"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Democrazia e partecipazione

Il maggioritario è l'erba sotto i piedi del populismo
Una scritta intelligente

di Francesco Pallante *

La vocazione maggioritaria, ancora lei. Era il 2007, al Lingotto di Torino. Walter Veltroni, segretario in pectore del nascente Partito democratico, usò una oscura espressione: «Il Partito democratico deve avere in sé un’ambizione, al tempo stesso, non autosufficiente ma maggioritaria».  E continuava: «… L’elettorato è razionale, mobile, orientato a scegliere la migliore proposta programmatica e la migliore visione. Fiducia in questa vocazione maggioritaria significa oggi lavorare per rafforzare l’attuale maggioranza. Io rispetto e stimo i nostri partner della coalizione».

Sappiamo bene come andò a finire: con rispetto e stima, il Pd mise i partner della coalizione sotto schiaffo del voto utile e, correndo da solo alle elezioni del 2008, ottenne il loro annichilimento. Da quelle votazioni scaturì la più grande maggioranza parlamentare della storia repubblicana: a favore di una coalizione di centrodestra. La cosa straordinaria è come una storia di così clamoroso insuccesso sia stata assunta a mito fondativo dell’esperienza politica del Partito democratico. Un po’ come la sconfitta subita per mano dell’esercito ottomano a Kosovo Polje nel 1389 è assurta a vicenda caratterizzante il nazionalismo serbo. Gli elettori saranno forse razionali (ne siamo proprio sicuri?); i gruppi dirigenti sembrerebbe di no.

Il nuovo governo e le autonomie
Bandiere del Friuli e dell'Europa

E’ possibile portare l'autonomia speciale del Friuli Venezia Giulia fuori dalle secche del gioco politico di propaganda?

di Giorgio Cavallo *

(12 settembre 2019) Una premessa. Ho comunque apprezzato il tentativo di M5S e PD di dare vita ad un governo di rottura con la deriva antipolitica a rischio autoritario della coalizione precedente. Le affinità dei capitoli di programma di questa maggioranza sono più vaste di quelle del contratto di governo. E, fino a prova contraria, le forze di destra (Lega, FdI e Forza Italia, più Casa Pound e Forza Nuova) non rappresentano nessuna maggioranza del paese, nemmeno alle elezioni europee di primavera (49,9% del 56% dei votanti), e tanto meno alle politiche del 2018 (37% del 72,9% dei votanti). Le urla scomposte di questi giorni segnalano un vuoto mentale che gioca sulla bassa predisposizione del “popolo” per la matematica, confondendo numeri immaginari per reali. Tuttavia come ha detto la senatrice Segre ci siamo fermati sull’orlo dell’abisso, ma non siamo certo in un “porto sicuro”. E il panorama intorno non è fatto da amene colline.

Democrazia e disobbedienza. Una sfida su cui riflettere
Trento, 1975. Occupazione Santa Chiara

Se tutto si riduce a un interrogativo giuridico, a chi crede nella politica resta l’amaro in bocca

di Donatella Di Cesare *

La disobbedienza civile non vale solo nei regimi dispotici. È, anzi, il sale della democrazia.A provocarla è, come ha scritto Hannah Arendt nel 1970, «l’incapacità del governo di funzionare adeguatamente». I cittadini sono assaliti dal dubbio sulla legittimità di una legge. Non sanno, però, come esprimerlo, perché l’opposizione è affievolita o tace del tutto. Il timore è di restare inascoltati, mentre il governo insiste in quelle iniziative «la cui legalità e costituzionalità suscitano molti interrogativi».

Parlare di «ribellismo» è pretestuoso. Sarebbe comodo «ridurre le minoranze dissidenti a un’accozzaglia di ribelli e traditori». Ma chi disobbedisce si muove nel quadro dell’autorità costituita. Non viola la legge — la sfida. E la sfida in nome di una legge più alta, di una Costituzione tradita, di una giustizia mancata. Articola il disaccordo pubblicamente e opera per il bene comune, assumendosi la propria responsabilità. Certo che la legge non può giustificare la violazione della legge! Perciò i disobbedienti si muovono ai margini, dove il diritto è chiamato in causa dalla giustizia.

