"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Migranti e sinistra

Quarto stato

di Roberto Pinter

(18 settembre 2016) I flussi migratori sono uno dei processi che più incidono non solo sull'apertura/chiusura dei confini degli Stati e sulla rinascita dei nazionalismi ma anche sul l'orientamento politico e sui comportamenti dei cittadini. Il fatto che questi flussi non seguano poi la domanda del mercato del lavoro e che assumano un'evidenza e un'emergenza pubbliche intrecciandosi con la minaccia terroristica rende ancor più pesanti le conseguenze. Chi ne paga il prezzo più alto come cambiamento culturale e anche elettorale è la sinistra, che vede proprio nei suoi strati operai e popolari la migrazione verso orientamenti nazionalisti, leghisti o populisti che giocano sull'ambiguità (vedi anche i 5 stelle).

Il fatto che chi alimenta e gioca sulle paure abbia buon gioco rispetto a chi predica l'accoglienza è appunto un fatto, come è evidente che il buonismo non funziona rispetto alla percezione di una minaccia. Quello che non basta è appunto l'invocare il superamento di ogni pregiudizio, perché con la complicità del terrorismo e della crisi economica il pregiudizio ha gettato radici e se non si arriva al pregiudizio cresce comunque la diffidenza. Ci vuole qualcosa di più per non gettare tra le fila dell'elettorato di destra, rendendola maggioritaria, qualche milione di elettori.

Ci vuole ad esempio la consapevolezza che la sinistra sta parlando quasi esclusivamente a chi sta abbastanza bene per credere nella società delle opportunità e che non riesce più a parlare a quello che era o dovrebbe essere il suo popolo. E che parla attraverso rappresentanti che appartengono a quella parte di società che non si sente esclusa, che per professione o per rendita non hanno perso il diritto di cittadinanza né vivono in una perenne precarietà di lavoro e di reddito. Un po' come se l'accoglienza venisse promossa da chi non deve misurarsi con l'esercizio quotidiano, né deve frequentare gli stessi condomini e gli stessi pianerottoli.

Ci vuole l'umiltà di riconoscere le ragioni concrete del disagio sociale, che se è sbagliato dare risposta dirottandole sull'insofferenza verso i migranti è altrettanto sbagliato aver taciuto privandole di un qualche sbocco politico, di lotta e di emancipazione. Perché promuovere l'accoglienza funziona meglio se prima ho riconosciuto il disagio che vive chi dovrebbe accogliere e se me ne sono preso cura politicamente. Perché una nuova domanda di cittadinanza non può trascurare il diritto di chi ce l'ha o di chi la sta perdendo o che così la percepisce. Il diritto alla casa non può essere messo in competizione, né quello al lavoro o al reddito di cittadinanza. Non può esserci assenza di cura per i propri cittadini, quello è il problema. Poi ovvio che un leghista farà finta che ogni problema dipende dai migranti ma smentirlo sarà più facile se non viene meno la protezione sociale per tutti.

Siamo in un mondo dove l'uguaglianza non viene più considerata un valore né un obiettivo, tutt'al più si parla di diritti uguali per tutti o di pari opportunità. Ma in un mondo dove il divario sociale e l'esclusione sono sempre più accentuati dalla mostruosa concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, i diritti uguali e le pari opportunità sono solo parole. Cambiano le classi sociali ma la mobilità sociale si è ridotta, la precarietà e il rischio di esclusione riguardano sempre più ampi strati sociali e che qualcuno possa emergere non cambia il fatto che aumentano sempre di più i poveri. Chi ha una rendita o conquista un privilegio se li tiene stretti. E lo smarrimento davanti alla globalizzazione, la perdita di identità sociale, il lavoro che non c'è o che non garantisce una dignità e un futuro, fa sì che le masse degli ultimi che fuggono da guerre, povertà e disastri ambientali siano ora viste come una minaccia ulteriore. I penultimi rischiano di diventare ultimi e allora si scatena la guerra tra i precari dell'umanità ben alimentata dai politici che appartengono comunque tutti ai ceti privilegiati. La lotta per la redistribuzione della ricchezza e del lavoro, l'opposizione ad un sistema ingiusto lasciano il posto alla costruzione di muri visti come difesa del proprio status per quanto precario sia.

La socialdemocrazia ha accettato il sistema capitalistico sperando di renderlo meno iniquo e puntando sullo sviluppo come opportunità per tutti, ma lo sviluppo oggi ha tolto a tanti per darlo a pochi. Concentrarsi sull'uso delle briciole per ridurre l'esclusione sociale e, mantenendole invariate, ampliarne la platea dei beneficiari invece di ampliare i posti a tavola è la visione prevalente tanto delle democrazie che dei sistemi autoritari. E se la sinistra ha un senso dovrebbe offrire un'altra visione, proporre una reale emancipazione a chi oggi è escluso e creare un'alleanza tra ultimi e penultimi per cambiare lo stato delle cose. E invece la sinistra, davanti allo tsunami delle migrazioni e della crescente povertà si è rifugiata al primo piano con un ingiustificato e reiterato ottimismo per la ripresa dello sviluppo e confidando nella tenuta della convivenza.

Non che sia facile riprendere il legame con quello che era il popolo, non che sia semplice dare rappresentanza a chi privo di prospettive si è rifugiato nelle paure, ma certamente stare al primo piano, senza peraltro dare l'idea di essere in grado di governare né talvolta di partecipare al governo del condominio, non è una buona idea.

Una credibilità già compromessa da corruzione e difesa dei privilegi si riduce ulteriormente quando si fissano le riforme costituzionali o elettorali come priorità mentre il paese, pure ricco di grandi risorse umane e materiali, soffre stretto tra poteri finanziari e poteri criminali e vede le paure degli anziani intrecciarsi con le precarietà dei giovani e le difficoltà di milioni di famiglie.

Bisognerebbe scendere dal primo piano e mettere in discussione i piani alti, e quanto meno non bisogna lasciare che i migranti rimangano sugli stessi pianerottoli di chi stenta ad arrivare alla fine del mese. Senza strumentalizzazioni politiche e distorte visioni mediatiche i problemi sarebbero minori e non mancherebbero i mezzi per assorbire l'emergenza ma in un mondo lacerato dalle guerre e dall'incuria per il pianeta non ha senso minimizzare. Bisogna essere responsabili, l'accoglienza va difesa, la convivenza è possibile se nessuno arretra, quanto all'integrazione quella andrebbe costruita ma richiede ben altra riflessione.

 

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