
Il secondo dei racconti brevi che prendono spunto dal percorso formativo “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”1
di Michele Nardelli
«La Commissione di indagine sui crimini di guerra delle Nazioni Unite
presieduta da Tadeusz Mazowiecki, nel suo rapporto del 1994,
ha dichiarato che la distruzione sistematica della comunità bosniaca
nell'area di Prijedor merita il nome di genocidio».
Luca Rastello
“La guerra in casa”
In un primo momento non voleva incontrarci. Troppo tempo trascorso nel silenzio, troppe delusioni, fors'anche una sorta di – peraltro reciproco – senso di colpa. Anni nei quali le speranze di una nuova vita dopo la tragedia che aveva segnato quella precedente si sono infrante in una dura quotidianità che non ti riconosce nemmeno il dolore, che di nuovo ti respinge e ti discrimina, che ti fa sentire sola, che ti fa capire quanta ipocrisia e falsa coscienza ti circonda.
Finiti gli anni del fervore, quando nel ritorno e nella ricostruzione ti dicevi “malgrado tutto sono ancora qui” e ti sentivi forte di questo e sapevi guardare negli occhi chi ti aveva cacciata e che ora faceva finta di nulla, non è facile trovarsi a dover fare i conti con una realtà dimezzata, negli affetti più cari che se ne vanno e con gli amori che non riescono più a nascere.
C'è un sole ancora caldo a Rizvanovici, uno dei villaggi sulla riva sinistra del fiume Sana, nel territorio della municipalità di Prijedor. Malgrado l'apparente normalità e i fiori alle finestre, ancora si scorgono qua e là i segni di quei tragici giorni della primavera del 1992 in cui venne raso al suolo senza risparmiare nulla, nemmeno i cimiteri o le strade, l'acquedotto o i pali della luce. Nella “Lijeva Obala” si contarono circa millecinquecento vittime. Jasna scappò attraverso i boschi tenendo per mano i suoi due figli piccoli. Una storia simile a quella di tante altre donne.
sabato, 8 settembre 2018 ore 07:00
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Progetto formativo per insegnanti e non solo
8 – 14 settembre 2018
Nonostante il nuovo secolo sia ormai inoltrato, siamo ancora nell'incubo del Novecento. L'Europa è di nuovo attraversata dal vento del nazionalismo, nelle sue forme più tradizionali del predominio etnico/religioso come in quello più subdolo dello scontro di civiltà.
Alla condizione di insicurezza che la globalizzazione porta con sé e al venir meno delle tutele seppure diseguali che il welfare state aveva assicurato nel secondo dopoguerra, la risposta sembra essere quel chiudersi a difesa di quel che si ha e di quel che si è, come se il diritto alla vita e alla dignità fosse prerogativa di qualcuno in sottrazione verso il prossimo, come se le identità non fossero l'esito dell'incontro fra diversità in un continuo divenire.
Razze che non esistono e religioni usate come pretesti per riproporre il grande imbroglio della guerra e della discriminazione, per nascondere interessi criminali e logiche di dominio. “Prima noi” si urla nelle piazze e nei luoghi dove si coltiva il rancore, così come un tempo si gridava “Deutschland über alles” o si cantava “Faccetta nera” nel rivendicare il proprio dominio imperiale, a testimonianza di quanto poco si sia imparato dalla storia.
Eppure bastava cogliere i segni del tempo. Quanto è accaduto dall'altra parte del mare Adriatico nell'ultimo decennio del Novecento ci avrebbe potuto aiutare a comprendere quel che si stava addensando nel cuore della vecchia Europa, ma si è preferito affidarsi agli stereotipi e far prevalere l'ipocrisia.
Modena, Trieste, Zagabria, Prijedor, Travnik, Sarajevo, Srebrenica, Belgrado, Vukovar, Modena
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di Michele Nardelli
(20 agosto 2018) Cinquant'anni. E' passato mezzo secolo da quella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968 in cui i carri armati fecero irruzione in Cecoslovacchia e invasero le strade di Praga.
Ne ho un ricordo nitido, malgrado fossi poco più che un bambino. Con mio fratello Carlo nella nostra stanza alle Camalghe il piccolo transistor era sintonizzato sulle frequenze di Radio Praga e fu proprio in quei momenti, passata la mezzanotte, che venne lanciato il disperato appello affinché la Primavera non venisse soffocata.
Sappiamo che la storia andò in altro modo e che dovettero passare altri vent'anni per la fine di quella dittatura. Ed ero a Praga in quel 29 dicembre 1989 quando Vaclav Havel parlò alla folla dei manifestanti dalle finestre del Forum civico che di lì a poco l'accompagnarono al Castello in veste di presidente dell'allora Cecoslovacchia.
venerdì, 10 agosto 2018 ore 07:00
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Nono itinerario del "Viaggio nella solitudine della politica".
10 agosto - 16 agosto 2018
Fra qualche giorno il programma definitivo.
Trento, Zugliano, Trieste, Jasenovac, Dubica, Prijedor, Travnik, Sarajevo, Mostar, Srebrenica, Belgrado, Osijek, Varazdin

