di Alex Faggioni
(novembre 2021) Da un anno e mezzo l'apertura dei TG, dei giornali, l'argomento più dibattuto nei talk show televisivi, è l'andamento della pandemia e le reazioni dell'opinione pubblica alle direttive emanate dal governo per il suo contrasto. Il dibattito pubblico si è cristallizzato attorno a questo anche se nel frattempo il mondo continua a scorrere ed il processo di erosione dei sistemi che per decenni hanno contribuito a garantire la tenuta sociale continua inesorabile.
La revisione di tutto l'impianto del terzo settore, cui le realtà trentine non sono esenti, procede spedito verso forme di privatizzazione ed accentramento di stampo marcatamente neoliberista. Processi in atto da tempo e denunciati vent'anni fa dai movimenti di protesta di Genova oggi non sono più semplici proiezioni teoriche di prospettiva ma sono piuttosto una realtà concreta che incide sulla vita di tutti noi.
Accanto alla messa in discussione quotidiana dei diritti dei lavoratori portata avanti con parole d'ordine come flessibilità e attraverso una trasformazione nell'ingaggio delle maestranze in forme sempre più liquide e precarie, stiamo vivendo in maniera del tutto inconsapevole all'opinione pubblica, un gravissimo processo di restringimento della possibilità di accedere al credito da parte di artigiani e realtà produttive. Posso testimoniare rispetto a questo un’esperienza diretta che mette a nudo un sistema territoriale che ha dei tratti inquietanti.
di Alessandro Mengoli *
In questa estate calda anche alcuni temi sembrano aver risentito del clima. Si torna a parlare con insistenza delle scelte energetiche e come queste influenzino non soltanto le politiche degli stati ma anche le scelte individuali.
Traggo spunto da un articolo apparso sul Foglio, oramai diventato per me fonte di ispirazione. Si parla della bislacca idea di creare una APP personale per calcolare le proprie emissioni di CO2: sono queste proposte che portano la gente ad odiare qualsiasi politica di contrasto ai cambiamenti climatici. E aggiunge, rincarando la dose, come se non bastassero gli aumenti delle bollette.
Visto che l’articolo si appella alla logica, nel proporre soluzioni efficaci, non si capisce quale nesso logico accomuna la APP, che vuole spiare i nostri comportamenti, al costo dell’energia elettrica o del gas. L’unico nesso che vedo è la produzione di CO2, rispetto la quale si mostra il fastidio nei confronti dei tentativi di limitarla in qualsiasi modo, o con la APP o con l’aumento tariffario.
Queste note sono state scritte in due momenti diversi. La prima è nata in risposta ad una serie di articoli che “Il Foglio” ha pubblicato in questi giorni. Complice la calura estiva, la lettura ha subito innalzato la temperatura corporea oltre il livello di sopportazione. E cosi ho preso carta e penna e ho scritto al Direttore. Sono gesti di reazione che si fanno, pur sapendo che il direttore del Foglio mai pubblicherà una riga di quanto ho scritto.
Alla prima è seguita, il giorno dopo, la seconda nota dove faccio alcune considerazioni per analizzare le "ragioni dell'avversario", considerazioni che non mi sentivo di condividere con Cerasa. Ma con questo blog, sì. (a.m.)
di Alessandro Mengoli
Egregio Direttore,
scrivo in risposta all’articolo pubblicato in prima pagina a firma di Maurizio Crippa, pubblicato sull’edizione del Foglio del 12 agosto 2021, con il titolo: Il Cuomo dell’IPCC scriveva balle ma vinceva il Nobel.
Riporto dal testo: “…Ma il clima è cambiato, sì. Fosse stato lo stesso nel 2007 – quando un vecchio marrazzone di nome Rajendra Pachuari, che guidava l’Ipcc come un satrapo, fu costretto a dimettersi per molestie sessuali – assieme a lui avrebbero coperto di merda anche il suo istituto. Invece, siccome era a capo di un comitato alla moda, gli studi sul clima, in quel 2007 gli diedero pure il Nobel per la Pace. Incuranti che Pachuari quello stesso anno avesse diffuso un report che annunciava, sbagliando, lo scioglimento dell’Himalaya nel 2035.Ora siamo nel 2021 e tutti, tranne Franco Prodi e pochi altri prodi, pensano che i report Ipcc siano vangelo. Che clima ”.
di Vincenzo Calì
In tempi in cui a sbandierate conversioni ecologiche future si accompagnano mega progetti ferroviari presenti, sarebbe utile guardare anche a visioni passate, come quelle ottocentesche del poeta dialettale Bepi Mor: “El nos Trentin l'è fat come a ventala; 'n fora, i ghe fa 'n orlo de contorno per salvarlo 'n tantin da l' “omnia mala”.
