"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Apparenza e realtà

Daniele Danh, oltre le apparenze

 

Tempi interessanti (10)

 

di Michele Nardelli

 

(1 marzo 2015) Nella società dell'immagine, dove tutto si gioca alla velocità della luce, realtà ed apparenza si confondono fino a non saper più distinguere il falso dal vero. Accade così che in un recente sondaggio alla domanda "Sentite di avere un maggiore controllo sul vostro futuro finanziario?" il 44% degli italiani intervistati (un campione di due mila persone) abbia risposto positivamente, qualche punto in più rispetto alla precedente rilevazione.

 

Sufficiente per far dire ai media (e alla politica interessata ad incassare consenso) che l'Italia sta volgendo al meglio. E questo nonostante gran parte dei dati reali indichino livelli record di disoccupazione (il 12,7%, mai così alta dal 1977), il 43,9% di giovani senza lavoro, una crescita produttiva pari a zero, ampie fasce sociali a rischio di impoverimento. Strani effetti mediatici, ma nel comune sentire c'è aria di ripresa.

 

La cosa che più colpisce nella survey internazionale "Global Investor Pulse" di BlackRock è che la fiducia dei risparmiatori italiani riguardi “il proprio futuro finanziario”. E' pur vero che i codici comportamentali della finanza globale tendono a giocare sulle situazioni di crisi, tant'è vero che più un titolo è a rischio, più l'investimento può diventare remunerativo. Ed è quel che normalmente accade con i titoli di stato, figuriamoci con i cosiddetti prodotti finanziari tossici.

 

Quel che non si riesce a comprendere è su che cosa si basi questa fiducia, visto che nell'assetto finanziario globale, dalla crisi dei subprime ad oggi, non è cambiato nulla se non in peggio. Un dato su tutti: se nel 2006 l'ammontare dei "derivati finanziari" era di 6,6 volte il PIL mondiale, oggi si stima siano 13 volte: 993 mila miliardi di dollari.

 

Oltre ad imprese e banche l'esposizione riguarda la pubblica amministrazione. Ed in questo quadro, l'Italia ha un triste primato europeo: l'esposizione ai derivati da parte del Ministero del Tesoro ammontava nel 2014 a 163 miliardi di euro. E' quanto è emerso dalla recente audizione alla Commissione Finanze della Camera di Maria Cannata, Capo della Direzione del Debito pubblico del Ministero dell'economia.

 

Il problema è che alla base della crisi strutturale c'è proprio il rapporto distorto fra economia finanziaria ed economia reale. E finché conviene di più investire in titoli finanziari che nelle produzioni e nell'innovazione tecnologica, magari improntata ad un minore impatto ambientale e alla qualità (ed utilità) dei prodotti, la spirale non sarà invertita. Peraltro, anche la recente scelta da parte della BCE di investire nei titoli di stato europei non va certo in questa direzione.

 

Le riforme di cui l'Europa e l'Italia hanno bisogno dovrebbero aiutare ad invertire questa tendenza, ovvero a stimolare gli investimenti nella qualità e nell'unicità, che poi significa conoscenza, beni culturali, energia pulita, difesa del territorio, agroalimentare, turismo. Per farlo bisogna tarpare le ali alla finanza e alla rendita. E modificare il nostro modo di pensare e di consumare.

 

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