Un viaggio in Spagna, a Toledo per la precisione, sulle tracce degli ebrei sefarditi che furono cacciati nel XV secolo dalla penisola iberica e arrivarono in Bosnia Erzegovina. L'occasione per una profonda riflessione sulla memoria, sull'Olocausto, sulle tragedie della storia
Riprendo questo scritto dell'amico Bozidar, pubblicato nei giorni scorsi da Osservatorio Balcani Caucaso – Transeuropa in occasione del giorno della memoria. Perché conoscere la storia è condizione essenziale per comprendere il nostro tempo.
di Bozidar Stanisic
(27/01/2021) Tutte le guide turistiche, sia digitali che cartacee, ripetono, tanto da sembrare un disco rotto, che vale la pena visitare Toledo, per le sue chiese, per la fortezza Alcázar, per il ponte di Alcántara, e soprattutto per El Greco. Non dimenticano di menzionare anche i souvenir – spade, coltelli, armature da cavaliere – , sottolineando inoltre che Toledo è il capoluogo della comunità autonoma di Castiglia-La Mancia e che il fiume Tago crea un anello, unico nel suo genere, intorno alla città situata in cima a una collina che sembra essere stata predestinata ad ospitare un insediamento umano. Le guide spiegano anche che Toledo è la sede dell’omonima arcidiocesi e spesso ricordano ai turisti che quella regione è la terra di Don Chisciotte. A Toledo i viaggiatori possono acquistare souvenir raffiguranti il cavaliere dal volto triste e il suo servitore Sancho, e quelli malaccorti potrebbero inciampare nella statua dell’immortale personaggio di Cervantes situata in una stretta viuzza di questa città che – come si afferma nelle guide – vanta una lunga e ricca storia.
Lunga e ricca… E dolorosa, dico tra me e me. Ma, a onor del vero, non dolorosa per tutti. Dico a me stesso anche che in quel tardo autunno del 2018 mi recai a Toledo non per i motivi di cui sopra, bensì per visitare il quartiere ebraico della città. Dopo aver letto molti libri sull’espulsione degli ebrei dalla penisola iberica, decisi di visitare quel quartiere che in tutte le altre città della Spagna un tempo abitate da ebrei chiamano “judería”.
sabato, 14 dicembre 2019 ore 12:30
Un momento di restituzione dell'undicesimo itinerario «Roma e Bisanzo. Guardando la Mezzaluna fertile» del Viaggio nella solitudine della politica si svolgerà sabato prossimo 14 dicembre 2019 all'Osteria Sant'Anna, in loc. Sant'anna di Sopramonte (Trento). L'appuntamento è per le ore 12.30.
L'incontro sarà in primo luogo dei partecipanti al viaggio (saranno quasi tutti presenti) ma ovviamente è aperto a tutte le persone interessate (occorre però la prenotazione).
Sarà anche l'occasione per parlare dei prossimi itinerari.
Sant'Anna di Sopramonte (Trento)
mercoledì, 18 settembre 2019 ore 07:00
Dal 18 settembre al 23 settembre 2019 si svolge un nuovo viaggio di formazione in Bosnia Erzegovina rivolto agli insegnanti dell'Emilia Romagna. Il cuore del percorso formativo è dedicato a quanto accaduto nella regione balcanica alla fine del Novecento e a quel che quegli avvenimenti avrebbero potuto insegnarci.
ll percorso formativo è promosso dall'Istituto storico di Modena in collaborazione con la Rete dei Musei storici dell'Emilia Romagna e dall'Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna. Ad accompagnare il viaggio Michele Nardelli.
Bosnia Erzegovina
Storia, culture, ibridazioni nello spazio mediterraneo
27 settembre - 8 ottobre 2019
Itinerario n.11 del Viaggio nella solitudine della politica
Venezia – Senj – Mostar – Sarajevo – Dubrovnik – Kotor – Salonicco – Istanbul – Nis – Belgrado
(27 settembre - 8 ottobre 2019)
Viviamo in un ingorgo che si fatica a decifrare. Una difficoltà che non è solo l'esito della complessità in un tempo sempre più interdipendente, ma del venire a galla dei grandi nodi che l'umanità aveva erroneamente affidato alle magnifiche sorti e progressive. Come nelle parole di Walter Benjamin sull'Angelus Novus, quando le macerie della prima guerra mondiale già lasciavano presagire quale sarebbe stato l'esito del Novecento, è il concetto di progresso ad essere in discussione, così come il nostro rapporto con la natura e il tema del limite nell'agire umano.