L'aula può dare di più
Michele Nardelli in Consiglio Provinciale

Ringrazio Enrico Franco, già direttore del Corriere del Trentino, per questo articolo. Veder riconosciuto il proprio impegno fa sempre piacere. Contestualmente  devo prendere atto con rammarico nel veder venire meno uno degli elementi essenziali della cultura istituzionale, laddove la funzione legislativa, come sottolinea Enrico, dovrebbe spettare all'Assemblea consigliare e ,aggiungo io, le leggi approvate si dovrebbero applicare, oppure cambiare o abrogare. Alcuni dei provvedimenti legislativi di cui sono stato primo firmatario e approvati dal Consiglio Provinciale sono rimasti infatti lettera morta. I Presidenti del Consiglio dovrebbero esserne garanti. (m.n.)

di Enrico Franco *

Mentre a Trento e Bolzano i presidenti delle Province autonome cercano di comporre il mosaico delle rispettive giunte, con difficoltà diverse ma in entrambi i casi con più tessere a disposizione rispetto ai posti da riempire, gli aspiranti a uno scranno sgomitano. Lo fanno non solo per ambizione e per una più o meno sana brama di potere, ma anche perché convinti che altrimenti sarebbero condannati a cinque anni di irrilevanza.

In nome dell’efficienza di governo, infatti, l’azione dell’esecutivo si è estesa sempre più, al punto che di fatto ha assorbito quasi totalmente anche la funzione legislativa. I consiglieri, così, si sentono ridotti a parti in commedia, chiamati ad alzare la manina quando richiesto, senza concrete possibilità non solo di veder approvato un proprio disegno di legge, ma perfino di riuscire a modificare quelli portati nell’Aula dal governatore o dagli assessori.

Dio, Patria, Famiglia? Un oltre, senza patrocinio...
Un'immagine del Dolomiti Pride

«Tempi interessanti» (82)

Non so se fossero diecimila le persone che hanno partecipato al Dolomiti Pride, ma erano davvero tante, gioiose, colorate... giovanissime ma anche con i capelli bianchi. Una società in trasformazione oltre gli stereotipi di un tempo che non c'è più... Certamente con una idea di famiglia che ha ben poco a che vedere con la patria delle bandiere tricolori che ancora segnano le strade di Trento. O con quella di un dio oppressivo ad immagine e somiglianza di religioni ostili al cambiamento nel modo di vivere delle persone.

Che cos'è la patria nel tempo dell'interdipendenza e della globalizzazione? Che cosa sono le religioni che impugnano i loro simboli come armi di divisione, che non s'interrogano sulla sostenibilità del pianeta e sul dio denaro? E che cos'è la famiglia che fa finta di non vedere la violenza quotidiana e il femminicidio che in essa si consuma? ...

La partecipazione. Un saggio di Alessandro Branz
Populismi

(23 aprile 2018) Ricevo dall'amico Alessandro Branz questo breve saggio attorno ad un tema - quello della partecipazione e delle forme della democrazia - piuttosto controverso. Un saggio interessante che funge da introduzione ad un tema spesso trattato superficialmente. 

Branz propone un concetto innovativo di "partecipazione", con alcune indicazioni di contenuto e bibliografiche per chi voglia approfondire. Un contributo che potrà e dovrà in futuro arricchirsi - come ci ricorda Alessandro - di ulteriori riflessioni: il rapporto tra partecipazione e forma-partito e soprattutto la legge trentina sulla partecipazione che nel testo viene soo accennata, ma che per essere compresa (ed eventualmente migliorata) va inquadrata nel contesto teorico e pratico che in questo breve lavoro Branz cerca di delineare.

 

 

 

 

Questioni di civiltà
nuovi scenari

di Simone Casalini *

Ci sono alcuni retaggi che resistono al tempo come falene fatalmente attratte dalla luce. I mutamenti sociali rientrano in tale orbita perché mettono sotto stress l’immobilismo concettuale e impongono mediazioni senza approdi certi. Appartiene al genere l’ultimo dibattito in consiglio regionale che ha dapprima respinto una mozione di sostegno al disegno di legge sullo «ius soli temperato», bloccato in parlamento per fini di consenso, e poi approvato una contromozione dell’ex Patt Walter Kaswalder con l’astensione degli autonomisti e il sì della Svp. Politicamente è un fatto grave perché una coalizione prossima alle elezioni (centrosinistra autonomista) non può disunirsi su un tema che chiama in causa la propria visione del mondo. Lo «ius soli temperato» è il tentativo, nemmeno troppo generoso, di allargare le maglie della cittadinanza riconoscendola a chi è nato e si è formato in Italia.

 

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