
di Federico Zappini
(29 novembre 2023) Lo scorso 4 ottobre Papa Francesco ha reso pubblico il documento Laudate Deum. In esso denuncia - di nuovo - il procedere non sufficientemente convinto della conversione ecologica di cui il nostro Pianeta (e noi essere umani con lui) ha bisogno per reagire agli effetti del cambiamento climatico in atto.
Ci stiamo muovendo, ma con eccessiva lentezza.
La sua esortazione - apostolica e politica insieme - trova riscontro in diverse evidenze scientifiche. Il bollettino Copernicus certifica che il mese di ottobre appena terminato è stato il più caldo nella storia della civiltà umana. L'Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) segnala che il livello di concentrazione di CO2 in atmosfera continua a crescere ed è il più alto degli ultimi tre milioni di anni (!!!). Il Production Gap Report ONU conferma che nel 2030 i governi produrranno il 110% in più di quanto sostenibile per un aumento di temperature di 1.5°C, limite fissato dalla COP21 di Parigi nel 2015.
Quella legata al clima non è l'unica trasformazione - di portata epocale - con cui facciamo fatica a fare i conti.
Ben lontana da venire è, ad esempio, una nuova organizzazione del Mondo caratterizzata da relazioni multipolari e maggiore cooperazione internazionale, così come immaginato da Luigi Ferrajoli nei suoi studi per dar vita a una forma di governo democratico su scala planetaria. Sarebbe la direzione giusta in campo economico e tecnologico, demografico e migratorio, sanitario e culturale e chissà in quanti altri. Si innescano invece nuovi conflitti (l'Ucraina e il Medio Oriente sono gli ultimi di una lunga serie), si moltiplicano le crisi e le fratture, si allontana la possibilità di creare le condizioni per la convinzione tra le differenze in nome di una comune attenzione per la nostra casa comune, il pianeta chiamato Terra.

Il Sole 24 Ore di oggi pubblica un fondo di Aldo Bonomi con un importante riferimento al libro “Inverno liquido”. Questo il testo.
di Aldo Bonomi *
(7 novembre 2023) Anche la transizione ecologica nel suo costringerci ad abbassare lo sguardo di futuro alla terra può indurre la «Retrotopia dei fondamentalismi» (Bauman).
Ad una transizione temperata ci induce il rapporto «Green Italy 2023» elaborato ogni anno da Symbola che scava nei fondamentali, altro dai fondamentalismi, dell'economia.
Raccontandoci dell'industria pesante dell'acciaio costretta alla metamorfosi ecologica passando poi al fordismo dell'automotive con i suoi balzi incerti verso l'elettrico e l'idrogeno, per poi planare nell'arcipelago del made in Italy in riconversione molecolare e diffusa. Ci dice speranzoso che sono più di mezzo milione le imprese green, con molti numeri di riconversione delle forme dei lavori in un percorso territoriale che va dal nord-ovest, culla del nostro fordismo, alla via Emilia, al nord-est e poi giù in tutto il sistema Paese.
Sotto sforzo nell'economia circolare, siamo primi in Europa nel riciclo, e nella rigenerazione urbana le imprese contaminano le multiutility in transizione tra municipalismo e mercato. Siamo ancora timidi ed arranchiamo verso le energie rinnovabili. È uno sguardo utile di numeri ed esperienze nelle terre basse dove crescono le imprese.
Alza lo sguardo alle terre alte l'inchiesta territoriale “Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine dello sci di massa” di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli (DeriveApprodi 2023) appena insignito del Premio speciale Leggimontagna – Dolomiti Patrimonio Unesco. Libro che scava nei fondamentali economici del fordismo alpino: acqua e turismo.

