"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Liberare e federare

Europa unita

di Vincenzo Calì

(22 agosto 2016) Dall’autonomia al federalismo: parola d’ordine abbandonata da decenni, come ci ricorda Simone Casalini sul Corriere del Trentino di domenica scorsa, e mai come ora tornata di attualità. Nonostante Il triplice fallimento delle riforme (la Bassanini, il Titolo V della Costituzione, la Devolution) che tendevano, come ricordato nell’articolo, a stabilire nuovi criteri nella distribuzione dei poteri - non più centri e periferie, ma una rete di territori con pari dignità istituzionale – il federalismo è l’unica risposta in grado di mettere in sicurezza i valori della civiltà europea, oggi così fortemente minacciati.

Basterà l’incontro a tre promosso da Matteo Renzi a Ventotene a far sì che il federalismo scomparso batta un colpo? E’ lecito dubitarne, come ne dubita la stessa figlia di Eugenio Colorni, uno degli estensori del manifesto di Ventotene, finito vittima dei nazisti.

La credibilità di un governo, nella fattispecie quello italiano, più che nei richiami retorici ai padri fondatori di un’idea d’Europa in netto contrasto con il “nuovo ordine” hitleriano, sta nell’azione concreta tesa a realizzare un vero equilibrio fra i poteri: la riforma costituzionale che verrà sottoposta a referendum confermativo rende credibile il richiamo federalista di Renzi, o come sostiene Casalini è il “mito dello Stato che torna a fare capolino nel testo così fortemente voluto dal Presidente del Consiglio italiano?

Se solo guardiamo alle modifiche al Titolo V, il richiamo alla possibilità per lo Stato di richiamare a sé tutte le competenze unilateralmente dichiarate di interesse nazionale, la risposta all’interrogativo non può che essere positiva. E qui, come giustamente sottolinea Casalini, va registrato quello che appare il maggiore dei fallimenti: l’incapacità della nostra regione, bicefala come l’antico stemma imperiale, di farsi capofila del processo teso a portare l’autonomismo a bassa intensità delle regioni italiane ad un maturo federalismo.

I presupposti culturali ci sarebbero stati, se solo le classi dirigenti delle due comunità territoriali si fossero impegnate a renderli espliciti: della millenaria storia regionale sostanziata, grazie all’impegno popolare, di logiche pattizie tese a contenere i poteri forti, mancano i luoghi e i simboli con cui ricordarla e renderla così nota ai tanti detrattori delle autonomie speciali.

Autonomie speciali come tappa intermedia in vista di un maturo federalismo europeo, che si dovrà sostanziare, come già Gianfranco Miglio (di cui è ora disponibile la raccolta degli scritti politici) aveva suggerito, di un regionalismo forte più che di Stati dalla poco credibile sovranità ed indipendenza dai potentati economici.

Senza un moto di popolo che rivendichi le prerogative dell’autogoverno, non basteranno certo, per salvarne la sostanza, le clausole di salvaguardia previste nel nuovo testo costituzionale nè l’attesa di nuovi statuti, questi sì inattuali, visti i tempi di ferro e fuoco che l’Europa sta vivendo.

Alle accuse di conservatorismo verso chi ritiene che il nostro impianto autonomistico non dovrà essere toccato fino a quando non si affermerà davvero il federalismo non si può che rispondere con la parola d’ordine dell’Azionismo italiano, quella del nesso inscindibile fra “liberare e federare”.

 

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