"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il fallimento dell'Occidente e la questione palestinese

Il muro

di Michele Nardelli

(15 luglio 2014) Quel che sta avvenendo nella “Striscia di Gaza” è una delle tante operazioni militari che abbiamo conosciuto nella storia di un conflitto che dal 1948 in poi hanno segnato la tragedia della “mezzaluna fertile del Mediterraneo” o c'è dell'altro? Il cliché in effetti non è molto diverso dal passato: ogni volta che sembravano crearsi condizioni favorevoli ad una soluzione politica della questione palestinese è accaduto qualcosa che ha fatto saltare tutto in aria.

Nonostante la progressiva rinuncia da parte palestinese di quote significative della Palestina storica, malgrado la mancanza di continuità territoriale (e di sovranità) di uno stato palestinese in fieri che pure ha ottenuto il riconoscimento da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (unica fonte del diritto internazionale), non solo non si è arrivati ad un accordo di pace ma è proseguita la politica del fatto compiuto attraverso una pratica sempre più aggressiva di insediamenti illegali sostenuti militarmente dallo stato israeliano, imponendo una base di trattativa ogni volta più sfavorevole alle istanze palestinesi.

E, ciò nonostante, negli ultimi mesi l'azione diplomatica sembrava aver riaperto qualche spiraglio. Alla visita di Papa Francesco in Terrasanta aveva fatto seguito l'incontro di preghiera in Vaticano fra i leader politici e religiosi più rappresentativi della regione. Lo stesso accordo fra Fatah e Hamas per un governo di unità nazionale palestinese, quand'anche bollato dal governo israeliano come una provocazione, segnava un punto a favore dell'opzione moderata e di una soluzione politica.

Ma come in un meccanismo ad orologeria sono seguiti – in un'escalation quanto meno sospetta – il rapimento e l'uccisione di tre giovani israeliani, i rastrellamenti e le violenze da parte israeliana nonché la ripresa dei raid aerei, il rapimento e l'uccisione di un ragazzo palestinese, cui hanno fatto seguito il lancio di missili rudimentali dalla striscia di Gaza, ma soprattutto le azioni di guerra con i bombardamenti aerei e i preparativi per un imminente intervento via terra dell'esercito israeliano su una striscia di terra dove vivono ammassati quasi due milioni di palestinesi, provocando centinaia di morti e migliaia di feriti.

Eppure il fallimento della strategia occidentale seguita all'attentato alle torri gemelle, ormai riconosciuto anche da coloro che ne sono stati protagonisti e sostenitori, avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. L'infausto teorema dello "scontro di civiltà", accompagnato dall'idea che il terrorismo potesse essere sconfitto riducendo il vicino oriente in un cumulo di macerie, ha creato un solco profondo verso l'occidente ma soprattutto ha portato alla destabilizzazione dell'intera regione mediorientale.

L'intervento in Iraq, pretestuoso e costruito sulla menzogna, ha trasformato quel paese in una polveriera tanto che gli USA, preoccupati dall'avanzata dei miliziani sunniti unificati dall'insorgere di un nuovo califfato, sono arrivati a chiedere il sostegno dell'odiato regime iraniano. L'Afghanistan, dilaniato da una guerra infinita, appare ingovernabile e ben lontano da una soluzione unitaria che peraltro difficilmente potrà prescindere da un accordo con i talebani. La Siria è in preda ad una guerra civile che ha già provocato più di centomila morti per effetto di una progressiva militarizzazione del conflitto nel quale l'occidente ha armato le milizie jihadiste, dopo che una primavera nonviolenta è rimasta per mesi sola ed in balia della repressione di Assad. Con il rischio di trascinare il vicino Libano nell'incubo di una nuova guerra. Anche nel paese che un tempo rappresentava uno dei punti di riferimento del non allineamento, l'Egitto di Nasser, si scontano gli effetti della radicalizzazione e così l'alternativa democratica che la primavera araba aveva immaginato è stata schiacciata fra il fallimento dell'islamismo politico e il ritorno al potere della lobby militare che oggi governa il paese con il pugno di ferro. Altra perla di saggezza è stato l'intervento militare di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti (con il sostegno logistico dell'Italia) in Libia, tutti interessati ai pozzi petroliferi di quel paese, con il paradosso che la caduta del regime di Gheddafi ha lasciato il campo ad una situazione che ricorda il disastro della Somalia fatta di bande armate e poteri mafiosi.