In ricordo di Franco Giacomoni.
Il luogo è la sede dell'associazione degli alpinisti di Sarajevo, nel cuore della città vecchia. Un folto gruppo di persone fatica a trovare posto, come a rispondere ad un richiamo che non conosce confini. E' il 27 novembre 2006 e qui, in questo luogo simbolico di una città che nel 1984 ospitò le Olimpiadi invernali, viene presentato l'opuscolo intitolato "Staze. Planiranje, znakovi i odrzavanje" (Sentieri. Pianificazione, segnaletica e manutenzione), il manuale della SAT, la sezione trentina del Club Alpino Italiano, tradotto in serbo-croato-bosniaco perché divenga uno strumento di riavvicinamento delle popolazioni e di smilitarizzazione delle montagne, in Bosnia Erzegovina come in tutti i Balcani. Tutt'intorno antiche attrezzature da montagna. Con me ci sono Pier Giorgio Oliveti, direttore del Circuito Città Slow e responsabile della comunicazione del CAI, Valentina Pellizzer, responsabile di Oneworld Sud Est Europe e il presidente della SAT Franco Giacomoni. Altri avrebbero dovuto raggiungerci in aereo, ma l'aeroporto di Sarajevo ha annullato tutti i voli in arrivo a causa di una forte nevicata.
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"Un secolo così progredito
che perfino gli era toccato in sorte
di essere l'ultimo"
Vladimir Solov'ëv
Nella barbarie che dilania in queste ore la Palestina storica, nella guerra che da diciannove mesi devasta con l'Ucraina un pezzo della nostra Europa, nel silenzio che si è steso sulla tragedia che da dieci anni semina morte e distruzione in Siria, nell'interessata ipocrisia che ha messo subito a tacere la pulizia etnica in corso nel Nagorno Karabah, nel cinismo con il quale si assiste quotidianamente al dolore che si consuma nel Mediterraneo ... si erge la voce solitaria e inascoltata di Papa Francesco.
L'Esortazione Apostolica "Laudate Deum" ha la forza di un monito rivolto all'intera umanità, affinché si metta fine alla guerra più devastante di ogni altra, quella che si svolge contro la Madre Terra che ci ospita.
«Poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti...»
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(25 luglio 2023) Oggi daremo l'ultimo saluto a Paolo Cunego. Per chi non ha avuto modo di conoscerlo, Paolo è stato per anni il punto di riferimento nella difesa dei consumatori in Trentino. Oggi diremmo dei consum-attori, soggetti potenziali del cambiamento.
Per me è stato in primo luogo una persona cara, con la quale ho condiviso un tratto del mio impegno sociale e, mi permetto di dire, politico. Può sembrare strano dire così, considerato che quando ho conosciuto Paolo di professione era un militare, un giovane maresciallo dell'esercito italiano, parte di quel mondo che guardavo (e continuo a guardare) non certo con benevolenza e comunque come un universo diverso e lontano dal mio, obiettore di coscienza al servizio militare e impegnato nel mondo della pace.

