"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

La religione e la scuola

classe

di Flavio Ceol

L'insegnamento della religione nella scuola è stato un argomento molto discusso in queste ultime settimane. Dapprima  la sentenza del Tar del Lazio che metteva in discussione la possibilità di utilizzare la valutazione dell'insegnamento della religione cattolica per i crediti scolastici basando la sua decisione su quanto scritto nel testo del Concordato dove si afferma che gli studenti esercitano il diritto di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento di religione cattolica senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.

Successivamente la diffusione del documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica che negava la possibilità di un insegnamento del fatto religioso di natura multiconfessionale e riaffermava il diritto (classificato sotto la voce libertà) di ricevere un insegnamento religioso confessionale, infine la proposta dell'introduzione nella scuola di un'ora per l'insegnamento religioso islamico.

Per comprendere la problematicità della questione è bene forse esaminare la genesi della questione e sottolinearne le contraddizioni che sono la causa delle difficoltà attuali di far convivere un insegnamento di questo tipo con il principio (supremo l'ha definito la Corte costituzionale) costituzionale di laicità e con l'altro grande principio dell'uguaglianza.

Il Concordato del 1985, infatti, ha definitivamente escluso che ci sia una religione di Stato ma, contemporaneamente ha introdotto un insegnamento confessionale (e che sia tale lo dimostra il documento della Congregazione per l'educazione cattolica di cui sopra e che l'Assessore Rossi, per esempio, farebbe bene a leggere prima di fare delle dichiarazioni in materia) nella scuola. Un insegnamento con docenti che sono in possesso di idoneità riconosciuta dall'ordinario diocesano e da esso revocata, punto 2.5 dell'Intesa tra Ministero della Pubblica Istruzione e CEI, con libri di testo che, per essere adottati nelle scuole, devono essere provvisti del nulla osta della Conferenza episcopale italiana e dell'approvazione dell'ordinario competente, punto 3.2 dell'Intesa, con programmi di studio che sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della pubblica istruzione previa intesa con la Conferenza episcopale italiana, ferma restando la competenza esclusiva di quest'ultima a definirne la conformità con la dottrina della Chiesa.

E' chiaro che un insegnamento di questo tipo non può essere considerato nelle stessa maniera di tutte le altre discipline scolastiche che dovrebbero essere basate sulla ricerca e sulla capacità di stimolare apprendimenti critici anche eterodossi. Tant'è vero che che l'accordo del 1985 per conciliare l'inconciliabile ha deciso che tale insegnamento sia del tutto facoltativo. Spesso nei commenti è stato usato, in maniera scorretta, il termine opzionale per designare lo status di questo insegnamento pensando di risolvere il tutto con un insegnamento alternativo. Nella realtà non c'è nessuna opzione, intesa come scelta tra diversi insegnamenti, che  può essere invocata in alternativa all'attuale insegnamento della religione cattolica. Chiare in questo senso sono le frasi contenuta nella sentenza n. 13 del 1991 della Corte costituzionale quando afferma occorre qui richiamare il valore finalistico dello stato di non obbligo, che è di non rendere equivalenti e alternativi l'insegnamento di religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall'esterno della coscienza individuale l'esercizio di una libertà costituzionale, come quella religiosa coinvolgente l'interiorità della persona.

Per queste ragioni l'insegnamento della religione cattolica è correttamente facoltativo, non corrispondente ad esso, per i non avvalentesi, niente di obbligatorio; fatto che non può essere censurato come mancanza di impegno in quanto come dice sempre la Corte nella stessa sentenza non è pertanto da vedere nel minore impegno o addirittura nel disimpegno scolastico dei non avvalentesi una causa di disincentivo per le future scelte degli avvalentesi, dato che le famiglie e gli studenti che scelgono l'insegnamento di religione cattolica hanno motivo di tale serietà da non essere scalfite dall'offerta di opzioni diverse.

Essendo così connotato sembra evidente che non può essere considerato una proposta didattica aperta a tutti e che, in nome dell'uguaglianza, sia legittimo che anche altre confessioni religiose chiedano spazi nella scuola pubblica per un insegnamento analogo per la loro religione. Una richiesta legittima e coerente con il pasticcio con cui è stato introdotto nelle scuole pubbliche un insegnamento come quello della religione cattolica.

Oltre che sulla legittimità, però, è bene anche ragionare sull'opportunità dell'introduzione nelle scuole di varie ore di insegnamenti confessionali. La scuola, luogo di aggregazione e di positivo confronto delle diversità diventerebbe un contenitore di luoghi separati e nei quali i bambini vengono coartativamente divisi per fedi religiose.

Per evitare questo, però, non è possibile continuare a prevedere un privilegio per la religione cattolica ma, forse, è venuto il momento di mettere in discussione proprio tale privilegio e, quindi, la presenza com'è prevista oggi delle ore di insegnamento cattolico nelle scuole assecondando nella realtà richieste già presenti da tempo, anche se minoritaria, nella stessa comunità cattolica.

Se non si sceglie questa strada la richiesta delle altre confessioni religiose non può che essere accolta.

 

 

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