Lettere

Valdastico. Considerazioni e una domanda.
Pi.Ru.Bi., Piccoli, Rumor, Bisaglia

di Roberto Pinter

1. L’unica ragione per cui si è parlato di Valdastico negli ultimi anni era la previsione di completamento quale condizione per la proroga della concessione della Autostrada Serenissima.

Nel 2026 scade la concessione e , normative europee a parte, il Veneto punta a recuperarne il controllo con una propria società, quindi non è più attuale la proroga ne’ la sua condizione accessoria.

2. Il tavolo di concertazione tra Stato, Veneto e Trentino è fermo da anni alla ipotesi di un tracciato non autostradale con sbocco a Trento sud, vanificata dalla volontà della giunta Fugatti di spostarlo a Rovereto sud. Ipotesi questa bocciata come non fattibile dallo studio commissionato dalla Serenissima e mai fatto proprio dal tavolo.

 

 

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«... per dire dei giorni tristi, per ricordare Francesco, per riflettere su questo tempo...»
La copertina del libro

Cari, care,

sarebbe bello trovarsi con la scusa di fare uscire alla luce un piccolissimo libro : «Cose così»

per dire dei giorni tristi

per ricordare Francesco

per riflettere su questo tempo.

Un tempo che è avaro di ideali e di passione politica, che avrebbe tanto bisogno di cambiamenti profondi nel modo di pensare e di agire.

Un tempo in cui è davvero importante dare valore alle relazioni fra le persone e all'amicizia.

Grazie a Michele e Gabriella, il giardino della casa alle Camalghe di Cadine ci offre l'opportunità di vederci insieme.

 

Vi attendiamo

Lunedì 31 ottobre 2022 alle ore 11.00 per una zuppa calda, un sorso di vino e di amicizia.

Micaela (insieme a Michele e Gabriella)

L'invito

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Ribellarsi è giusto
Franz Jagerstatter

di Raniero La Valle

(20 luglio 2022) Draghi è stato avvertito: Zelensky non gradisce che una crisi di governo in Italia disturbi l’incessante flusso di armi all’Ucraina né, come dice il suo consigliere Podolyak, “la tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali” (cioè la democrazia) “deve intaccare l’unità nelle questioni fondamentali della lotta tra il bene e il male”, ovvero mettere in dubbio la suddetta “fornitura d’armi all’Ucraina”. E anche Johnson lascia a desiderare. Perciò dobbiamo aspettare che domani la sorte del governo Draghi sia decisa non sui nostri colli fatali ma là dove si giocano le sorti delle nostre Costituzioni democratiche e della stessa pace del mondo, dal momento che le abbiamo messe nelle mani delle attuali tragiche star della guerra e del potere.

Aspettare non vuol dire tuttavia obbedire. È bene perciò accorgersi di un altro avvertimento “molto molto importante”, come scrive Enrico Peyretti. “Per la prima volta un papa invita a rifiutare di fare la guerra per ragioni morali, di coscienza. Non solo condanna la guerra (‘inutile strage’), ma chiede - non ai governanti, ma ai soldati - di non farla, di disobbedire! Rivoluzione di Francesco contro la politica, anche democratica, che ha l'omicidio di massa tra i suoi mezzi regolari. Chiede ai giovani di boicottare, di disobbedire, di far fallire i governi di guerra”.

 

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Alberto Tridente, costruttore di amicizie.
Alberto Tridente e Lula (Ignacio Da Silva)

(24 luglio 2022) Proprio nei giorni scorsi con alcuni amici parlavo di Alberto Tridente e di quando nella primavera del 1994 andammo insieme per un mese in Messico per la campagna elettorale di Cuatemoc Cardenas, allora candidato presidente per il PRD, il Partito della Rivoluzione Democratica. Fu un'esperienza intensa e profonda, che mi porterò nel cuore finché vivo. Grazie ad Alberto conobbi persone e luoghi straordinari ed iniziai ad amare quel paese nel quale poi ho avuto la possibilità di ritornare in più occasioni.

