"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Nei labirinti del mito

Orlando Gasperini

venerdì, 18 settembre 2015

Inaugurazione della mostra "Nei labirinti del mito" dell'artista trentino Orlando Gasperini.

La mostra rimarrà aperta fino al 10 ottobre 2015 (orario 10.00 - 18.00 dal lunedì al venerdì e 10.00 - 12.00 il sabato)

Nato nel 1954 a Borgo Valsugana, è sempre vissuto a Martincelli, frazione del comune di Grigno. Diplomato presso l'Istitituto Statale d'Arte A. Vittoria di Trento nel 1972, ha lavorato per 16 anni come disegnatore presso la Ceramica Valverde di Castelnuovo. Dal 1989 è stato bibliotecario a Grigno sino alla sua morte nel 2008.

Quella che segue è la recensione del critico d'arte Fiorenza Degasperi su un'altra raccolta di opere dell'artista trentino Orlando Gasperini tratta dal sito www.orlandogasperini.it

IL BESTIARIO DI DIO E DELL'UOMO (2006)

di Fiorenzo Degasperi


La Specialità sta nel vedere le cose del mondo materiale
come quelle del mondo spirituale
Nelle loro ramificazioni originarie e conseguenti.

Honorèé de Balzac, Louis Lambert
(la XVI massima di Louis Lambert)



