"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Abbasso l'austerità, viva l'austerità...

Marghera

di Federico Zappini

(9 marzo 2014) Da tempo mi ripropongo di scrivere dell'austerità. Negli ultimi mesi non c'è programma politico che non contenga - ancor più oggi in vista delle prossime elezioni europee - almeno uno slogan "CONTRO L'AUSTERITY". Mi rendo conto che si tratta di una parola scivolosa, e che dall'inizio della grande crisi del 2008 è stata associata a una serie di iniziative economiche a livello europeo e mondiale tutt'altro che popolari e ben volute, tra le quali le più tristemente famose quelle messe in campo in Grecia ad opera della Troika. Lacrime e sangue si diceva un tempo, ma forse questa espressione non è sufficiente per descrivere ciò che lascia dietro di sè la serie di tagli lineari previsti per sistemare i conti nelle casse greche, da tempo in profondo rosso. Basta leggere i dati riportati dal The Lancet rispetto alla situazione sanitaria del paese per rendersene conto. 

Proprio perché nei confronti dell'austerità si è compattato un fronte critico ampio e trasversale - che va dall'estrema sinistra fino alla destra, passando per autorevolissimi economisti - è difficile assumersi la responsabilità di rompere questo assedio provando a darle un significato rinnovato e se possibile inteso come positivo, depurato della su componente moralistica e punitiva. Austerità quindi come responsabilità nei confronti di un senso del limite da recuperare, come nuovo approccio all'eguaglianza, come teoria del "fare meglio con meno". Abbasso l'austerità, viva l'austerità.

Di grande aiuto per sbrogliare questa matassa è stato in questi giorni uno spunto "contabile" propostomi da Michele Nardelli. Il calcolo suggerito è abbastanza intuitivo e riguarda il PIL mondiale, indice utilizzato (fino a quando non ne troveremo un altro migliore) per calcolare la ricchezza prodotta. Nel 2012 il dato aggregato per l'intero pianeta ci dice che il PIL equivale a 72.216.373 milioni di dollari. E' una cifra difficile anche solo da immaginare. Più semplice è invece dare materialità al PIL pro-capite italiano, che sempre nel 2012 ammontava a circa 29.800 dollari. E' un dato frutto ovviamente della media tra ricchissimi e poverissimi, una sorta di redistribuzione "fittizia" utile al nostro esercizio ragionieristico. L'Italia si piazza al 30simo posto della classifica per stati.

Proviamo ora a garantire ad ognuno degli abitanti della Terra questo gruzzoletto e proviamo a fare due semplici moltiplicazioni, la prima per gli abitanti attuali (per comodità 7 miliardi) e la seconda per quelli previsti per il 2030 (circa 9 miliardi). I dati sono impressionanti. Nel primo caso il totale tocca la cifra già astronomica di 208.684.000 milioni di dollari, nel secondo si sale ancora arrivando a 268.308.000 milioni di dollari. Ben tre volte e mezzo il PIL reale dell'intero pianeta, decisamente insufficiente (qualsiasi sia il suo futuro andamento) per rispondere alla curva demografica attesa e alla tensione ad una crescita più vigorosa dei paesi emergenti. Mi rendo conto che il calcolo è rozzo e banale, e non prende in considerazione tutti i fattori economici che servirebbero ad avere un quadro più preciso, ma aiuta certamente a capire quanto sia fragile e incerta l'idea che alla base dell'uscita dalla crisi (o almeno all'adattamento ad essa?) ci sia la necessità di una nuova fase di crescita, vero mantra di governi ed economisti e illusione cullata da milioni di cittadini abituati ad una vita condotta oltre il limite.

Oltre al dato puramente numerico, ci sono soprattutto due aspetti associati al tema della ripresa economica che risultano evidentemente contraddittori: il tempo e lo spazio. Perché se parliamo di futuro - e lo fanno tutti... - ciò che fa più specie è constatare che si faccia riferimento esclusivamente al qui e ora, non un minuto più in la. Sforamento del 3% nel rapporto deficit/PIL, più spesa pubblica per rilanciare la crescita, più denaro in circolo per rianimare i consumi. Insomma, "a mali estremi, estremi rimedi" come sentenzia Federico Rampini in un libretto appena edito dal titolo "Nella trappola dell'austerity", in cui non si propone null'altro se non la riproposizione della ricetta keynesiana, con qualche scarno riferimento al tema della sostenibilità. Un po' come iniziare a bruciare le sedie di casa per scaldarsi, nel momento in cui si esaurisce la legna da ardere. Solo che ad andare a fuoco, non solo metaforicamente, è il pianeta su cui viviamo. E in un pianeta (ed è questa la questione geopolitica) in cui bisognerebbe "globalizzare la solidarietà", assumendosi la responsabilità di salvaguardare e condividere ciò che abbiamo e non pensare alla produzione d'altro, ciò che davvero è globale è la gara a chi fa segnare un maggiore aumento del PIL, con un parterre di concorrenti oggi molto più agguerrito e qualificato. Questa partita perversa, senza esclusione di colpi, rafforza la centralità degli Stati nazionali a discapito di una visione d'insieme (europea, ma non solo...) che vada nella direzione di una gestione comune e solidale del pianeta - l'unico - di cui disponiamo. Mors tua, vita mea rimane il grido di battaglia. Perché stupirsi, allora, di fronte ai venti di guerra attorno all'ambìto territorio ucraino, alle logiche espansive del land grabbing nel continente africano o al costante richiamo agli interessi nazionali da tutelare o alla sovranità statuale da riconquistare?

Le guerre, la corsa alla conquista delle risorse naturali, l'egoismo mischiato a una rinnovata centralità dell'identità nazionale, sono solo alcune delle caratteristiche del tempo che stiamo vivendo, conseguenze della necessità di difendere il proprio benessere, mai così in pericolo. Difesa certamente vana, e nel lungo periodo autodistruttiva della nostra società, se non addirittura della nostra specie. Vale allora forse la pena - senza richiamare Berlinguer o diventare teorici della decrescita - provare a riqualificare il concetto di austerità, assumendolo come stimolo per una trasformazione complessiva del modo di immaginare le nostre vite per i prossimi decenni, o meglio secoli. Abbasso l'austerità, viva l'austerità.

da Ponti di vista

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Michele il 11 marzo 2014 17:02
    Federico pone un problema cruciale, ma difficile, costoso, che non si presta a facili rivendicazioni o demagogie. Che ci costringe ad interrogarci sul fatto che questo pianeta dal 22 di agosto (dato del 2011) in poi consuma risorse che gli ecosistemi non riescono a produrre, che l'overshoot day in Trentino(il giorno del superamento) arriva ancora prima (il 23 maggio) e che se non mettiamo in discussione l'attuale modello di sviluppo e di consumi sarà (è già?) la guerra di tutti contro tutti. Allora il problema non è quello di rilanciare i consumi ma di riconsiderarli e riqualificarli. E di invertire la rotta. E' questa la sfida culturale del presente e del futuro.
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