"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Le foibe e ... l'imbecillità

Foibe

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (36)

di Michele Nardelli

(10 febbraio 2016) Non amo le ritualità e nemmeno le giornate istituite per conservare la memoria. La capacità di far tesoro del passato dovrebbe essere un esercizio quotidiano, da far vivere nei nostri comportamenti normali, non eccezionalmente.

Ed è questa una delle ragioni per cui in questi ultimi anni ho molto insistito sulla necessità di elaborare la storia, nei suoi passaggi cruciali come nelle vicende che ancora segnano il vissuto e il dolore delle persone e dunque in particolare il Novecento.

Che questo secolo ancora incomba in maniera pesante sul nostro presente è un dato di fatto non solo per la sua vicinanza ma soprattutto perché i nodi cruciali che il Novecento ha posto sono in buona sostanza tutti lì, come altrettanti cavalli di frisia sullo scollinamento del secolo senza limiti.

Il problema è che la prassi purtroppo usuale di voltare pagina senza aver capito granché di quelle precedenti fa sì che i nodi ritornino al pettine, peraltro in forme oltremodo tragiche.

L'insorgere in Europa di muri e fili spinati a segnare confini che avevamo cercato faticosamente di rimuovere, ci racconta di un black out della memoria per assenza di elaborazione collettiva, analogamente all'incapacità di indagare la guerra, la cultura concentrazionaria (la shoah, il gulag e non solo), il delirante approccio che abbiamo con le risorse e l'ambiente del pianeta, e così via.

Figuriamoci la fatica di elaborare la complessità di singole pagine che, nel loro carattere controverso, richiedono uno sguardo libero da pregiudizi e attento alle diverse narrazioni quando queste esprimono comunque il dolore di chi le ha vissute.

Il fatto è che non ci sono altre vie d'uscita, bisogna avere il coraggio di prendere queste pagine per mano e possibilmente non da soli, affinché gli sguardi e le sensibilità possano concorrere alla loro parziale e forse mai definitiva elaborazione. Non farlo significa ritrovarsi di fronte alla parodia.

La parodia... E' quanto accade per le strade di Trento in queste ore, fra azioni di sciocca profanazione e raduni militareschi proprio intorno al “Giorno del ricordo”. E di cui un luogo civile farebbe volentieri a meno.

Nel recente passato, in questa terra, abbiamo cercato di far uscire la tragedia delle foibe tanto dall'oblio come dalle contrapposizioni ideologiche. Attraverso il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, il lavoro della Fondazione Museo storico del Trentino e di Osservatorio Balcani Caucaso ed infine con l'attenzione quand'anche talvolta rituale delle istituzioni trentine, ha preso corpo un percorso di elaborazione di uno dei conflitti più duri e violenti sviluppatosi nel cuore del Novecento lungo le faglie del confine nord-orientale di questo paese. Laddove da sempre convivevano popolazioni italiane e slave, in un intricato mosaico di appartenenze culturali e linguistiche che le vicende della storia adriatica e mediterranea avevano modellato e del quale il Novecento ha saputo fare scempio.

Il dvd “Aest Ovest” prodotto da Osservatorio Balcani Caucaso è uno strumento didattico semplice ed efficace per affrontare la complessità di questo conflitto fuori da ogni manicheismo e a questo lavoro rimando il lettore (http://aestovest.osservatoriobalcani.org/).

Ma ora, vedere questo prezioso lavoro di elaborazione calpestato dalla volgare esibizione muscolare, davvero mi addolora. E ancora più male mi fa il dover prendere atto che è più facile mobilitare il richiamo del sangue che la ragione.

Mi viene in mente il racconto di Lidia Campagnano nel suo bel libro “Gli anni del disordine. 1989 – 1995” (ormai introvabile) a proposito del professore di Zagabria che per anni aveva curato un giardino d'alta montagna sul versante del massiccio del Velebit che si affaccia sulla Kraijna. «Che cosa sarà accaduto a quella minuscola patria del professore, al passaggio di una guerra tra le più belluine, e poi, quando forse di lì è passato il fiume dei profughi? Anni di lavoro, per una patria roboante, o per niente? E che cosa avrà pensato, che cosa starà pensando il professore di Zagabria? Che cosa avrà pensato del senso che la storia dovrebbe assegnare al singolo, alla sua singola memoria, al suo singolo scegliere un'attività?»1

A che cosa serve tanta fatica se poi bastano quattro imbecilli, suffragati dal supporto mediatico che ama la contrapposizione feroce, per riportare tutto alle polarizzazioni novecentesche?

Scusatemi lo sfogo, continuo ad essere convinto che al lavoro di elaborazione non ci siano alternative, anche se purtroppo né la politica, né la società civile sembrano sufficientemente impegnate in questo ambito fondamentale. In fondo il manicheismo fa comodo a tanti, mentre il “mettersi in mezzo” ti espone alla solitudine e agli schiaffi degli uni e degli altri.

1Lidia Campagnano, Gli anni del disordine. 1989 – 1995. La Tartaruga edizioni

 

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