Nel Vangelo di Giovanni (10.18) si legge: Ho il potere di deporre la mia anima, e il potere di riprenderla. E i Giudei si sono indignati di queste parole. Ma nel Fisiologo, scritto in Alessandria fra il II e il V secolo dopo Cristo, si legge che la fenice è un’immagine del Salvatore nostro: Egli è sceso infatti dai cieli, ha steso le sue due ali, e le ha portate cariche di soave odore, cioè delle virtuose parole celesti, affinché anche noi spieghiamo le mani in preghiera, e facciamo salire un profumo spirituale mediante buoni comportamenti.
Quello che un tempo era ora non è più. Quello che il fedele, nel tempo senza tempo del medioevo o del primo cristianesimo, provava di fronte a pitture e sculture che decantavano - per mezzo del mondo degli animali - la gloria di Dio e delle sue genti, ora non prova più.
Lo ricordava qualche tempo fa Marc Fumaroli in La Repubblica (21/11/2006, Il segreto dei classici): la comprensione dei capolavori dell’arte antica europea, e di conseguenza l’interesse che il pubblico dedica loro, è oltretutto ridotta dall’ignoranza della mitologia, della storia cristiana e della Sacra Bibbia che così spesso hanno prestato i loro soggetti all’arte.
Di fronte alla semplicità complessa di un’araba fenice mosaicata nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Roma (526-530 d.C.), all’aquila pensierosa che ci osserva, e ci giudica, assieme al Tetramorfo - l’angelo, il leone, il bue-toro - dall’abside o dal pulpito di qualsiasi chiesa romanica, l’homo religiosus, in quanto creatore e utente della simbologia del sacro, è venuto meno. Perché sono venute meno le conoscenze simboliche, i sottili legami annodati tra terra e cielo, la capacità di leggere il sacro, il segno come potenza del messaggio che vi è inscritto, il territorio e quindi la geografia sacra.
A distanza di secoli ci ha provato Louis Charbonneau-Lassay a ricucire lo strappo con il mondo dei simboli. Nel 1940, dopo anni di certosino lavoro, impreziosito dall’incidere lui stesso le centinaia di immagini-simbolo che corredano lo studio (1157 incisioni su legno), vede la luce per i tipi dell’editrice cattolica per antonomasia, la “Desclèé de Brouwer” (Parigi), “Le Bestiaire du Christ”. Un’opera monumentale sulla simbolica cristiana. Il libro sembra testimoniare l’indolenza del tempo, e la sua violenza, verso la candida purezza del cristianesimo: la guerra ha portato distruzione e ignoranza e la quasi totale scomparsa del libro, finito bruciato sotto un bombardamento. Una copia sopravvive nella Biblioteca Germanica di Firenze e, come l’araba fenice, questo testo riprende vita.
Con quest’operazione, l’autore prima, chi ripubblicò il testo poi, volle porsi sulla stessa strada di un antico proverbio ebraico che recita Quattro sono i re del mondo, il leone tra le fiere, il bue tra gli animali domestici, l’aquila tra i volatili e l’uomo tra tutte le creature; ma Dio sta sopra tutti. L’autore, addentrandosi in una foresta fatta di carne, popolata da una miriade di animali, narrati ancor prima dal Fisiologo, poi dai vari Bestiari che hanno popolato l’immaginario dell’uomo credente e non, ha voluto farci toccare con la mente e con la mano le gioie escatologiche della Salvezza o i turpi abissi della disperazione e del peccato. Animali di volta in volta accostati ad altri simboli, a segni, colori e forme. L’immaginario e il meraviglioso entrano di prepotenza dalle porte della fantasia occidentale portando con sé la ricchezza della cultura universale, indagata, secoli prima, già da Plinio il Vecchio. Un immaginario arricchito in seguito da Sant’Ambrogio (Exameron), Isidoro di Siviglia (Etimologie, ben venti volumi), e poi gli inglesi, cultori d’eccellenza del genere, e il Bestiaire de Philippe de Thaun e poi le decine e decine di bestiari d’amore, nati sulla punta della penna degli aedi cortesi provenzali, che di corte in corte mescolavano il sacro e il profano, nella consapevolezza che non c’è scissione tra bene e male, desiderio e amore, sesso e sacramento. Non ultimo il “Libro degli esseri immaginari” di quell’immaginario senza fine incarnato in Jorge Luis Borges.
Sottili legami, sottili fili che compongono ragnatele del sapere. Talvolta recisi dall’ignoranza, altre volte dimenticati dall’irruenza dell’immagine vorace che non si lascia meditare.
Chi sa ancora interpretare, dar corpo e luce al Mistero dell’Incarnazione, alla figura di Gesù Cristo, simbolo per eccellenza nella reale essenza divina nel mondo unico, colui che unisce e raccoglie a sé tutto il creato? Chi sa dar voce, nuovamente, al mondo animale – rane, cervi, pellicani, serpenti, granchi, ermellini, upupe, cigni, galli, ecc. – per poter, attraverso quello, capire l’insondabile labirinto della fede e dell’uomo? Dell’anima, della sua carne, della sua passione? In un mondo che di sogni, quelli veri, di fantasie, quelle vere, di immaginazioni, quelle vere, vuol fare a meno perché ritenute pericolose, fuorvianti, non omologabili, non unidimensionali?
Ci voleva un pennello usato come punteruolo dell’intaglio, per incidere il mondo del sacro e del profano. Per capire che gli animali sono le copie terrestri, le sbiadite icone di archetipi esterni esistenti nei cieli. Un pennello che può operare soltanto in disparte, in silenzio, in periferia. E tutto questo succede in quel piccolo centro, chiamato geograficamente Martincelli di Grigno, bassa Valsugana, là dove i confini con il Veneto si stemperano e il torrente Brenta, nelle giornate umide, fa scaturire dal proprio corpo la nebbia che tutto avvolge e tutto scontorna.
Dentro quella nebbia, come in una torre d’avorio del pensiero, opera Orlando Gasperini, da sempre sagace conoscitore della simbolica cristiana - e non solo -, uno dei pochi artisti che conosce il Bestiario del Cristo e ne carpisce il potenziale filo d’Arianna che collega il passato e il presente. Bibliotecario, pittore. Un connubio che ci fa apparire l’artista come un miniatore medioevale, chino, in una polverosa biblioteca di altri tempi, a redarre immagini che possano, da sole, spiegare o, almeno, senza arroganza, ci permettano di avvicinarci un po’ di più, alla conoscenza dell’uomo e di Dio. Perché conoscere vuol dire capire i meccanismi umani e naturali che regolano il microcosmo e il macrocosmo. E la pittura ci può aiutare a volgere lo sguardo costantemente ad uno spazio e ad un tempo denso di significati e di valori.
Pittura naturalistica, densamente abitata di icone umane e zoologiche, ambedue interscambiabili, sovrapponibili. In questa pittura si attua un sottile gioco di specchi dove, seguendone le regole non scritte, si attuano metamorfosi e commistioni. Dove l’umano diventa bestiale e il bestiale diventa umano.