Utile esercizio, quello di ricorrere a visioni, per quanti si trovano a vario titolo investiti del compito di salvaguardare l’autonomia territoriale.
Piace pensare che a queste dichiarazioni il poeta sia giunto alla vista dell’assalto subito dal territorio ai suoi tempi: la costruzione a fini militari delle ferrovie avvennero allora senza alcun riguardo alla struttura urbanistica della città di Trento, creando secolari ferite non ancora rimarginate.
(19 giugno 2021) Erano passati ormai una decina d'anni da quando i nostri percorsi politici avevano preso strade diverse. Eppure, nell'incontrarsi, bastava uno sguardo fra noi per dirci in buona sostanza che le cose in fondo non erano cambiate.
In questa sorta di intesa non centrava quel che accadeva nel mondo – grandi mutamenti investivano tempi piuttosto interessanti – quanto il trattamento che veniva riservato al pensiero laterale e a chi quella sensibilità sincretica cercava di interpretare.
Così il carattere aperto, la ricerca, la mitezza venivano scambiate per moderazione e arrendevolezza. Che nelle prerogative verticali, maschili e autoritarie delle strutture (di partito e non solo) diventavano motivo di emarginazione. La forza era data dai numeri, nelle piccole appartenenze forse ancor più che in quelle più robuste.
Avevamo imparato a sorriderne, ma questo non diminuiva certo il dolore e la fatica del sentirsi inascoltati o mal sopportati.
di ***
LA FRATTURA
Il 2018 politico, guardato dalle lande periferiche e autonomiste del Trentino, è stato un anno di grandi e dolorosi stravolgimenti. Sembra passato un secolo.
Il 4 marzo si svolgono le elezioni politiche. Nessuno dei tre poli principali (fatica vistosamente il csx, il cdx si scopre a trazione leghista, esplode il M5s che arriva quasi al 33%) ottiene una vittoria tale da garantire la costituzione di un Governo.
La frammentazione emersa dalle urne e la litigiosità tra le varie forze politiche porta contemporaneamente a una crisi istituzionale lunga quasi tre mesi, alla nascita del primo governo Conte – detto giallo/verde – e ad una legislatura schizofrenica, fatta di maggioranze a geografie variabili, anzi variabilissime. Governo Draghi compreso.
Prende il via l’estate sovranista. Salvini Ministro dell’Interno applica (sostenuto dai suoi alleati) la dottrina “cattivista” nei confronti dei migranti sulla rotta mediterranea e verso chiunque tenti di esprimere loro solidarietà. Una dottrina con radici profonde. Il M5s tenta – con risultati ambivalenti – di intestarsi alcune grandi questioni sociali (te la ricordi l'“abolizione della povertà?”) e ambientaliste.
Il centro-sinistra, in tutte le sue molteplici e litigiose rappresentazioni, fatica a riorganizzarsi, ad esserci.
La fotografia del Censis parlava di sovranismo psichico. Un sentimento prima che una proposta politica. E’ la stagione che segna il passaggio dal rancore alla cattiveria.
di Razi e Soheila Mohebi
"A volte uno non si cura dei passeri e non sente quello che hanno da dire.
A volte non si cura di sentire il suono di flauto del pastore e non distingue le voci delle pecore e degli agnelli
e non si capisce cosa vogliono dire e poi arriva anche la volta in cui non sente più i sospiri e i gemiti delle altre persone.
L'esperienza della massimizzazione , sempre al suo apice, è possibile solo per l'uomo in guerra.
"Guerra significa massimizzare tutto."
Il nostro asino nero e altre Memorie di Jaghoori
Afghanistan
Mi viene da dire che tutto sia andato ad una velocità atroce, ma poi mi fermo sul mio pensiero: sapevamo fin dal lontano 2011, quando siamo partiti con una equipe della FilmWork sostenuta a sua volta dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, per girare il primo episodio di "Afghanistan 2014 campo lungo".
Il film racconta la prospettiva della comunità internazionale dopo il loro ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Abbiamo percorso le nostre inquietudini fino al 2014 realizzando il secondo episodio "Afghanistan 2014, Insert " e attraversando l'Europa, dalla Grecia all’Italia, dalla Germania alla Svezia, abbiamo domandato della diaspora afghana in esilio, per sapere cosa pensano possa accadere con il ritiro definitivo delle forze internazionali.