Le parole con cui Emilio Molinari ricorda Guido Pollice, comune amico scomparso qualche giorno fa all'età di 84 anni.
Se ne è andato il compagno con il quale molti di noi hanno concepito e fondato Democrazia Proletaria. Il compagno che portava in DP la storia socialista con Vittorio Foa, del quale Guido scherzando diceva: “è l'unico politico che vince i Congressi e affida la direzione ai suoi avversari”. Guido era così. Sempre capace di sdrammatizzare e ridere anche delle nostre delusioni politiche, delle nostre sconfitte elettorali, di farci sentire bene.
Il compagno con il quale puoi ragionare e anche abbandonare per un attimo il “politicamente corretto”. Che dopo assemblee nazionali drammatiche, sempre sull'orlo di divisioni, ci chiedeva di fermare la macchina al ristorante che solo lui conosceva e tutto finiva in gioia di vivere. Il dirigente, il Consigliere Comunale, il Parlamentare e l'ambientalista con il quale alcuni di noi hanno condiviso i primi tentativi di unire il Rosso e il Verde... L'amico, la risata, il convivio, la passione, il ricominciare e il non arrendersi... tutte cose che hanno reso bello il nostro far politica.
Dario e Michela portino nel loro cuore anche questa immagine del loro papà.
Per Costituzione beni Comuni.
Emilio Molinari.
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di Federico Zappini
Il tempo che stiamo vivendo chiede un surplus di desiderio che attivi energie e fantasia dentro la comunità. Lo stato di un panorama partitico impegnato a difendere ipotetiche rendite di posizione e incapace di essere avanguardia nel governo delle grandi trasformazioni in atto genera però frustrazione e sfiducia, confermati anche dal crollo dell’affluenza al voto nelle recenti elezioni regionali.
È faticoso stare in questo incrocio di emozioni perché da un lato non posso chiamarmi fuori – come consigliere comunale e attivista di Futura – da questa crisi di sistema. Se siamo ancora in questa condizione di fragilità significa che i tentativi messi in atto fin qui non hanno saputo toccare le corde giuste, non hanno cambiato lo scenario, non hanno prodotto l’emersione di nuova classe dirigente.
Dall’altro lato, sarebbe troppo facile accodarsi all’attacco generico alla Politica come unica colpevole. Un esercizio che va per la maggiore senza offrire però un’alternativa credibile (dentro e fuori le istituzioni) per elaborare pensiero e azione politica, per rispondere ai bisogni e ai desideri di ciascuno, per elaborare strategie in grado di resistere e reagire alle tensioni che il mondo contemporaneo subisce.
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Il discorso di Papa Francesco in occasione dei “Rencontres Méditerranéennes”
Marsiglia, 23 settembre 2023
Signor Presidente della Repubblica,
cari fratelli Vescovi,
illustri Sindaci e Autorità che rappresentate città e territori bagnati dal Mar Mediterraneo,
amiche e amici tutti!
Vi saluto cordialmente, grato a ciascuno di voi per aver accolto l’invito del Cardinal Aveline a partecipare a questi incontri. Grazie per il vostro lavoro e per le preziose riflessioni che avete condiviso. Dopo Bari e Firenze, il cammino al servizio dei popoli mediterranei progredisce: anche qui, responsabili ecclesiastici e civili sono insieme non per trattare reciproci interessi, ma animati dal desiderio di prendersi cura dell’uomo; grazie perché lo fate con i giovani, presente e futuro della Chiesa e della società.
La città di Marsiglia è molto antica. Fondata da navigatori greci venuti dall’Asia Minore, il mito la fa risalire alla storia d’amore tra un marinaio emigrato e una principessa nativa. Fin dalle origini essa presenta un carattere composito e cosmopolita: accoglie le ricchezze del mare e dona una patria a chi non l’ha più. Marsiglia ci dice che, nonostante le difficoltà, la convivialità è possibile ed è fonte di gioia. Sulla carta geografica, tra Nizza e Montpellier, sembra quasi disegnare un sorriso; e mi piace pensarla così: Marsiglia è “il sorriso del Mediterraneo”. Vorrei dunque proporvi alcuni pensieri attorno a tre realtà che caratterizzano Marsiglia: il mare, il porto e il faro. Sono tre simboli.
1. Il mare. Una marea di popoli ha fatto di questa città un mosaico di speranza, con la sua grande tradizione multietnica e multiculturale, rappresentata dai più di 60 Consolati presenti sul suo territorio. Marsiglia è città al tempo stesso plurale e singolare, in quanto è la sua pluralità, frutto di incontro con il mondo, a renderne singolare la storia. Spesso oggi si sente ripetere che la storia mediterranea sarebbe un intreccio di conflitti tra civiltà, religioni e visioni differenti. Non ignoriamo i problemi – ce ne sono! –, ma non lasciamoci ingannare: gli scambi intercorsi tra i popoli hanno reso il Mediterraneo culla di civiltà, mare straripante di tesori, al punto che, come scrisse un grande storico francese, esso non è «un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari»; «da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia» (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 16). Il mare nostrum è spazio di incontro: tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto, e tra molte altre realtà. Ha veicolato nel mondo l’alto valore dell’essere umano, dotato di libertà, aperto alla verità e bisognoso di salvezza, che vede il mondo come una meraviglia da scoprire e un giardino da abitare, nel segno di un Dio che stringe alleanze con gli uomini.
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di Marta Villa *
Gli spunti proposti dall’editoriale (Corriere del Trentino del 7 febbraio scorso) del prof. Michele Andreaus mi hanno sollecitato: da vent’anni faccio ricerca etnografica nelle Terre Alte documentando e analizzando strategie di adattamento a un territorio liminale, quello montano, e mi sono confrontata con i concetti di autonomia ed eccellenza. Vorrei qui proporre un ulteriore spunto di discussione, dal mio punto di vista, storico-antropologico.
Concordo che queste parole sono sulla bocca di molti, vittime di strumentalizzazioni. Mi inserisco quindi nel dibattito per articolare maggiormente la prospettiva e per rilanciare, guardando al futuro, una declinazione che è stata vetrificata: un ninnolo, certamente, e, aggiungo io, da musealizzare come quegli idola provenienti da culture lontane che, suscitando in noi paure ancestrali, vengono esorcizzati riponendoli all’interno di scatole. Autonomia ed eccellenza invece possono essere parole di una potenza straordinaria, se ricollocate all’interno di processi decisionali partecipati e vitali.