Oggi sono dieci anni che Alberto ci ha lasciati. Ma il fatto che Alberto abiti frequentemente le mie conversazioni e i miei pensieri significa che la sua traiettoria esistenziale ha lasciato un segno profondo.

Come sindacalista, quando fare sindacato significava farsi carico della condizione umana a tutto tondo, lui che veniva da una famiglia operaia di immigrati a Venaria e che a sua volta, trascorsa l'infanzia, di quella condizione era suo malgrado interprete come operaio metalmeccanico e come dirigente sindacale.

 

 

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I simboli del colonialismo italiano. Un appello da Roma
La copertina del libro

Nei giorni scorsi è stato lanciato un appello al Sindaco di Roma per riconsiderare simboli e toponomastica del colonialismo italiano che segnano innumerevoli luoghi pubblici di Roma. Un analogo appello è stato rivolto al Presidente della Regione Lazio. L'iniziativa prende il via dopo la pubblicazione del libro "Roma coloniale" di Silvano Falocco e Carlo Boumis (Edizioni Le Commari, 2022) e ha suscitato un dibattito pubblico tutt'altro che banale. Sappiamo bene come i simboli rappresentino molto spesso ferite aperte che andrebbero innanzitutto riconosciute, elaborate, storicizzate, sanate. Pensiamo a come il tema della toponomastica rappresenti una questione aperta e divisiva nel vicino Sid Tirolo - Alto Adige, una terra oggetto di occupazione coloniale da parte dello Stato italiano e del suo tragico ventennio fascista. In realtà in ogni città e comune abbiamo a che fare con i segni del fascismo o delle conquiste della follia imperiale: monumenti, edifici, strade e piazze che ricordano questo passato inglorioso o personaggi che, a scavare poi nemmeno molto, erano figure ignobili o generali che hanno massacrato e mandato al massacro tanta povera gente. Senza dimenticare che tutto questo coinvolge anche storie famigliari che spesso preferiamo rimuovere. Non si propone di cancellare questo passato, ma di considerarlo per quello che è stato, affinché diventi occasione per un percorso di rivisitazione critica della storia. Roma si è proposta di farlo a partire da un libro che a riaperto pagine spesso dimenticate e altrimenti destinate all'oblio. Personalmente parlo spesso della necessità di elaborare il Novecento. Pensiamoci, ma ci sarebbe lavoro per tutti. Anche nelle nostre prossimità. L'Appello che qui viene riportato, insomma, ci riguarda. Potremmo iniziare con il firmarlo, aderendovi, aggiungendo un vostro commento, scrivendo sulla mia pagina di facebook. (m.n.)

 

Lettera appello al Sindaco d Roma Roberto Gualtieri – Roma capitale

***

La nostra città, ancora oggi, custodisce centinaia di tracce del feroce colonialismo italiano, celebrato attraverso piazze, vie, viali, larghi, ponti, lapidi, busti e palazzi la cui presenza muta permette di continuare a godere del senso di superiorità imperiale di cui sono intrisi.

Una vera e propria odonomastica coloniale che fa di Roma, con oltre 140 odonimi, il luogo d’Italia maggiormente connotato da quell’esperienza storica.

Come Lei ben sa, anche per il contributo essenziale delle seconde generazioni, è sorto ovunque, nel nostro paese, un movimento di de-colonizzazione dello sguardo” che, nelle città, chiede di assegnare un significato nuovo, veritiero e più giusto, a quelle tracce, perché oggi é impossibile continuare a vedere statue, monumenti o vie intrise di storia coloniale in modo innocente, acritico.

Un primo intervento ha portato il Consiglio Comunale di Roma Capitale, il 4 agosto 2020, ad approvare una mozione per intitolare la fermata della metro C non all’Amba Aradam - luogo di una battaglia feroce che vide l’uccisione di migliaia di etiopi per mano dell'esercito e dell'aviazione italiana con l’uso di gas tossici – ma a Giorgio Marincola, partigiano nato in Somalia, legato al Partito d'Azione e ucciso in Val di Fiemme nel maggio del 1945.

