"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il volo dell’anatra zoppa…

L\'Avana. La Bodeguita del Medio

 

 

di Federico Zappini *

(21 dicembre 2014) Può un’anatra zoppa insegnarci a volare? Se guardiamo alla situazione di Barack Obama in relazione alla sorprendente riapertura dei canali diplomatici con Cuba si direbbe di sì. Un Presidente senza i numeri nel Congresso – “lame dunk” appunto, dopo le elezioni di medio termine – che riesce, certo non da solo, ad essere protagonista di un evento di politica internazionale tanto simbolico quanto rilevante. Non solo per i due Paesi direttamente coinvolti.

Leggo e comprendo i molti dubbi – figli di anni di contrapposizione fino a pochi giorni fa apparentemente insanabile – che circondano un fatto dalla fortissima valenza storica e politica. La permanenza dell’embargo, che dovrà essere sciolto ufficialmente da un Congresso ostile. I molti fronti sui quali l’amministrazione americana è ancora impegnata militarmente. Obiezioni legittime, piuttosto scontate in realtà, eppure il “Todos somos americanos” pronunciato da Obama non pesa solo a Miami e a L’Avana ma è un messaggio di ben più ampio respiro.

Chi non lo ammette sembra preferire esercitarsi nella lamentazione del “tanto meglio, tanto peggio” e nella dietrologia, rappresentazione pratica della nostalgia di un mondo tutto spiegabile dentro la divisione ideologica tra capitalismo (americano) e chi vi si oppone. Questo disegno, che certamente conserva una sua epica e un suo fascino, è oggi totalmente insufficiente a descrivere la realtà dentro la quale viviamo.

La lenta ritessitura dei rapporti tra USA e Cuba – anche grazie ai buoni uffici di Papa Francesco –  prende forma dentro un contesto mutato, una fase di transizione caotica che è sotto i nostri occhi. La fine delle ideologie o almeno una loro minore centralità, un loro peso più sopportabile. L’uscita dal ‘900 (e soprattutto dai primi frenetici anni del nuovo millennio) segnata da una rottura netta con il precedente modello di politica internazionale dominato da pochi (pochissimi) e oggi, invece, multicentrico e impossibile da governare “in proprio” anche per la superpotenza statunitense. Uno schema diverso – tutt’altro che pacificato – dentro il quale stanno, per comprenderne appieno la complessità, il negoziato sul nucleare con l’Iran, l’offensiva dello Stato Islamico, la crisi (militare) ucraino/russa e quella (economica) europea, la carneficina siriana, la matassa israelo-palestinese, l’emersione dei Brics. Un disegno in divenire, in gran parte ancora da decifrare, in relazione al quale il volo dell'”anatra zoppa” appare ancora più ardito.

L’orizzonte rimane carico di nubi minacciose e il rischio di una “terza guerra mondiale per capitoli” denunciata da Papa Francesco non accenna a depotenziarsi. E’ in questi momenti – lì dove la tensione è più alta – che la politica ha il compito di assumere scelte coraggiose, di percorrere strade tortuose, di elaborare pensieri ambiziosi, di abitare scenari capaci di sovvertire l’inerzia che l’intero pianeta apparentemente subisce. Barack Obama, Raul Castro, Papa Francesco – e tutti coloro che hanno contribuito al loro dialogare – si sono mossi in questa direzione.

E l’Europa? E l’Italia che termina in questi giorni il suo semestre alla presidenza del Consiglio dell’Unione? Al netto delle “conquiste” ottenute nella contrattazioni attorno al piano Juncker e del “prestigio” dato dalla guida (del tutto effimera e malinconicamente formale) della macchina europea ciò che non si intravede è lo sguardo lungo, l’esigenza di andare oltre l’ordinaria amministrazione, lo spunto per trasformare la crisi in opportunità di trasformazione. Potremmo dire che continua a mancare la propensione al volo, all’esercizio del pensiero rivolto al futuro. Non la si dovrebbe perdere nemmeno nel momento in cui ci si trova in difficoltà, o quando ci si percepisce (magari a ragione) deboli e spaesati.

Non è sufficiente dirsi innamorati dell’idea degli Stati Uniti d’Europa se non ci si impegna concretamente ad incrinare la narrazione che vuole la sovranità – apparente – degli Stati prevalere sulle ragioni dell’Unione, rendendola fragile fino a farla vacillare. Oggi il volo che l’Europa ha bisogno di tentare è quello che il Manifesto di Ventotene ipotizzava già settant’anni fa, con il superamento degli Stati nazionali in nome di un’integrazione politica completa capace di riqualificare le caratteristiche dello spazio europeo, oggi “non più una comunità, ma un’accozzaglia di discordie”**. Chi ha il coraggio di tentare il salto si faccia avanti.

* da http://pontidivista.wordpress.com

**Barbara Spinelli, La sovranità assente. Einaudi, 2014

 

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