(4 maggio 2021) Se ne è andato da questa vita Francesco Maria Feltri. Aveva 63 anni. Una morte improvvisa che ha lasciato nello sconcerto le molte persone che lo avevano apprezzato nel suo tragitto di studioso, insegnante e formatore.
Per chi non ha avuto l'opportunità di conoscerlo, Francesco Maria Feltri era considerato tra i massimi esperti italiani di Storia del Nazionalsocialismo e della Shoah. Innumerevoli i viaggi di studio che ha accompagnato in Polonia, Repubblica Ceca, Paesi Baltici, Russia, Turchia e Israele, collaborando con musei, fondazioni e istituzioni della memoria, tra cui la Fondazione Fossoli di Carpi e l'Istituto di Storia della Resistenza di Modena.
Ho conosciuto Francesco Maria Feltri solo nel 2018, in occasione del viaggio di studio “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”. Andammo a rendere omaggio a Predrag Matvejevic, nel luogo della sua ultima dimora nel cimitero di Zagabria; al memoriale che ricorda il campo di sterminio di Jasenovac; a Omarska, nei pressi di Prijedor, dove nel 1992 riapparvero i campi di concentramento; a Sarajevo, dove ebbe tragicamente inizio il Novecento e dove altrettanto tragicamente si concluse; a Srebrenica, dove si consumò sotto lo sguardo ipocrita del mondo il massacro della popolazione bosgnacca che aveva cercato protezione nella base delle Nazioni Unite. E qui mi fermo un attimo.
Un anno fa usciva “Il monito della ninfea”. Un invito alla lettura e all'incontro.
(20 aprile 2021) Sono trascorsi quasi due anni e mezzo da quella notte di fine ottobre 2018 quando la furia del vento abbatté 42.500 ettari di bosco e foreste dolomitiche. Si trattò dell'evento di maggior impatto sugli ecosistemi forestali mai avvenuto in Italia, cambiando in questo modo il volto di 494 Comuni, per un territorio complessivo di due milioni e 306 mila ettari spalmati sull'arco alpino orientale.
In un contesto nel quale gli avvenimenti si consumano in pochi giorni, a volte in poche ore, il lasso di tempo che ci separa da quel tragico evento può sembrare sufficiente per metterlo in archivio.
Se pensiamo che in questi due anni è accaduto di tutto, non solo il susseguirsi di altri eventi estremi che hanno scosso gli ecosistemi in ogni parte del pianeta ma soprattutto una sindemia che ancora sta devastando la vita di miliardi di persone, l'uragano Vaia potrebbe oltremodo apparire come un fatto verso il quale non riservare ulteriore attenzione.
Questo mettersi le cose alle spalle senza averne colto il monito non va bene. Allo stesso modo continuiamo a guardare gli avvenimenti come se fossero compartimenti stagni quando invece tutto si tiene. «Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe» scrive Walter Benjamin nel suo scritto dedicato all'Angelus Novus. Un'esortazione che vale anche per questo nostro tempo, che ci dovrebbe aiutare a riconoscere le connessioni fra le cose che accadono e solo apparentemente estranee l'una all'altra.
di Adel Jabbar
La decisione del Papa di compiere una visita in terra mesopotamica richiede un’analisi attenta vista la complessità delle dinamiche geopolitiche del Vicino e Medio Oriente.
Il Pontefice si è recato in un’area che è teatro di scontro geopolitico, in cui sono presenti eserciti di potenze straniere invisi alle popolazioni locali, in cui il terrorismo di matrice transnazionale è all’ordine del giorno, i duri scontri tra diverse fazioni sono spesso sostenuti da attori internazionali grandi, medi, piccoli e piccolissimi. Nonostante tutto ciò ilcapo dello Stato Vaticano ha compiuto questa visita importante.
Dopo l’euforia mediatica e dopo che sono state dette molte cose e sono stati fatti molti commenti riguardo al viaggio del Sommo Pontefice vorrei richiamare l’attenzione su un aspetto relativo ai pronunciamenti del Papa durante le diverse tappe del suo viaggio.