 

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Parlare di Europa alla Festa dell’Unità di Nomi
Europa, figlia di Agenore, re di Tiro (Fenicia)

di Giuliano Muzio

(Luglio 2022) La Festa dell’Unità di Nomi è ormai diventata una tradizione consolidata per il Trentino. Giunta alla sua 73° edizione, da tempo non si cura del fatto che il giornale da cui ha preso il nome non esista più, ma, grazie agli sforzi di una comunità che trova proprio nella festa un suo momento di coesione e rinnovamento, ha proseguito le sue attività con l’intento di offrire momenti di svago e di socialità, nel solco delle tradizioni ideali che l’hanno generata.

Quest’anno si trattava di riprendere dopo la forzata sosta pandemica e, purtroppo, di registrare il triste ritorno della guerra in Europa. Per questo, nel consueto momento di socialità della domenica mattina, solitamente dedicato ai canti corali della Resistenza, stavolta si è voluto parlare di Europa e si è deciso di farlo con Michele Nardelli che da anni, in modo tanto autorevole quanto originale, affronta il tema partendo da una prospettiva storica e culturale. È stato un bel modo di confrontarsi, ripercorrendo i passaggi storici che ci hanno portato alla situazione attuale. Constatando che hanno radici profonde, quasi millenarie, spesso ignorate, più o meno volutamente.

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Quattro mesi di guerra. Riflessioni.
Srebrenica, memoriale di Potocari

 

***

Dopo circa quattro mesi dall’inizio della guerra in Ucraina proponiamo una serie di brevi riflessioni
che riteniamo utili sia di fronte alla congiuntura attuale che in una prospettiva futura.

1. Innanzitutto, per non ripetere gli errori del passato, va preso atto come questa guerra dimostri – se mai ce ne fosse bisogno – che la pace si costruisce, prima di tutto, coltivandola quotidianamente e costantemente. Nessuna guerra ha un inizio improvviso ed imprevisto. Di conseguenza stupisce che alcune istituzioni internazionali (l’ONU e l’Unione Europea in particolare) si siano rivelate incapaci di presidiare, monitorare e, dove necessario, intervenire (in termini diplomatici e di interposizione a tutela dei civili) ben prima che le fratture diventassero insanabili. Non possiamo sempre occuparci dell’oggi, ignorando cosa è successo ieri. Altrimenti domani saremo daccapo.

 

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Dialogo con Boris Pahor, oltre la morte
Boris Pahor ad una manifestazione di Osservatorio Balcani Caucaso

Caro Professore caro,

ti scrivo, ancora una volta.

Questa lettera veleggerà nell’aria fino a raggiungerti nel silenzio dell’universo dove sei approdato. Non posso ignorare il morso di dolore che stringe lo stomaco, al pensiero della morte nonostante la tua lunga complicata vita.

Di recente ho attraversato le dolenti spiagge dell’abbandono della persona amata ed ora il saluto che devo rivolgere a te acuisce il solco della perdita. Delle varie perdite, che si sommano a mano a mano che si devono salutare i volti di quanti hanno intercettato i nostri passi e con cui si sono condivisi pensieri e speranze.

Nel tuo romanzo “Il petalo giallo”1 hai messo in campo lo scambio di lettere tra i personaggi della storia narrata, ribadendo che le lettere collegano, spiegano, fanno affiorare il rimosso, illuminano, aiutano. Tra i protagonisti, Igor a Magda, un tempo le lettere erano state “un dono, di una creatura accorta ma sognatrice e infantile, che l’aveva aiutato a ritornare nel mondo degli esseri umani”, perché l’invio di missive in qualche caso permette di ricucire gli strappi della vita.

Forse anche fra noi, pur in piccola misura, i messaggi scambiati hanno lenito momenti di solitudine. Leggendo le tue narrazioni, ho intercettato tante domande ed è forse da qui che ha preso il via la nostra corrispondenza, fatta di cartoline e di lettere, scritte a mano o battute a macchina, come facevi solitamente, secondo antica usanza. Per questo oggi ti scrivo e, col tuo permesso, condivido pubblicamente alcuni argomenti di cui abbiamo discusso da lontano.

