giovedì, 28 maggio 2015 ore 18:00
Trento, Gallerie Piedicastello
Lo studioso e filosofo polacco spiega che le prime armi dell’Occidente per sconfiggere Isis sono inclusione sociale e integrazione: «Solo la società nel suo insieme può farlo»
Intervista a cura di Maria Serena Natale*
(25 marzo 2016) Professor Bauman, nel dibattito europeo terrorismo e immigrazione si sovrappongono in una distorsione ottica che fa il gioco dei populisti e ostacola la percezione dei profughi come «vittime». Un meccanismo che sposta il discorso sul piano della sicurezza e legittima i governi a sbarrare le porte, come ha annunciato Varsavia subito dopo gli attentati di Bruxelles. Quali sono i rischi di questa operazione?
«Identificare il “problema immigrazione” con quello della sicurezza nazionale e personale, subordinando il primo al secondo e infine fondendoli nella prassi come nel linguaggio, significa aiutare i terroristi a raggiungere i loro obiettivi. Prima di tutto, secondo la logica della profezia che si auto-avvera, infiammare sentimenti anti-islamici in Europa, facendo sì che siano gli stessi europei a convincere i giovani musulmani dell’esistenza di una distanza insormontabile tra loro. Questo rende molto più facile convogliare i conflitti connaturati alle relazioni sociali nell’idea di una guerra santa tra due modi di vivere inconciliabili, tra la sola vera fede e un insieme di false credenze. In Francia, per esempio, malgrado non siano più di un migliaio i giovani musulmani sospettati di legami con il terrorismo, per l’opinione pubblica tutti i musulmani, e in particolare i giovani, sono “complici”, colpevoli ancor prima che il crimine sia stato commesso. Così una comunità diventa la comoda valvola di sfogo per il risentimento della società, a prescindere dai valori dei singoli, da quanto impegno e onestà questi mettano in gioco per diventare cittadini».