"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

«Modena, stazione di Modena. Per il futuro si cambia»

Modena, la sala del convegno

Giovedì scorso sono stato a Modena, nella sala della Fondazione Teatro San Carlo, un po' il cuore antico della città, per il Convegno dal titolo suggestivo “Modena, stazione di Modena”.

I migranti arrivano in treno e queste sono le parole con le quali vengono accolti. Loro però non sanno che cosa li aspetta, o forse sì perché Modena è una città ricca e dunque forse si aspettano di condividere un po' di quella ricchezza. Ma 400 ospiti diventano invece un problema. Numeri irrilevanti se rapportati alla popolazione, agli sportelli bancari e agli altri presunti indicatori del benessere, ma non per un immaginario collettivo che si auto alimenta di paure (e di quel che la gente vuol sentirsi dire) che i talk show televisivi spargono a piene mani pur di fare audience.

Accade in una piccola città di provincia come Modena, ma è lo stesso in tanti altri luoghi compreso il civilissimo Trentino che forse è ancora più ricco. Ed è importante quindi che le istituzioni locali, nel loro insieme, s'interroghino su quel che sta avvenendo, non soltanto con l'arrivo di persone da altri mondi ma anche nel proprio tessuto sociale atomizzato ed impaurito, per cercare risposte non banali oltre la presunta emergenza.

Proprio di questo si è discusso in un pomeriggio fitto di immagini, racconti, pensieri, esperienze concrete che hanno connesso la città di Modena con le moderne rotte degli immigrati, con la storia vicina e lontana di altri esodi e migrazioni, con la propria stessa coscienza civile fino a chiedersi che cosa ne è di quella comunità che nel secondo dopoguerra aveva ospitato nelle famiglie operaie e contadine della zona settantamila bambini provenienti dal Mezzogiorno d'Italia. Il tutto a partire dal racconto di Luigi Ottani e Roberta Biagiarelli che l'estate scorsa hanno accompagnato per qualche giorno la rotta dei migranti in Macedonia. Ne verrà anche un libro fotografico e non solo.

Nonostante il giorno infrasettimanale e un orario pomeridiano, la sala è gremita di persone attente, volontari, operatori sociali e dell'immagine, amministratori locali, nuovi cittadini. Fra loro anche il nuovo arcivescovo di Modena-Nonantola Erio Castellucci, persona impegnata dalla parte degli ultimi. Cinque ore fitte di parole e di immagini raccolte nel mondo e nei vicoli di questa stessa città, per indagare su questo nostro tempo. Nel mio intervento parlo delle rotte che nel corso del tempo hanno portato a dar corpo a questa Europa smarrita e che tende a dimenticare la propria stessa storia. Altri parlano di rotte balcaniche e africane, altri ancora delle loro esperienze sul piano dell'accoglienza e della cittadinanza.

Voci molto diverse, c'è materiale su cui riflettere dice l'assessora Giuliana Urbelli, perché tutto questo deve servire a motivare ulteriormente, in una certa misura ripensare e qualificare un impegno sul campo che richiede passione, competenza e quello sguardo lungo senza il quale ci si limiterà a ricorrere ciò che viviamo come un problema e che invece è semplicemente l'esito di questo tempo.

 

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