Nodi di carattere filosofico e religioso che lungo la storia hanno prodotto vere e proprie faglie, spaccature profonde mai sanate che hanno lastricato il cammino dell'umanità. Fra tutte, quella fra Oriente e Occidente, che investe fra l'altro il rapporto fra modernità e tradizione, stato di diritto e stato etico, libertà e sovranità.
Quello che ci si propone con l'undicesimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” è di scandagliare questa faglia, forse quella che ha conosciuto più cesure ma che più di altre ha generato straordinari sincretismi.
I passi conclusivi del “Viaggio nella solitudine della politica”
di Michele Nardelli
Due anni fa la proposta di un viaggio che indagasse la solitudine – ovvero la fatica e l'urgenza – della politica. Ne sono venuti sin qui un un prologo trentino che ci ha mostrato con un anno e mezzo di anticipo lo sfarinarsi del blocco sociale che aveva resa possibile l'anomalia politica di questa terra, dieci itinerari in altrettanti limes cruciali per mettere a fuoco l'interminabile transizione verso un “non ancora” che stenta a prendere corpo, occasioni di incontro nelle forme più svariate e non meno di quattrocento persone coinvolte, ma soprattutto immagini e pensieri che quotidianamente ci aiutano a fare i conti con una cassetta degli attrezzi sempre più inservibile e con inediti scenari nei quali urgono nuovi paradigmi.
La stessa presentazione di un libro come “Sicurezza” – sin qui più di trenta incontri con oltre ottocento partecipanti e una prima ristampa – che indaga uno dei tratti più complessi ed insidiosi del presente, è diventata parte di questo viaggio nel nostro tempo.
A sei mesi dal ciclone che il 29 ottobre ha investito le foreste dolomitiche e carniche, sradicando 14 milioni di alberi, “La Nuova Ecologia” è tornata sulle Alpi orientali. Per raccontare gli effetti del clima che cambia, anche in montagna. E capire se ci stiamo attrezzando per il futuro. Un reportage di Fabio Dessì pubblicato sull'ultimo numero del mensile di Legambiente "La Nuova Ecologia" dedicato al decimo itinerario "Esiti del cambiamento climatico" del "Viaggio nella solitudine della politica".
di Fabio Dessì
Eravamo abituati a guardarli in tv gli effetti dei cambiamenti climatici, a leggere di eventi estremi su giornali e siti internet: incendi giganteschi, uragani sempre più frequenti e violenti, piogge torrenziali. Accadevano, e continuano a farlo, dall’altra parte del mondo. Pensavamo che la faccenda non ci riguardasse in prima persona, che nella peggiore delle ipotesi se la sarebbero sbrigata i nostri nipoti. Illusioni spazzate via lo scorso 29 ottobre dal ciclone mediterraneo “Vaia”, che ha raggiunto le Alpi orientali per accanirsi sulle foreste dolomitiche e carniche. In poche ore in Trentino, Sud Tirolo, Veneto, Friuli Venezia Giulia, e in piccola parte Lombardia, sono stati strappati dalla terra in cui affondavano le radici 14 milioni di alberi, scagliati verso i paesi di fondovalle, dentro fiumi e laghi. Sei mesi dopo attraversare quelle valli e quei passi è un colpo al cuore: i boschi si sono trasformati in radure costellate da ceppaie. E in ogni area colpita dalla furia di acqua e vento sembra di trovarsi davanti a un enorme “shangai”. Perché, visti da lontano, quelli ammassati l’uno sull’altro sui versanti sembrano migliaia di bastoncini. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta invece di abeti rossi piantati dopo la prima guerra mondiale. Con loro sono venuti giù anche pini neri e silvestri, faggi, tigli, aceri, ontani, larici, querce, frassini, sorbi, betulle. Servirà grande attenzione nel rimuovere le piante schiantate, dove è possibile farlo, e tanta pazienza. Ma la sfida più dura sarà convincere i più giovani a non ingrossare le fila di chi la montagna l’ha già abbandonata.
sabato, 20 aprile 2019 ore 06:00
Dal 20 al 25 aprile 2019 sarò ancora una volta in Bosnia Erzegovina ad accompagnare un nuovo viaggio del turismo responsabile promosso dall'associazione "Viaggiare i Balcani".