Esso è di natura politica e riguarda la critica alla pratica della guerra, in quanto causa principale delle gravi condizioni in cui vivono molte delle popolazioni del mondo. Il Papa ha più volte sottolineato come la guerra sia un atto di sopraffazione. Ciò trova una dimostrazione chiara e drammatica in Iraq. Un paese strategico ricco non solo di materie prime bensì anche di risorse umane e di un immenso patrimonio storico culturale che ha subito due guerre scatenate in base a delle eclatanti e ignobili bugie quali la storia dei neonati nelle incubatrici gettati a terra dai soldati iracheni in Kuwait nel 1991. Episodio raccontato da una presunta infermiera, rivelatasi successivamente la figlia quindicenne dell’ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti, addestrata da un’agenzia americana di pubbliche relazioni. Anche per la guerra del 2003 si è fatto di nuovo ricorso ad una menzogna ovvero la storia delle armi di sterminio di massa, riportato con tanto di provetta tenuta in mano dall’allora segretario di stato Colin Powell. Queste sì che possono essere definite la madre delle fake-news. Tali bugie sono ormai ammesse perfino da diversi esponenti delle Nazioni Unite coinvolti nei fatti dell’epoca quali Denis Halliday, coordinatore degli aiuti umanitari ONU e Hans von Sponeck, coordinatore del piano sanitario ONU in Iraq. Il risultato di tale disinformazione è stato da un lato l’appoggio di alcuni settori dell’opinione pubblica mondiale all’intervento militare e dall’altra la popolazione irachena terrorizzata e brutalmente devastata. I responsabili di questi crimini di guerra, non solo rimangono fino ad oggi impuniti, bensì continuano a diffondere le loro menzogne e i loro successori proseguono perpetuando le medesime azioni distruttrici in altri contesti.
di Adel Jabbar
(30 marzo 2021) Due avvenimenti consecutivi - il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul e la scomparsa della scrittrice e intellettuale nonché medico Nawal Al-Sa‘adawi - hanno suscitato diverse discussioni e tanti interrogativi.
Il primo avvenimento si riferisce alla decisione di Erdogan in data 20 marzo che sancisce l’uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul. Questo evento ha scatenato aspre polemiche da parte della stampa e delle organizzazioni femministe e altrettanto dure reazioni a tali critiche da parte di componenti del mondo islamico. Molte delle reazioni sono state delle prese di posizione difensive e poco argomentate, sovente, espresse con un tono accusatorio nei confronti di coloro che avevano espresso un parere critico al ritiro dalla convenzione. Il trattato in questione, mira essenzialmente a sollecitare le autorità dei paesi aderenti a prendere provvedimenti a sostegno delle donne che subiscono violenze e discriminazioni. Quindi i suoi contenuti non sono norme di legge che portano, come qualcuno vuole fare credere, alla distruzione della famiglia tradizionale. Gli stessi che lo affermano, sorvolano invece sul fatto che la famiglia spesso si distrugge proprio a causa della violenza che le donne subiscono da parte degli stessi famigliari.
Un’altra posizione riportata dai sostenitori di Erdogan è quella di considerare la convenzione come incentivo ad intraprendere altre scelte sessuali. Invece l’obiettivo della convenzione è quello di stimolare gli attori pubblici a mettere in essere interventi atti a garantire il rispetto di tutte le persone al di là degli orientamenti sessuali e a tutelarne la dignità.
di Emilio Molinari
(21 marzo 2021) Ho 81 anni, sono invalido al 100%, ho patologie cardiovascolari molto gravi e pure oncologiche, tanto per non farmi mancare nulla.
Non mi hanno ancora vaccinato e non mi hanno mai contattato. Non sono estraneo alla politica e ai media e quindi mi sono trattenuto da proteste. Mi sembrava di cercare una soluzione per me. Inoltre non sono nei social. Aspetto.
Aspetto cosa? Aspetto il vaccino o aspetto il Covid? Chi arriva primo?
Due giorni fa è morto un caro amico di 88 anni Carlo Rossi, una persona amata da molti a Milano. Un poliziotto pistolero gli uccise il figlio e lui con la moglie Adele non hanno mai smesso l'impegno civile. Carlo aspettava il vaccino. E' arrivato prima il Covid e la morte. Quanti morti per ogni ritardo e silenzio della Regione Lombardia?
Di queste morti non c'è un conto e non c'è rendiconto di responsabilità. Solo oggi è arrivata un po' di indignazione dei media.
