"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Un necessario cambio di paradigma

De Chirico

 

di Federico Zappini

(21 febbraio 2015) Ogni qualvolta si accenna alla nascita di una nuova proposta politica perplessità e sospetti prevalgono su curiosità e voglia di partecipare. E’ la cifra di questo tempo. Quella del mancato riconoscimento del ruolo della politica. Quella di uno sguardo distaccato e disattento – nella migliore delle ipotesi – o addirittura insofferente e arrabbiato nei confronti della sua azione. Non sono pochi i motivi che possono giustificare questo (cattivo) approccio, ed è anche per questo che immaginare oggi di dare vita ad un’associazione che proprio di politica si vuole occupare presuppone l’accettazione di una condizione di partenza non facile, dominata da un diffuso senso di spaesamento, di rifiuto generalizzato. Questo approccio vale nei confronti dei grandi scenari internazionali (confusi, contraddittori, frammentati), per le vicende italiche dominate dal pantano della tattica e da tensioni leaderistiche e anche nell’interpretazione delle recenti fibrillazioni trentine, ad uso e consumo del personale politico coinvolto, difficili da decifrare e sopportare per tutti gli altri.

Una cosa é certa, e faremmo bene tutti a tenerla a mente. La politica, e chi ne tiene le fila, ha da tempo esaurito il credito nei confronti della comunità che dovrebbe rappresentare, dato confermato dal ridottissimo grado di fiducia che conserva agli occhi dei cittadini (un poco lusinghiero 3% nella XVII indagine su “Gli Italiani e lo Stato”, condotta da Demos). Un livello di disi-stima, per molti addirittura di dis-prezzo, che deve far riflettere. Toccato il fondo del barile – sempre più in basso, sempre più al buio -, varrebbe la pena di non intestardirsi nel procedere ad un nuovo e più doloroso scavo. Per cominciare a volgere lo sguardo verso l’alto e tentare una lenta e faticosa risalita bisogna essere chiari rispetto ad un’altra questione, solo apparentemente un appunto di metodo. Ce la pone con grande precisione Simone Casalini, nel suo editoriale dello scorso 8 febbraio, a commento delle turbolenze all’interno della coalizione di governo della Provincia Autonoma di Trento: “L’estetica della novità di per sé non basta se non produce culture durature e una motivazione elettorale, se non stimola l’impegno e la partecipazione a un orizzonte collettivo. Anche accettando che tali orizzonti possano essere oggi più ristretti rispetto al passato.”

Tralasciando per un attimo la motivazione strettamente elettorale (oggi quella più drammaticamente contaminata, e in realtà per nulla secondaria) saper dare risposta anche “solo” alle rimanenti questioni poste da Simone non sarebbe obiettivo disprezzabile. Offrire spazi che sappiano descrivere e praticare la cultura politica, che propongano formazione, che allarghino le aree di conoscenza, che stimolino la curiosità di molti e diversi. Attivare impegno e partecipazione – secondo processi che riattivino le relazioni oggi frantumate – , riqualifichino i linguaggi, valorizzino competenze e passioni. Immaginare orizzonti collettivi, che nulla sono se non la proiezione di una costante e quotidiana messa in comune di elaborazioni, ipotesi, idee, persino qualche sogno e innumerevoli conflitti. I termini della sfida sono questi, e come tali vanno raccolti. Non esistono scorciatoie che portino nella stessa direzione.

Fare riferimento all’amore per la politica potrebbe sembrare una forzatura, un tratto di sentimentalismo che non trova riscontro in una realtà generalmente rancorosa. Eppure – bisogna esserne convinti – un recupero di legittimità dell’azione politica non passa certo per l’immedesimazione nella figura del leader di turno o dentro la gelida contrattazione delle alleanze e della scomposizione/ricomposizione partitica. Si riparte dalle macerie della politica e qualsiasi intervento su di esse e sulla loro fragilità deve essere consapevole dell’inevitabile possibilità del fallimento. Offrire un luogo d’incontro – di conoscenza reciproca e di condivisione ideale – che ragioni e si interroghi sullo stato dell’arte non è quindi puro esercizio di fotografia dell’esistente, ma condizione necessaria e urgente di un processo politico, sociale e culturale che sfugga le etichette, rifiuti i confini e attragga anche quelli che oggi stanno ai margini del campo della politica, annoiati anche dalla sola osservazione della (brutta) partita in corsa.

Dare forma scritta a tutti questi impegni non è troppo difficile, metterli in pratica è altra storia. Su questa seconda fase si misurer‎à la qualità della proposta che l’Associazione territoriali#europei (che nasce in questi giorni) saprà offrire, dentro e fuori il Trentino.

(tratto da https://pontidivista.wordpress.com/)

 

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