di Federico Zappini
Questa riflessione è stata pubblicata nel numero speciale del magazine "Dislivelli" e ripreso oggi dal quotidiano "ilT".
«Orapronobis,
certo che quest'anno il Vecchio lassù se la prende comoda,
sacramento,
non sarebbe male se cadesse un po' di neve»
dice il Paul e guarda il cielo [...]
«Cosa vuoi farci, una spolverata è ben scesa,
prendiamo quel che viene»
dice il Georg e si sistema il berretto [...]
«L'Onnipotente ha perso coraggio» dice il Paul,
«o forse dobbiamo chiedergliela in ginocchio ’sta neve,
ormai è più rara della coca»
Tratto da Ultima neve, Arno Camenisch (Keller editore, 2018)
Per cominciare questo mio pezzo sul futuro del turismo invernale e sciistico mi sono imposto di cercare uno spunto che sfuggisse al richiamo dell'attualità e della cronaca (difficile farlo al culmine di uno degli inverni più caldi e siccitosi degli ultimi due secoli) o al riferimento diretto a questo o quel rapporto che indica in modo chiaro e inequivocabile l'insostenibilità del modello dello sci di massa in una fase storica caratterizzata da scarsità di neve e innalzamento delle temperature.
Ho trovato conforto nella letteratura e in particolare nella penna di Arno Camenisch, che in “Ultima neve” mette in scena – il paesaggio di riferimento è quello delle Alpi svizzere – il travaglio di due fratelli alle prese con uno skilift, modesto lascito di famiglia, da far funzionare nel bel mezzo di una stagione invernale avversa, avara della materia prima (e unica) necessaria per non far girare a vuoto quelle strambe macchine di ferro che hanno il compito di portare senza fatica in quota gli sciatori, garantendo loro un'agile e divertente scivolata per tornare a valle.
L'attesa del Paul e del Georg – fatta di dialoghi, piccole azioni concrete, ricordi riemersi, fragili speranze – ha il valore potente di una metafora esistenziale, per una famiglia e per il mondo intero. Protagonista è il tempo, nelle sue varie forme. Quella che a loro tocca vivere, naso all'insù, è la rappresentazione plastica di una transizione – che poi è la nostra stessa che qui proviamo a mettere a sistema – tra un passato che sentono scricchiolare sotto i piedi e un futuro che, essendo materialmente vincolato a quei piloni ben piantanti nel terreno, sembra non riuscire a rivolgere lo sguardo altrove.

di Giorgio Cavallo *
(8 febbraio 2023) La vittoria elettorale di FdI ha portato ad un curioso scambio lessicale: il presidente del Consiglio Meloni non usa più il termine “stato” (e ancor meno quello di Repubblica) ormai sostituito da quello di “nazione”. La cadenza gutturale romana poi acuisce ulteriormente l’importanza del termine. Il concetto di nazione come comunità politica è una visione della modernità che si è affermata negli ultimi duecento anni e che oggi deve essere interpretato alla luce delle trasformazioni globali che politicamente coinvolgono il XXI secolo. Lo stato-nazione è la realizzazione storica del Leviatano di Hobbes il cui compito di protezione del cittadino rispetto alle avversità è ancora oggi alla base del successo di molte proposte politiche cosiddette neo sovraniste. Il testo di Paolo Gerbaudo “Controllare e proteggere – il ritorno dello stato”, ed. Nottetempo, Milano 2022, descrive molto bene quello che chiama “Stato di necessità” e rimette in campo proprio la sua nuova centralità, vista sia da destra che da sinistra.