Spero che altri possano raccogliere il testimone e proseguire allargando il cerchio del dialogo intrapreso.

Un abbraccio denso di affetto.

Micaela

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Marmolada, la nostra negazione del limite nella società della performance
Il ghiacciaio della Marmolada

di Giulio Costa *

Azzurro è il colore del vuoto. Esordisce così, durante una seduta di psicoterapia, una mia paziente riferendosi al proprio lutto e al proprio vuoto personale per la recente perdita di un familiare: un dolore che ha visto rispecchiarsi nella voragine di ghiaccio azzurro lasciata dal drammatico distacco del seracco della Marmolada.

Al pari della siccità che da mesi sta colpendo il nostro territorio, la tragedia della Marmolada è diventata nuovo simbolo dell’evidente cambiamento climatico.

Tuttavia, lo sguardo diverso della mia paziente alle fotografie che da giorni riempiono quotidiani, telegiornali e social, mi hanno rivelato come quella voragine rappresenti il nostro umano e contemporaneo rapporto con il limite e la fragilità.

Un baratro fisico, naturale, ma al contempo psichico e sociale. A partire dal Secondo Dopoguerra, abbiamo via via soffocato ogni discorso sulla fragilità, sul dolore e sul senso del limite.

 

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Zan, Zendeghi, Azadi - Donna, Vita, Libertà
Autobus Rosso, Londra

 

#MahsaAmini

Viaggio con l'autobus. Ho bisogno della sua lentezza, ferma in tanti luoghi, alcuni scendono, altri salgono, ma l’autobus - questa presenza costante, rossa e gigante - rimane la stessa e scorre in città, una presenza stabile, umile e rossa. Salgo le scale e mi siedo di fronte ad una finestra immensa che si apre verso la città: sono in prima fila e vedo come scorre con il suo ritmo quotidiano, indifferente, ma che indifferente non è, cambia costantemente e la mia mente continua a sentire la canzone di Shervin:

Per…

Per ballare per strada

Per avere paura quando baci l’amato

Per mia sorella

Tua sorella,

Le nostre sorelle

 

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Immersi nel Novecento
Piazza Tienanmen. Pechino, 1989

Dialogo attorno alla guerra in Ucraina fra Michele Nardelli e Francesco Prezzi: una sua ultima testimonianza sulle cose del mondo. Francesco ha vissuto questa ennesima tragedia dal letto di un ospedale e fino all'ultimo non ha mai smesso di ragionare sulla società, sul senso della Storia e sul valore del pensiero politico. Poi ha preso il volo.


(8 marzo 2022) Immersi nel Novecento. Questo siamo.

Lo sferragliare dei carri armati e il rumore sordo dei bombardamenti. I vecchi palazzoni sovietici sventrati e anneriti dal fuoco. Gli occhi impietriti di un'umanità costretta ad abbandonare le proprie case, a rifugiarsi negli spazi sotterranei delle metropolitane o ad ingrossare le fila del libro dell'esodo1. I miliziani nazionalisti, sempre più protagonisti delle nuove guerre, padroni delle strade e delle macerie. A prescindere dalle loro bandiere e da come andrà a finire, saranno loro a vincere.

E ancora. L'aria e l'acqua avvelenate, il sudiciume di ogni guerra. Le palizzate di eternit prese a calci, come ad essere senza futuro. La paranoia dei signori della guerra, sempre uguale. L'ipocrisia dei potenti che non hanno mai smesso di produrre e vendere armi. Sullo sfondo il riecheggiare del moto latino “vis pacem, para bellum”, che ha armato il pianeta tanto da poterlo distruggere.

Infine l'incubo nucleare, che da quelle parti conoscono bene e con il quale – malgrado la tragedia di Chernobyl – hanno continuato a convivere, quello delle centrali mai dismesse e in questi giorni sfiorate dalle cannonate, e quello delle testate atomiche allertate in un follia che vorrebbe reclutarci e che militarizza anche il confronto politico.