Il fallimento dei fautori dello “scontro di civiltà” dovrebbe rappresentare anche la sconfitta di chi, il governo israeliano in primis, di questa strategia si è fatto paladino, utilizzando il pretesto della lotta al terrorismo per far saltare ogni ipotesi di accordo di pace in Palestina.

Ora la diplomazia mondiale cerca di evitare il peggio, ma l'impressione è che l'operazione in corso sia tutt'altro che estemporanea, ovvero parte di un disegno che punta alla completa destabilizzazione di una regione già lacerata, funzionale al rafforzamento delle tendenze militariste di tutte le parti in causa, immaginando che su questo piano il potente esercito israeliano possa piegare a proprio favore l'annoso conflitto territoriale con i palestinesi.

Se fosse così saremmo in presenza di una strategia foriera solo di nuove tragedie, non solo per quei popoli. Per il significato simbolico che in tutto il vicino oriente riveste la questione palestinese, per il particolare valore storico e culturale che ricopre questa Terra per le religioni monoteiste, per la pesante eredità che il Novecento ha consegnato in Medio Oriente, per le responsabilità che i singoli paesi europei portano con sé nelle vicende belliche che hanno lacerato la regione dal 1991 in poi, una nuova guerra in Palestina avrebbe l'effetto di far esplodere la polveriera con conseguenze imprevedibili in tutto il Mediterraneo e finanche in Europa.

Quell'Europa che – in assenza di una politica estera comune – ha fin qui svolto un ruolo del tutto marginale quando invece potrebbe rappresentare forse l'unico soggetto in grado di riallacciare un dialogo fatto di mediazione, cooperazione e condivisione di un comune progetto euromediterraneo.

Perché solo in una cornice postnazionale, ovvero euromediterranea, è immaginabile trovare una strada nuova per dare soluzione ad un conflitto che appare infinito. Un cambio di paradigma che s'impone, al pari di un cambio politico che porti all'emarginazione di quelle componenti che della degenerazione violenta del conflitto nel vicino oriente portano la responsabilità.

 

2 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Michele il 25 luglio 2014 18:44
    Caro Roberto, bisogna dare il tempo al nuovo presidente del Forum di rodare, non dimenticando che è venuta meno anche la collaborazione di Federico Zappini per motivi riconducibili a prescrizioni ridicole. In ogni caso il prossimo 31 luglio è prevista una iniziativa sul medio oriente organizzata proprio dal Forum e da Pace per Gerusalemme alla quale parteciperò come uno dei relatori. Ma è sul piano politico in senso stretto che sono preoccupato, tanto su questi temi come sul futuro della nostra terra dove si respira aria di cancellazione dell'anomalia politica che per quindici anni aveva fatto diverso il Trentino. Però i cittadini sono sovrani e hanno la politica E il governo) che si meritano... Spero avremo modo di parlarne.
    Un abbraccio.
  2. inviato da roberto devigili il 25 luglio 2014 17:55
    caro Michele, la tua "mancanza" si sente anche a livello del "pacifismo istituzionale" ... infatti, se non è causata dalla mia distrazione, non ho ancora visto nessuna iniziativa (una tavola rotonda, una mostra, una petizione... un qualcosa insomma) sulla disastrosa attualità della guerra (o delle guerre, penso anche all'Ucraina) che si sono acuite nelle ultime settimane/mesi.
    un caro saluto
    roberto
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