"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Gli intellettuali? Sempre contro il potere. Conversando con Elias Khoury

Elias Khouri

(18 novembre 2013) Di parole create per prestarle a chi non ne ha; di letteratura, impegno politico, coraggio e rivoluzioni. E di un libro che è diventato un villaggio. Intervista a Elias Khoury, ospite in ottobre del Festival di Internazionale. 

di Cecilia Dalla Negra e Omar Radi (da Osservatorio Iraq)

"I libri non sono di chi li scrive, ma di chi li legge. Raccontare una storia ha senso se il lettore se ne appropria, ne fa ciò che vuole, attinge, sottrae, persino la riscrive. Se i romanzi non migrano non hanno valore".

Nell'incontro ferrarese che lo ospita, partecipato ma intimo e raccolto come una lettura collettiva, Elias Khoury si muove a suo agio. Capelli bianchi, voce sommessa, una sigaretta sempre accesa, è tra i maggiori esponenti della letteratura araba contemporanea. E alle pietre miliari della tradizione più classica si ispira quando
scrive, guardando a quelle Mille e una notte che restano, a suo parere, "il più meraviglioso dei libri mai scritti", capace di reinventare il concetto di fine, in una circolarità per cui la conclusione di un racconto diventa l'inizio del successivo, rendendo il lettore autore di una storia tutta sua.

"La storia non finisce, il libro resta aperto. Forse per questo quando scrivo è la fine ad essere il mio inizio", racconta. 

Giornalista e scrittore cresciuto a Beirut in una famiglia cristiana libanese, Khoury è nato nell'anno della Nakba palestinese, il 1948. Ed è la Nakba che spesso, nei suoi romanzi, ha raccontato. Una vita di impegno la sua, che ha visto sempre affiancare il lavoro letterario alla militanza politica, tra le colonne dei quotidiani nazionali come nelle fila dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) negli anni dell'esilio a Beirut.

Nelle sue opere ha narrato la Palestina - la mia "patria per scelta di cuore" - adottata come si abbraccia una causa che è paradigma di un'ingiustizia e insieme di un'epoca.

An 'ilaqat al-da'ira (I legami del cerchio), il suo primo racconto, veniva pubblicato nel 1975, mentre in Libano scoppiava la guerra civile. White Masks (Facce bianche)
veniva scritto mentre la sua stessa casa era sottoposta ai bombardamenti, finendo per diventare, a suo modo, un'altra via per combattere e raccontare il presente. 

Bab al-Shams (La porta del sole), la più famosa delle sue opere data alle stampe nel 1998, da romanzo è diventato un simbolo per tanti giovani attivisti che, lo scorso anno, hanno scelto di chiamare così il villaggio di tende eretto sulle colline di Gerusalemme, la loro ‘occupazione contro l'Occupazione'. "Questa terra è ciò che rende la vita degna di essere vissuta, diceva Mahmoud Darwish, e costruendo questo meraviglioso villaggio avete restituito significato al significato", scrisse loro in una lettera aperta.

E' in quest'opera che Khoury descrive la tragedia e la resistenza palestinese, e insieme una grande storia d'amore tra personaggi che, nell'intrecciare le proprie vite, disegnano un percorso nella memoria che dal '48 porta sino al processo di Oslo.

E se è questo il romanzo che è valso all'intellettuale libanese la fama presso il grande pubblico, la consapevolezza di essere uno scrittore è maturata scrivendo White Masks,
l'opera che racconta la partecipazione palestinese alla guerra in Libano. Quando venne dato alle stampe, nel 1982, l'Organizzazione lo mise al bando per le critiche che esprimeva sul movimento. "E' stato l'unico libro che l'Olp abbia mai censurato", racconta. "In quel momento ho realizzato l'importanza per uno scrittore di dire sempre la verità, qualunque essa sia. E di ribellarsi contro il potere, chiunque lo rappresenti".

E' tra le sue pagine che si intrecciano alcuni dei temi più cari a Khoury: la libertà di pensiero dell'intellettuale, il legame tra politica e letteratura, l'impegno e l'attinenza alla realtà nell'inventare storie devono essere "capaci di migrare".

A margine dell'incontro, Khoury ha concesso qualche minuto a Osservatorio Iraq.

Alla luce degli accadimenti recenti che hanno interessato il mondo arabo, e delle ‘Primavere' in particolare, quale crede che sia il ruolo degli intellettuali e come crede che sia cambiato?

E' una questione complessa, prima di tutto perché non possiamo considerare ‘l'intellighenzia' araba come un corpo unico e monolitico, tanto più in questi anni recenti. Nell'ultimo periodo anche il panorama intellettuale del mondo arabo si è diviso, tra chi si è schierato con il potere e chi ha sostenuto i movimenti popolari che andavano creandosi e che hanno condotto alle sollevazioni del 2011. Diversamente da altri contesti rivoluzionari, le rivolte arabe non sono state avviate da un'avanguardia intellettuale: sono emerse dal basso, dal popolo, e anche per molti di noi hanno rappresentato un evento sorprendente e inatteso.

Ecco perché credo che siano l'occasione per ‘tornare a scuola': avevamo ed abbiamo ancora molto da imparare da quanto accaduto. Sono state prima di tutto l'occasione per ripensare completamente il concetto stesso di ‘realtà' post-moderna nella quale ci troviamo. Abbiamo l'opportunità di cogliere questo momento, molto complesso, per ripensare il nostro ruolo di intellettuali e la nostra posizione. E' questa l'occasione per
scrivere una pagina nuova, un nuovo capitolo, e non solo per il mondo arabo. La sola cosa certa è che non possiamo non esserne parte.

"Non ho bisogno di dimostrare il mio punto di vista attraverso la letteratura, che è qualcosa di più profondo" ha affermato una volta. Eppure nelle sue opere il legame con la politica e l'attualità è sempre centrale. Quale crede che sia il rapporto tra potere e letteratura?

I miei libri, le storie che racconto, non nascono mai nella mia mente ma dal confronto quotidiano con ‘l'altro', con le persone che incontro e con cui condivido pensieri, ricordi, racconti. Noi intellettuali, giornalisti, scrittori, apparteniamo ad una classe
privilegiata, e credo che la letteratura abbia un grande potere: mettersi al servizio delle persone, per essere la voce di chi non ha voce.

Crea le parole per chi non ha la possibilità di essere ascoltato: ecco perché non potrà mai essere neutrale, ne' dovrebbe mai essere asservita al potere, così come gli scrittori, che hanno il dovere morale di essere critici.

Rispetto al contesto e alla storia palestinese, che ha tanto raccontato nei suoi libri, che ruolo hanno gli intellettuali nella conservazione e nella trasmissione della memoria collettiva?

Rispondo raccontando una storia: lo scorso anno un gruppo di giovani attivisti palestinesi ha occupato simbolicamente una collina, nei pressi di Gerusalemme, come forma di protesta e resistenza all'occupazione israeliana. Hanno portato con loro alcune tende ed hanno creato un villaggio, che hanno scelto di chiamare Bab al-Shams, "La porta del Sole", ispirandosi al mio libro.

In quel momento ho compreso quanto la letteratura possa essere messa al servizio delle memoria, ma allo stesso tempo sia capace di scrivere e immaginare il futuro. Questa combinazione è il cuore della questione: generalmente la letteratura imita la realtà. In questo caso è accaduto il contrario. Riuscite ad immaginare qualcosa di più bello di un libro che diventa un villaggio?

 

 

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