Quello che ci propone Orlando Gasperini in questo ciclo composto da dieci edicole a forma di croce, presenti cinque riquadri, come in un gioco dal sapore infantile, è un percorso iniziatico. Dall’occhio del veggente impresso sulle variegate piume del pavone/il corpo che risorge, alla bianca colomba/purezza, passando per una sequenza infinita di particolari che ci rimandano a livelli diversi di interpretazione e di commistione con culture archetipe infinite – gli occhi dolci dell’unicorno, incarnazione del Verbo di Dio nel seno della Vergine Maria, ci osservano come angeli psicopompi – ci aprono le porte regali per una trasmutazione dell’umano. In animale per offrirsi poi, sulla tavola dell’altare, in spiritualità. Là, sulla tavola, si compie l’immemorabile sacrificio, il sangue e il pane si mescolano nell’eucarestia della salvezza. Salvezza da questo mondo che ci stringe, novello pitone, nelle sue spire, ammaliandoci con le sue innumerevoli tentazioni, spogliandoci del ricordo, della memoria, della vita.
Protagonista delle opere di Orlando Gasperini, dai contorni precisi e dai significati indefiniti, rimane pur sempre l’uomo. L’uomo che si trasforma, che cambia pelle o si maschera e traveste. Assumendo ora le delicate forme di un fiore, ora le mostruose sembianze di una sirena, che può trasmutare ad un tempo in un cuore sanguinante o in una lingua o ancora in un corno di muflone, o in una scimmia, ma che resta sempre se stesso, anche nel tentativo supremo di trasformarsi in pura luce, che è poi, letteralmente, l’unica vera metamorfosi.
Dicevo che queste opere-croci assomigliano tanto ai disegni che le bambine, un tempo, tracciavano sul terreno per poi gettare un sasso/filo d’Arianna, e saltellando su di una gamba ripercorrere l’itinerario di Teseo nel labirinto alla ricerca del Minotauro/Io. Sono percorsi che ricalcano le antiche vie che dall’oriente arrivavano all’occidente e dall’occidente portavano ad oriente, là dove nascono il sole e la speranza, dove è ubicato il Paradiso Perduto, nelle terre dell’immaginario e della fantasia: la Via dell’ambra dagli intrecci, la Via della seta e dei draghi, la Via Scitica della grande arte animalistica, la Via mediterranea dove Iside è a prua del vascello che risale il mondo della ricongiunzione. Tutte queste vie arrivano a Martincelli, dentro lo studio dell’artista, il quale diventa ombelico del mondo, dei saperi. Qui si ricompone il puzzle delle conoscenze multiple. E il gioco della croce diventa la doppia congiunzione di punti diametralmente opposti, simbolo dell’unità degli estremi, del cielo e della terra che si ritrovano a dialogare e a capirsi, della sintesi e della misura. Ma soltanto dentro le opere di Orlando Gasperini le mediazioni della morte espiatoria possono assumere significato per noi di attualità, riportandoci, al contempo, indietro nel tempo dove i quattro raggi sono l’antico simbolo precristiano della luce del sole, del corso dell’anno e della vita.
Turbine della creazione attorno al quale si dispongono in cerchio le gerarchie e gli ordini creati.
Pittura non semplice, icona regale dove al suo cospetto la materia diventa spirito e la carnalità è una delle vie regie per comprendere la natura divina. Perché, di tutti i tipi di esseri presenti in un Bestiario, per Orlando Gasperini è forse la Sirena la più significativa o, almeno, la più conturbante. La sirena, la quale incarna la Natura Universale: è la vagina e io sono il padre che dona il seme, si legge nella Bhagavadgītā (14.4.). Simbolo di vita e di morte, la sirena, come il serpente dalla lingua biforcuta, come l’uovo alchemico, sono elementi legati ad un Dio padre e ad una Madre celeste, che con i loro portatori e servitori sostituiscono semplicemente il fallo e la vulva, dando al simbolo un aspetto antropomorfico. Tutto questo si è riversato nel Bestiario dell’artista, stando ben attento a non svelare il mistero nel quale Dio si nasconde. Nemmeno attraverso la Trinità, l’occhio che ci guarda, ci osserva ma non ci offre la possibilità di un percorso di andata e di ritorno. Noi siamo fuori, il Mistero permane. La solitudine di Dio rimane tale. Ed è forse in questa solitudine che l’artista scopre la chiave del Mistero di Dio: la comunione attraverso la Sophia, la Sapienza. Perché, oggi, in mezzo al traffico, al caos, alla violenza, al sopruso, all’arroganza, siamo sempre di più soli. Avendo perso anche la materia coeterna divina, orfani della fede. Abisso e profondità si spalancano davanti a noi. Il Bestiario ci aiuta a capirci, a riannodare i sottili legami con il Sacro e l’Umano e a fermarci sull’orlo dell’infinito/vuoto.
Per gli eretici Valentiniani e gli adepti ofiti c’era nelle sommità invisibili e ineffabili, un eone perfetto Proon. Lo denominavano anche Preprincipio e Prepare e Abisso. Viveva un’esistenza impenetrabile e invisibile, sempiterna (aidios) e ingenita. In silenzio e in grande solitudine nei secoli senza fine. Coesisteva con Lui l’Idea (Annoia), chiamata anche Charis (= Grazia) e Sigè (= Silenzio).
La Grazia e il Silenzio sono i due parametri in cui agisce Orlando Gasperini con il suo Bestiario. E il Cristo è il ponte levatoio che ci conduce oltre: nella dimensione spirituale, nel castello dove possiamo ritrovarci, nello zooario dove si aggirano i nostri alter ego, nei meandri che ci fanno perdere per sempre.
Difficile trovare un pennello che intaglia, che incide in modo così esauriente e stimolante. Una figurazione viva, pura, pulita, dove i contorni servono come i recinti a tener dentro l’umano e tener fuori ciò che è altro da noi, il bestiale. Non isolandolo, non relegandolo nei territorio dell’oscurità. Ma conducendolo là dove le porte Scee di una Troia perduta, magicamente innalzate da Apollo e Poseidone, presiedute e protette dal Palladio, equivalente del Dio romano Giano, permettono la sua entrata dopo aver spostato il sacro velo o sigillo, magico cerchio, che circonda la città e l’anima.
Allora il Bestiario diventa parte di noi e noi parte del Bestiario. Gli animali si sono trasformati in una sorta di alfabeto simbolico riutilizzato da Orlando Gasperini per spiegare gli accadimenti del mondo, della quotidianità. Noi diventiamo animali. E nel nuovo stadio, nella nuova ma antica terra dove l’unicorno si può ancora incontrare e la scimmia ci fa sorridere, l’uomo trionfa, e lo spirito vince.

Trento, Palazzo Trentini, Via Manci 27

 

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