"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

La morte di un sinto e la pietà oscurata

Campo

di Zenone Sovilla (www.ladige.it)

Una persona è morta. Si è schiantata in moto mentre era seguita in auto da un’altra persona cui aveva rubato la borsetta. È successo sabato scorso a Trento. Ha perso la vita Armando Held, 52 anni, membro della locale comunità sinta. Una volta diffusasi la notizia, sui social media (e non solo) molte, troppe persone hanno ritenuto di poter liberamente vomitare di tutto. Ho letto frasi volgari, macabre, violente, naziste rivolte al defunto e alla sua comunità. Le lascio immaginare al lettore. In poche parole, una borsetta valeva più di una vita umana, se si trattava di un ladruncolo. Nessuna pietà.

Mi è capitato nella vita di subire furti: nell’intimità domestica, nell’auto, per strada. Credo dunque di sapere quanto faccia arrabbiare e provochi malessere ritrovarsi all’improvviso in queste circostanze spiacevoli. Ovviamente si auspica che i malfattori vengano assicurati alla giustizia e che il crimine venga prevenuto (però non è solo questione di manette e reclusione, le cose sono parecchio più complicate di quanto piace pensare a molti).

Ma come si fa ad augurare la morte o a compiacersi della dipartita non dico di uno stupratore assassino o di un serial killer, semplicemente di un malcapitato che per tirare a campare si arrangiava anche rubando? Quanti rubano, molto di più e sotto varie forme, nella nostra società, senza che ciò susciti reazioni di tale risma, truculente e insensate?

A questo punto non mi sembra superfluo ricordare che il defunto appartiene a un’etnia – i sinti - e a una popolazione, quella romanì, che fu perseguitata dai nazisti ai fini dello sterminio (circa 250 mila morti nei lager). Un’etnia peraltro tutt’ora oggetto, in Europa, di discriminazioni, persecuzioni, criminalizzazioni generalizzate.

Il registro spietato di una certa reazione sociale all’incidente di sabato scorso si è ulteriormente degradato quando la famiglia della vittima ha «osato» chiedere la verità sulla dinamica dei fatti e ha voluto ricordare che il compianto congiunto era una brava persona e un amato padre di famiglia.

Secondo numerosi imbrattatori dei social media, chi perde un parente in quel modo non ha il diritto di esternare il proprio dolore, di condividere il proprio sentire soggettivo, di manifestare il proprio affetto, di ricordarci che anche un ladro è una persona. Una persona che sbaglia; ma innanzitutto una persona.

Fa trasalire il gelido distacco palesato da questi untori seriali del Web (che peraltro, a proposito di legalità, con i loro commenti talvolta possono prefigurare vari reati, come l’istigazione alla violenza razziale). Una crudeltà cieca che forse potrebbe suscitare qualche simpatia fra i seguaci dei nuovi o vecchi fanatismi religiosi; ma non certo in chi ha a cuore lo stato di diritto e il rispetto della vita umana.

Si potrebbe essere tentati di augurare loro di finire un giorno nei panni del capro espiatorio, giusto per vedere l’effetto che fa (come recitava quel sermone, «Prima vennero...»)*; ma qui si tratta piuttosto di capire quale sia la deriva di una società preda dei più bassi riflessi condizionati. Di comprendere, per esempio, quanto gli individui e i gruppi sociali siano finiti nel tritacarne di un processo involutivo segnato da vari decenni di dominio «culturale» del mercato, di primato della privatizzazione dell'esistenza umana. L’estremismo ideologico neoliberista può generare anche questo, un rabbioso mors tua vita mea nel quale una vita umana vale meno di una borsetta. Il mercato è spietato e se viene interiorizzato acriticamente...

Tutti contro tutti, senza pietà (ma tra molti compromessi, magari illegali o immorali, praticati nel segreto della propria vita, per far carriera, tirare avanti, battere la concorrenza eccetera eccetera).

Per tornare alla tragedia di Trento, vanno infine menzionate alcune reazioni indignate relative ai funerali (nei quali per tradizione si brinda, si canta e si balla). Scontate quelle sui social o di vari esponenti di aree politiche tradizionalmente reattive su tematiche simili, cioè destra e destra estrema. Lascia un poco più interdetti che a intervenire con toni esacerbati siano esponenti del centrosinitra, per la precisione dell’Upt, come Donatella Conzatti, che riferendosi al funerale e ai sinti (come ospiti), scrive in Fb: «Il Trentino è una terra accogliente che sa far rispettare le regole. Quanto successo non è tollerabile!». Ma si accalorano anche Carlo Filippi e Fabio Pipinato (presidente del partito) i quali in un comunicato denunciano con scandalo che la grande folla presente in San Pio X ha causato una paralisi del traffico davanti alla chiesa. Inoltre, condannano il consumo di alcol e altri comportamenti nel corso della cerimonia funebre, a opera di persone che fra l’altro vengono apostrofate come «capibanda» e «lor signori» e accusate di «lordare i passanti». Il tutto naturalmente precisando che si «rispetta» la cultura di un’etnia minoritaria.

Ecco, il problemino è che rispettare le diversità può rivelarsi un esercizio più faticoso di quanto lo sia vanagloriarsene nei salotti della politica, proprio perché il confronto diretto con queste alterità dissonanti può anche variamente urtare la «nostra» sensibilità. E qui viene il bello.

Ora, escludendo che i tre esponenti della maggioranza governativa ritenessero che la polizia locale avrebbe dovuto sgomberare un funerale oppure usare idranti e manganelli contro «capibanda» e «lor signori», vien fatto di chiedersi che cosa abbia mosso questo infervorato J’Accuse. Forse un crescente clima sociale e politico, per così dire poco dialettico su certi temi? Forse un riflesso condizionato dal marketing del consenso con l’illusione di poter competere con chi in questi mercati ha esperienza pluridecennale? Forse l’esigenza impellente di liberarsi dello stigma ingrato di buonisti? Chissà. Lo sapranno loro.

Di certo se pensavano di esprimere un concetto originale scrivendo che la legge va rispettata da tutti, dovranno rassegnarsi all’idea di essere stati oltremodo banali. Che ogni cittadino, a prescindere dall’identità e dalle appartenenze sociali, deve vivere nella legalità è una premessa ovvia. Così come che ognuno nel caso va perseguito in quanto singolo individuo. Chi delinque paga una pena (su quale sia la più adeguata socialmente, poi, si può discutere e accapigliarsi).

Su questi temi da un politico si pretende semmai qualche articolazione di pensiero un poco più sofisticata e capace di porgere al consesso civile strumenti migliorativi della convivenza. In assenza di qualche idea minimamente illuminante, anche per un politico sarebbe saggio cogliere l’occasione per rimanere in silenzio. Specie in un clima già segnato da forti e sgradevoli tensioni.

* «Prima vennero...»

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare».

 

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