Per molti dei partecipanti sarà il primo viaggio nel cuore a molti sconosciuto dell'Europa e dunque l'opportunità di conoscere oltre al fascino di questa regione anche un tratto rimosso della nostra storia, quella che nell'incontro fra oriente e occidente ha plasmato i caratteri europei e quella di un Novecento che nasce e muore a Sarajevo.
Per me il piacere di riabbracciare questa mia terra d'adozione, che tanto mi ha aiutato a comprendere questo povero tempo nostro.
Per saperne di più e leggere il programma: http://www.viaggiareibalcani.it/proposta/pasqua-2019-in-bosnia-erzegovina/
Mostar, Blagaj, Sarajevo, Travnik, Prijedor
Il reportage del decimo itinerario del "Viaggio nella solitudine della politica" dal titolo "Esiti del cambiamento climatico. Nelle Alpi devastate dagli eventi atmosferici" (15- 17 febbraio 2019)
di Micaela Bertoldi
Alberi con i piedi per aria
tronchi schiantati,
riversi
su pendii privati di chiome
alopecia di monti feriti.
Mortificato,
lo sguardo sorvola
i cimiteri tristi dove natura
giace sconfitta.
Alberi e sogni sono caduti.
Smarriti e soli. Silenti.
Natura che ignora i confini e si ibella alle prepotenze umane
Di sconfitte e sogni, abbiamo parlato nel decimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica”, incontrando persone addolorate per gli eventi catastrofici che si sono riversati sui territori Dolomitici e delle Alpi Carniche lo scorso 29 ottobre: un nuovo limes che la ribellione della natura ci sottopone attraverso il lamento della montagna e di chi ci vive.
Sindaci e amministratori locali, rappresentanti delle Proprietà collettive e delle Comunità di Regola, lo Scario della Magnifica Comunità di Fiemme, i responsabili dei servizi forestali provinciali, regionali, demaniali delle province di Belluno, di Udine e di Trento, rappresentanti di associazioni ambientaliste o cooperative che operano nel settore legno: in ogni incontro abbiamo parlato con cittadini preoccupati non solo per come si affronta il presente – con le opere di primo rimedio ai guasti franosi, con la pulizia di ettari di bosco devastati, con il ripristino della viabilità – ma anche e soprattutto sugli scenari oltre l'emergenza che investono il tema cruciale della montagna.
(23 febbraio 2019) Come forse saprete nei giorni scorsi si è svolto il decimo itinerario del "Viaggio nella solitudine della politica", in questo caso ambientato nelle Alpi devastate dagli eventi atmosferici dell'ottobre scorso ed in particolare nelle Dolomiti bellunesi, nel Cadore, in Carnia, in Val di Fassa, nell'area di Carezza, in Valle di Fiemme e nel Lagorai.
Un viaggio ricco di immagini, incontri, riflessioni attorno a realtà molto diverse fra loro per caratteristiche naturali, assetti proprietari ed istituzionali, condizioni economiche ed altro. Ma accomunate da un territorio montano che per la sua fragilità richiede attenzione e cultura del limite. E che, anche per questo, fatica ad entrare nelle agende politiche.
Ne verrà, come in in ognuno dei nostri itinerari, un reportage, uno o più racconti scritti e fotografici per giornali e riviste, un incontro con alcuni dei protagonisti del viaggio che pensiamo di realizzare entro il mese di marzo a Trento. Forse un film.
E, nell'immediato, un video con le splendide immagini di Razi Mohebi e Soheila Javaheri che i lettori possono già trovare qui: https://youtu.be/ymOQCYjIxvY (con preghiera di diffusione).
Per ricordare l'11 luglio 1995. Ripropongo, per chi non l'avesse letto, un racconto breve dedicato a Srebrenica.
di Michele Nardelli
«Noi riteniamo …
che tutti gli uomini sono stati creati uguali,
che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili,
che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità...»
dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America
Filadelfia, 4 luglio 1776
Erano fabbriche, il lavoro rendeva liberi.