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Sul sentiero della pace non c'è la spesa militare
Hiroshima. Ombre.

C’è una «fraternità del dolore» di cui dovremmo fare tesoro: la sentiamo come un codice genetico, come una pulsazione naturale, dentro i nostri cuori.

di Nichi Vendola *

Kiev siamo noi. Ogni singolo fotogramma catturato sui fronti di guerra ferisce il nostro sguardo e il nostro sentimento di umanità. Ogni dolente cronaca della devastazione comandata da Putin ci spinge dentro la voragine di un regresso da cui pensavamo di essere risaliti faticosamente. Kiev, Mariupol, Odessa, Kharkiv siamo noi. Le città squartate, incenerite e fumanti del martirio ucraino sono lo specchio rovesciato delle nostre città vibranti di incontri, di suoni, di socialità. Siamo anche noi le famiglie strappate al tepore domestico, alla serenità degli affetti, alla normalità della vita quotidiana. E noi siamo loro: la stessa razza umana, lo stesso diritto alla dignità, la stessa ambizione di camminare eretti guardando il cielo, le stesse lacrime quando si strappa la trama preziosa della vita.

Voglio dire che c’è una «fraternità del dolore» di cui dovremmo fare tesoro: la sentiamo come un codice genetico, come una pulsazione naturale, dentro i nostri cuori, dentro le nostre pupille che non smettono di guardare. Eccola l’umanità oltraggiata, eccola nella sua corsa al cardiopalma per sfuggire alla mattanza, per mettere in salvo un bimbo, ma anche un gatto o un cane, per stringersi nel rifugio mentre il proprio quartiere rimbomba per le detonazioni, per non lasciarsi seppellire dalle macerie della propria casa che crolla, eccola separarsi dai propri affetti e dai propri luoghi, salutare il proprio universo e salpare verso destinazione ignota: non c’è intelligenza geopolitica che non debba misurarsi innanzitutto con questa sofferenza, con l’orrore dell’aggressione criminale di un autocrate imbalsamato sul suo trono. Non si può separare il discernimento dalla compassione. E in queste settimane di sgomento forse abbiamo persino imparato a comprendere il significato amaro e tristissimo della parola profugo: chi fugge dalla città che brucia, proprio come Enea, non è un turista o uno speculatore imboscato...

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Prima il nucleare, poi l'acqua: come si vuole mettere in soffitta la volontà popolare
Acqua bene comune

L'amico Emilio Molinari mi invia queste righe.

«Cari amici, oggi il "Fatto Quotidiano" ha pubblicato un mio articolo e un appello a Papa Francesco.

Il perché sta nel fatto che il governo ha candidato il nostro Paese ad ospitare il Forum Mondiale dell'acqua. Non pensate sia un appuntamento dell'ONU e delle istituzioni mondiali, è bensì il Forum delle Multinazionali dell'acqua.

Ma questo lo leggerete. Vi chiedo di diffonderlo nelle vostre reti... che una secchiata di acqua svegli un paese che sembra anestetizzato.
 
Un abbraccio a tutti».
 
Grazie Emilio. Lo riprendo volentieri, perché in questo clima di "unità nazionale" sembra quasi che il pensiero critico e il dibattito politico non debbano più avere cittadinanza. Passando sopra pronunciamenti popolari come il ritorno al nucleare e l'acqua come bene comune, questioni cruciali che hanno rappresentato pietre miliari nell'esercizio della democrazia.
 
Nell'allegato trovate la pagina del Fatto Quotidiano che riprende l'articolo di Emilio e la sua lettera-appello a Papa Francesco.
 

La pagina del Fatto

Il Convento Meridiano
Il Convento Meridiano

A Cerreto Sannita la rigenerazione culturale è stata sabotata: questo è il rischio che corrono tutti i piccoli paesi.