di Roberto Pinter
1. L’unica ragione per cui si è parlato di Valdastico negli ultimi anni era la previsione di completamento quale condizione per la proroga della concessione della Autostrada Serenissima.
Nel 2026 scade la concessione e , normative europee a parte, il Veneto punta a recuperarne il controllo con una propria società, quindi non è più attuale la proroga ne’ la sua condizione accessoria.
2. Il tavolo di concertazione tra Stato, Veneto e Trentino è fermo da anni alla ipotesi di un tracciato non autostradale con sbocco a Trento sud, vanificata dalla volontà della giunta Fugatti di spostarlo a Rovereto sud. Ipotesi questa bocciata come non fattibile dallo studio commissionato dalla Serenissima e mai fatto proprio dal tavolo.

Cari, care,
sarebbe bello trovarsi con la scusa di fare uscire alla luce un piccolissimo libro : «Cose così»
per dire dei giorni tristi
per ricordare Francesco
per riflettere su questo tempo.
Un tempo che è avaro di ideali e di passione politica, che avrebbe tanto bisogno di cambiamenti profondi nel modo di pensare e di agire.
Un tempo in cui è davvero importante dare valore alle relazioni fra le persone e all'amicizia.
Grazie a Michele e Gabriella, il giardino della casa alle Camalghe di Cadine ci offre l'opportunità di vederci insieme.
Vi attendiamo
Lunedì 31 ottobre 2022 alle ore 11.00 per una zuppa calda, un sorso di vino e di amicizia.
Micaela (insieme a Michele e Gabriella)

di Raniero La Valle
(20 luglio 2022) Draghi è stato avvertito: Zelensky non gradisce che una crisi di governo in Italia disturbi l’incessante flusso di armi all’Ucraina né, come dice il suo consigliere Podolyak, “la tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali” (cioè la democrazia) “deve intaccare l’unità nelle questioni fondamentali della lotta tra il bene e il male”, ovvero mettere in dubbio la suddetta “fornitura d’armi all’Ucraina”. E anche Johnson lascia a desiderare. Perciò dobbiamo aspettare che domani la sorte del governo Draghi sia decisa non sui nostri colli fatali ma là dove si giocano le sorti delle nostre Costituzioni democratiche e della stessa pace del mondo, dal momento che le abbiamo messe nelle mani delle attuali tragiche star della guerra e del potere.
Aspettare non vuol dire tuttavia obbedire. È bene perciò accorgersi di un altro avvertimento “molto molto importante”, come scrive Enrico Peyretti. “Per la prima volta un papa invita a rifiutare di fare la guerra per ragioni morali, di coscienza. Non solo condanna la guerra (‘inutile strage’), ma chiede - non ai governanti, ma ai soldati - di non farla, di disobbedire! Rivoluzione di Francesco contro la politica, anche democratica, che ha l'omicidio di massa tra i suoi mezzi regolari. Chiede ai giovani di boicottare, di disobbedire, di far fallire i governi di guerra”.

(24 luglio 2022) Proprio nei giorni scorsi con alcuni amici parlavo di Alberto Tridente e di quando nella primavera del 1994 andammo insieme per un mese in Messico per la campagna elettorale di Cuatemoc Cardenas, allora candidato presidente per il PRD, il Partito della Rivoluzione Democratica. Fu un'esperienza intensa e profonda, che mi porterò nel cuore finché vivo. Grazie ad Alberto conobbi persone e luoghi straordinari ed iniziai ad amare quel paese nel quale poi ho avuto la possibilità di ritornare in più occasioni.
Oggi sono dieci anni che Alberto ci ha lasciati. Ma il fatto che Alberto abiti frequentemente le mie conversazioni e i miei pensieri significa che la sua traiettoria esistenziale ha lasciato un segno profondo.
Come sindacalista, quando fare sindacato significava farsi carico della condizione umana a tutto tondo, lui che veniva da una famiglia operaia di immigrati a Venaria e che a sua volta, trascorsa l'infanzia, di quella condizione era suo malgrado interprete come operaio metalmeccanico e come dirigente sindacale.