Si accorsero ben presto che non era così, quand'anche chi riuscì ad uscirne vivo facesse fatica a raccontarne l'orrore. Del resto in pochi avevano voglia di ascoltare. Persino le immagini vennero censurate per non urtare la falsa coscienza. Meno se ne fosse parlato, in fondo, meglio sarebbe stato.
Ma il lavoro non rendeva liberi. Non nei campi della morte dove quella scritta campeggiava come un programma, in tragica sintonia con il fumo delle ciminiere. Non a Jasenovac, il principale campo degli Ustasa croati, crudeli epigoni dei loro amici nazisti e fascisti, dove gli internati che non venivano assassinati al loro arrivo (come i rom) avevano il “privilegio” di venir condotti ai lavori forzati fino allo stremo. Non nei gulag staliniani dove la riabilitazione prevedeva il lavoro nei boschi e nelle segherie (molte delle quali nella regione di Arkangelsk ancor oggi in funzione) nel silenzio e nel gelo siberiani. Non nella Risiera di san Sabba, campo di lavoro e di sterminio nostrano che la falsa coscienza della città di Trieste non ha mai smesso di rimuovere. Non nell'isola calva1, dove chi non veniva piegato dal caldo torrido e dal gelo impietoso del mare dove gli internati erano costretti a spaccare pietre e scavare sabbia, passava sotto le bastonate e l'umiliazione del “kroz stroj” e del “bojkot”2. E nemmeno ad Omarska, qualche decennio più tardi, in quei capannoni per la lavorazione del materiale ferroso che oggi esibisce le insegne dell'Arcelor Mittal, il più grande gruppo mondiale dell'acciaio, dove riapparvero i campi di concentramento in nome della razza e del credo religioso e dove l'attuale proprietà nega la realizzazione anche solo di un piccolo luogo della memoria.
Quello che segue è il quarto racconto breve che trae spunto dal percorso formativo “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”. Esce in contemporanea sul sito di Osservatorio Balcani Caucaso - Transeuropa (www.balcanicaucaso.org)
di Michele Nardelli
«... Sarajevo è diventata ben presto metafora del mondo.
Il luogo in cui differenti volti del mondo si sono raccolti in un punto
come nel prisma si concentrano i raggi di luce dispersi ...
E' diventata un microcosmo,
centro del mondo che, come ogni centro secondo l'insegnamento degli esoterici,
contiene tutto il mondo»
Dzevad Karahasan
Questo breve racconto non è dedicato ad una persona ma ad una città. Una città che è fatta di tante cose che nel tempo sono diventate genio del luogo: ambiente, storia, cultura, tradizioni, saperi e, ovviamente, persone.
Quelle che ho incontrato e attraverso le quali ho amato e amo una città del tutto speciale che si è presa un posto di rilievo nella storia, in quella più lontana con la S maiuscola, come in quella ancora da elaborare di un infinito presente.
Scrivere di Sarajevo può risultare retorico, perfino banale. Un fiume d'inchiostro è stato versato per descrivere “la polveriera d'Europa” o per altro verso “la culla della cultura europea”, per confermare gli stereotipi o per celebrarne il fascino malgrado ciò che le ha riservato il Novecento. Cosa potrei mai aggiungere di nuovo a quanto già scritto?
Eppure c'è qualcosa che mi spinge a scriverne, perché a ben vedere del suo cuore balcanico (e dunque di sé) questa nostra Europa conosce ben poco. Tanto che ancora oggi, proprio nei giorni del centenario della fine della prima guerra mondiale, sentiamo voci autorevoli affermare stoltamente che l'Europa da settant'anni non avrebbe più conosciuto la tragedia della guerra.
mercoledì, 10 ottobre 2018 ore 19:30
Incontro promosso da Museo Wunderkammer - OFICINA DE INVESTIGACION TEMPORAL
Mercoledì 10 ottobre 2018, alle ore 19.30 via San Martino angolo via Torre d’Augusto a Trento, conversazione con Michele Nardelli.
Il racconto di un viaggio insolito iniziato il 21 marzo dello scorso anno e che si concluderà (forse) nel 2019.