Dalla personale esperienza di “Convento Meridiano” abbiamo imparato che la domanda di cambiamento finisce per scontrarsi con la schizofrenia di chi osserva un pieno di opportunità nel vuoto più totale di visione, interesse e progetti per il proprio comune. Da qui è stato facile immaginare altri luoghi svuotati di senso prima che di abitanti: la cultura e i suoi spazi sono due argomenti molto distanti dalle agende politiche per le aree interne

 

di Guido Lavorgna *

La rigenerazione è un processo di metamorfosi che definisce una nuova configurazione del contesto di riferimento che non prevede un’identità finita ma generativa, interdipendente e in continua evoluzione. In natura la rigenerazione avviene per necessità di adattamento ai cambiamenti ambientali. Nei contesti sociali l’adattamento ai cambiamenti è un processo più lento perché prevede una necessaria capacità di osservazione, lunga e in terza persona, che impone un agire collettivo. In una struttura sociale più o meno articolata, più o meno fragile, la rigenerazione è sempre un processo culturale perché afferente all’intero ecosistema, perché capace di includere e coinvolgere anche chi non partecipa.

In breve, la rigenerazione è un’azione politica di prossimità fondata sulla fiducia che genera cambiamento.

Il tema della rigenerazione urbana è diventato mainstream negli ultimi anni ma il significato che può assumere dipende da tante variabili. In un progetto di rigenerazione coesistono uno spazio (pubblico/privato) che, riqualificato o meno, diventa luogo e le parti attive e consapevoli di una o più comunità che attivano il processo. È sull’equilibrio tra questi due elementi che si gioca la differenza di approccio tra un progetto di rigenerazione l’altro.

Nelle istituzioni più tradizionali l’azione di riqualificazione di un bene non per forza corrisponde a una visione sulla sua destinazione d’uso o più precisamente sulla funzione sociale che l’infrastruttura potrebbe avere perché i progetti nascono da bandi e opportunità di finanziamento e quasi mai hanno tempi di sviluppo per poter ascoltare/accogliere i bisogni delle comunità. Contestualmente, quando le comunità hanno dei bisogni (talvolta non chiaramente espressi) e si aggregano per tentare progetti di rigenerazione, può capitare che le istituzioni tradizionali non favoriscano il processo per il limite (di sordità prima e cecità dopo) nel non riuscire a concedere spazi per tempi lunghi almeno quanto vale il recupero di un investimento per la riqualificazione e riattivazione del bene (15/20 anni).

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Sulla soglia 1. Il tempo della parola. Le parole del tempo.
Soglia del Consiglio Comunale

Sulla soglia. Appunti dentro e fuori

di Federico Zappini *

1. Il tempo della parola. Le parole del tempo.

Arrivo in ritardo con questa prima nota.
E’ passato un mese abbondante dal mio ingresso in consiglio comunale.

Cercherò in seguito di essere più preciso, perché il racconto abbia una sua coerenza, un suo ritmo, forse persino una sua utilità.

Rispetterò in questo modo il bisogno di dare tempo alla parola (in forma di dialogo costante, di condivisione di pensieri tra diversi, di sosta a lato del volgere senza soluzione di continuità della complessità globale) e l’urgenza di mettere in risalto le parole del tempo, una sorta di vocabolario minimo per orientarsi dentro le mappe non del tutto complete e spesso sfuggenti del presente.

Transizione. Conversione. Compromesso. Conflitto.
Prossimità. Pianeta. Istituzioni. Comunità.
Rabbia. Disincanto. Passione. Amore.

Sulla soglia è il titolo di questo raccoglitore di spunti, che vuole essere allo stesso tempo diario di viaggio e luogo aperto per il confronto. Mi fa piacere che proprio ieri Simone Casalini ricordando Piergiorgio Cattani lo abbia definito “intellettuale della soglia”, perché “è nel limen che si costituiscono spesso i processi politici, sociali, culturali ed esistenziali”.

Una preziosa assonanza, che porterò con me.

E’ sulla soglia tra il dentro dell’aula consiliare del Comune di Trento e i mille fuori che compongono il Mondo che vorrei si spingesse la mia esplorazione – non solitaria – alla ricerca di un modo generativo di essere e fare Politica.

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