio (dal locale al sovranazionale) è quindi punto di partenza irrinunciabile che incrocia reti corte e reti lunghe, che si pone la complessa questione della sovranità e che fa riferimento al prendersi cura di una comunità. Il territorio - se osservato con lo sguardo strabico a cui Michele Nardelli ha fatto riferimento - è la sfida più alta che la politica può darsi anche nell'ottica di una rinnovata funzione maieutica che ambiziosamente vorrebbe riconquistare.

2) Non più, non ancora. Queste due categorie che Aldo Bonomi ci ha offerto sono per me importanti per più motivi. Da un lato ci aiutano a fare i conti con il tempo e il suo passaggio. La prima - la formula del non più - ci offre la possibilità di guardare al passato, analizzare le scelte fatte e poter dire ciò che non vorremo vedere mai più. Ci costringe alla rilettura dei fatti del '900 e una più generale interpretazione della storia che determina ciò che siamo. Dall'altra ci impone di rivolgere lo sguardo al futuro, ci chiede di assumerci la responsabilità di far sì che ciò che oggi si intravede solo in filigrana possa domani emergere con forza. La relazione tra i non più e i non ancora - per semplificare - ci descrive la fine di una fase, la rottura di quell'andamento ciclico (sviluppo/stagnazione, pace/guerra, ecc.) che abbiamo conosciuto nell'ultimo secolo almeno. I numerosissimi non più e gli incalcolabili non ancora sono oggi la cifra della sfida che la politica può decidere di accettare o meno. Nel secondo caso saranno altri i protagonisti sulla scena: il rancore, i populismi, le tecnocrazie, le diseguaglianze, i conflitti non governati. Le categorie del non più e non ancora ci aiutano anche in esercizio che per la sinistra è risultato spesso difficile. Questa tensione bipolare necessita di portare l'innegabile complessità ad una sintesi possibile, ad un depositato di idee e di proposte concrete comprensibili e praticabili. "Temperare i flussi, aiutando i luoghi a non essere spaventati" non significa nient'altro che essere capaci di leggere il contesto e immaginare cosa dentro di esso possa avvenire. Parliamo della resilienza, della convivenza, delle sinergie e dello sviluppo. Ma anche della formazione e dell'identità. Arriviamo forse anche a dover riflettere su quell'human economy e human society che Thomas Miorin ha iniziato a declinare. Una sfida senza dubbio affascinante.

3) Forme della politica. Nonostante avessimo previsto un'intera sessione su questo tema a mio avviso è la parte del discorso che è ancora più oscura, meno definita. Non avevamo l'ambizione di risolvere in questo fine settimana la "crisi della società di mezzo" raccontata da De Rita, ma forse ci aspettavamo di procedere più spediti verso una miglior definizione delle forme di quell'agire politico territoriale ed Europeo che avevamo inserito nel documento di presentazione. Due aspetti sembrano però evidenti. Il primo è legato all'inefficacia della forma partito così come la conosciamo, fuori scala per opposti motivi sia sul piano locale che sovranazionale. Il secondo, fondamentale per partire, è l'evidente necessità di un rafforzamento del ruolo della politica. Dove? Dalla gestione delle periferie urbane senza identità fino alle politiche monetarie europee, dallo sviluppo territoriale alla difesa dell'ambiente. Come? Qui la risposta si fa più complessa. Non sono sufficienti gli strumenti partecipativi così come li abbiamo conosciuti fino ad ora (primarie, ecc.), addirittura dannose sono alcune derive plebiscitarie e leaderistiche visibili sia sul piano nazionale che locale. Quali sono le parole d'ordine della buona politica: responsabilità, complessità, ideali, idee, valori, condivisione. Certo la visione che offre Bonomi quando parla della politica che si "mette in mezzo" tra flussi e luoghi è stimolante ma lascia a noi - e a tutti coloro che vogliano farsene carico - il compito di darle forma e traducibilità nella pratica di tutti i giorni.

Mi sembra molto centrato a questo proposito un auspicio che ritorna nel libro di Cerruti e Morin "La nostra Europa". Lo si può applicare al futuro del nostro continente, così come trasporlo in altri contesti, compreso quello della crisi della politica. Dice "Si può perdere, tutti insieme. Ma ci si può anche salvare, tutti insieme."

Sintesi a cura di Federico Zappini

 

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