Care amiche e cari amici,
neve e freddo ci dicono che la primavera sembra ancora lontana. La crisi climatica ci avrebbe dovuto insegnare che i passaggi di stagione avvengono repentinamente e che i picchi di calore hanno eroso quelle di mezzo. Ma intanto l'inverno non intende mollare la presa, siamo tutti più stanchi e nervosi e la fine del tunnel non si vede.
No, non intendo proporvi alcuna metafora politica. Mi piace solo immaginare che a primavera e con il necessario distanziamento per una sindemia con la quale dovremmo convivere ancora a lungo, sarebbe bello poter riprendere le presentazioni del nostro libro Il monito della ninfea.
Nei giorni scorsi, sfogliandone le pagine, mi sono reso conto di quanto quel lavoro – uscito esattamente un anno fa a ridosso del primo diffondersi del Covid-19 – mantenga intatto il suo valore, ben oltre l'ambito di inchiesta (la tempesta Vaia) che si proponeva. E di come quel monito risulti quanto mai attuale.
Al Presidente del Consiglio dei Ministri del Governo Italiano
Prof. Mario Draghi
Egr. Prof. Draghi,
Desideriamo condividere con Lei e i Ministri impegnati qualche elemento di valutazione generale e avanzare raccomandazioni e suggerimenti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Siamo un gruppo di docenti, ricercatori ed esperti afferenti a diverse discipline accomunate dalle finalità di protezione sia degli ecosistemi e dell’ambiente in cui viviamo sia della salute umana e degli organismi viventi. Stiamo seguendo e studiando la pandemia dal suo arrivo e siamo preoccupati per il presente e per il futuro. Per questo, oltre a contribuire allo studio dei fenomeni collegati alla pandemia, siamo interessati alle elaborazioni ed alle scelte per la ripresa economica e sociale1.
Siamo consapevoli della necessità di affrontare la sfida di una ripartenza che non sia basata sugli stessi modelli che hanno determinato la grave situazione in cui ci troviamo. Per imboccare una traiettoria diversa c’è bisogno di un cambio di paradigma del modello di sviluppo e di consumo oggi prevalente, ed è necessario che molte scelte siano fatte con immediatezza. Trattandosi di una profonda crisi sanitaria, sociale, economica, perfino esistenziale, un piano di ripresa post-pandemica deve necessariamente confrontarsi con una miriade di problemi, come illustrato dal Green Deal europeo. Osserviamo con grande interesse l’evoluzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ed apprezziamo gli sforzi fatti in molte direzioni, seguendo le indicazioni di quello europeo.
di Ugo Morelli
Il paesaggio corpo
Quali effetti inattesi può generare la mancanza! Uno si ritrova in contatti sociali deprivati per la pandemia ed ecco che fa scoperte inaudite.
Prima di tutto ha tempo per riflettere. All’inizio ha un effetto di vertigine, si sente spaesato. Poi è forse proprio quello spaesamento che diventa produttivo.
Del resto, se non ci si spaesa è difficile riconoscere il paesaggio. Non lo sappiamo, ma è probabile che è quando lo tiri per un momento fuori che il pesce si accorge dell’acqua.
Allora un’intera stratificazione di paesaggi, come matrioske, si propone, con la pandemia. A cominciare dal paesaggio corpo.
Ci accorgiamo delle mani: non possiamo usarle liberamente; dalla loro centralità nelle nostre vite e nella nostra evoluzione, una centralità tacita e addirittura scontata, diventano fonte di rischio e pericolo: per toccare gli altri e le cose e per toccare persino se stessi. Le guardiamo e le sentiamo con una certa diffidenza. Averle rimane indispensabile ma è anche preoccupante. Ce ne dobbiamo prendere cura più del solito e persino il vecchio monito del galateo diventa una disposizione sanitaria e normativa: lavarsi e disinfettarsi le mani continuamente. Scoprendo che non basterà mai: dopo averle lavate bisogna chiudere il rubinetto! Poi bisogna aprire la porta del bagno con la maniglia, e poi…e poi… Quella che era un’indicazione di buona educazione, salutare stringendo la mano all’altro, è divenuta un’offesa da untori, da superficiali irresponsabili che non si curano del rischio di contagiare un altro. Per non parlare del respiro, altro atto costante e necessario per vivere, e dato altrettanto per scontato. Ci accorgiamo della sua importanza per vivere perché sentiamo di rischiare ad ogni inspirazione e di mettere a rischio gli altri ad ogni espirazione. E vogliamo parlare delle labbra e di un bacio?! Il paesaggio corpo si presenta a noi come se fosse la prima volta che lo viviamo.