Trento, Via San Martino, angolo via Torre d'Augusto
Il terzo racconto breve è ambientato nella Bosnia centrale, nei pressi di Gornji Vakuf, teatro venticinque anni fa di una tragica vicenda dove persero la vita Sergio Lana, Fabio Moreni Guido Puletti, tre volontari italiani che cercavano la pace1
di Michele Nardelli
«Nell'epoca della globalizzazione
la guerra non è più monopolio degli stati nazionali
né, come voleva von Clausewitz,
“la continuazione della politica con altri mezzi”.
Al suo posto c'è un altro tipo di violenza organizzata,
in cui confluiscono ragioni militari e criminalità,
economia illegale e violazione dei diritti umani...»
Mary Kaldor
Le nuove guerre
Non so quale fosse la ragione per la quale l'UNPROFOR2 avesse chiamato così quella strada sterrata nella Bosnia centrale, forse per via della miniera di Radovan cui si poteva accedere proprio attraverso la rotta che collegava Prozor a Travnik lungo il torrente che scende dalle pendici della Vranica.
Di certo c'era che quella strada avrebbe dovuto essere sotto il controllo delle Nazioni Unite e dunque percorribile per i convogli umanitari. Ma in quegli anni imparammo che il vecchio ordine stava proprio per finire, che nelle nuove guerre non ci sarebbero state nemmeno formalmente delle regole cui attenersi e che il monopolio della violenza non sarebbe più stato riconducibile alle sole istituzioni statuali, figuriamoci in un paese dove le vecchie istituzioni erano svanite come neve al sole.
Il secondo dei racconti brevi che prendono spunto dal percorso formativo “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”1
di Michele Nardelli
«La Commissione di indagine sui crimini di guerra delle Nazioni Unite
presieduta da Tadeusz Mazowiecki, nel suo rapporto del 1994,
ha dichiarato che la distruzione sistematica della comunità bosniaca
nell'area di Prijedor merita il nome di genocidio».
Luca Rastello
“La guerra in casa”
In un primo momento non voleva incontrarci. Troppo tempo trascorso nel silenzio, troppe delusioni, fors'anche una sorta di – peraltro reciproco – senso di colpa. Anni nei quali le speranze di una nuova vita dopo la tragedia che aveva segnato quella precedente si sono infrante in una dura quotidianità che non ti riconosce nemmeno il dolore, che di nuovo ti respinge e ti discrimina, che ti fa sentire sola, che ti fa capire quanta ipocrisia e falsa coscienza ti circonda.
Finiti gli anni del fervore, quando nel ritorno e nella ricostruzione ti dicevi “malgrado tutto sono ancora qui” e ti sentivi forte di questo e sapevi guardare negli occhi chi ti aveva cacciata e che ora faceva finta di nulla, non è facile trovarsi a dover fare i conti con una realtà dimezzata, negli affetti più cari che se ne vanno e con gli amori che non riescono più a nascere.
C'è un sole ancora caldo a Rizvanovici, uno dei villaggi sulla riva sinistra del fiume Sana, nel territorio della municipalità di Prijedor. Malgrado l'apparente normalità e i fiori alle finestre, ancora si scorgono qua e là i segni di quei tragici giorni della primavera del 1992 in cui venne raso al suolo senza risparmiare nulla, nemmeno i cimiteri o le strade, l'acquedotto o i pali della luce. Nella “Lijeva Obala” si contarono circa millecinquecento vittime. Jasna scappò attraverso i boschi tenendo per mano i suoi due figli piccoli. Una storia simile a quella di tante altre donne.
Nel diario del nono itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” (agosto 2018) l'ennesima conferma che questa regione europea continua a trasmetterci suggestioni generalmente incomprese sulla post-modernità*
di Michele Nardelli
Il viaggio che ci porta verso l'Europa di mezzo è estenuante. Le code per lavori di terze o quarte corsie (come se il problema fosse quello di fare spazio piuttosto che di interrogarsi su questi flussi che percorrono l'Europa), il traffico di vacanze esasperate, il rientro di migranti per assecondare radici che col tempo verranno definitivamente tagliate, i confini interni all'Unione Europea – che sulla carta non dovrebbero esserci più – che il vento sovranista vorrebbe ripristinare e quelli che le guerre degli anni '90 hanno sancito insieme all'imbroglio dell'identità nazionale: per arrivare a Kozarska Dubica, al confine fra Croazia e Bosnia Erzegovina, ci impieghiamo quattordici ore.