«Tempi interessanti» (83)
Il dibattito, meglio sarebbe dire le grida, sul tema delle migrazioni sta occupando la cronaca politica in tutto l'Occidente. Di per sé potrebbe essere positivo, se almeno questo comportasse la volontà di farsi carico della vita di tante persone e insieme di comprendere le ragioni di un esodo che almeno in queste forme non ha precedenti. Ma purtroppo così non è, tanto è vero che il problema per le cancellerie è in genere come evitarne l'approdo dentro i propri confini nazionali e di come all'interno di questi cavalcare il mantra della sicurezza per trarne consenso. Lo scopo di questa nota non è quello di trattare la questione, ma più semplicemente di mettere in evidenza la sostanza del problema e l'ipocrisia con la quale lo si affronta.

Predrag Matvejevic
Breviario Mediterraneo
Garzanti, 2006
"I traffici dei mercanti, le migrazioni delle anguille, fughe di popoli e nascita di idee, leggende, architettura, storia, paesaggi".
Un capolavoro che ti aiuta a comprendere l’intreccio straordinario di parole, saperi, profumi fra oriente ed occidente.
«... Gli arabi passavano da una sponda all'altra anche senza carte, conquistavano il mare vincendo per terra. Andavano da est verso ovest, dal Mashrek verso il Magreb - questa era del resto anche la direzione della diaspora ebraica e dell'evangelizzazione cristiana, delle varie spedizioni e trasmigrazioni dal Vicino o dal Lontano Oriente, dei popoli che andavano dietro il corso del sole e, forse proprio per questa ragione, riuscivano nelle loro imprese meglio degli altri. I conquistatori arabi occuparono Ifrkia, s'impadronirono di Alesandria, passarono sulla parte settentrionale del mare nostrum. Vennero a conoscenza di Aristotele e di Tolomeo prima di noi, nonostante l'incendio della biblioteca Alessandrina. La geografia venne tradotta in arabo sia dal greco sia dal siriano prima che lo fosse nelle lingue europee. La grande sintassi divenne il celebre Almagesto. Il geografo Al-Musadi vide anche le carte di Marino di Tiro sulle quali aveva studiato lo stesso Tolomeo. Al Batani assunse o fece sue le concezioni tolemaiche. Al-Huvarismi le completò. Al-Biruri andò persino oltre: anticipò Galileo. Le conoscenze geografiche sono state trasferite dal Mediterraneo sud orientale a quello occidentale e settentrionale...»
giovedì, 7 giugno 2018 ore 18:00

L’arte di muoversi con salti mortali e acrobazie sui muri crivellati di colpi di Gaza.
La riappropriazione di un territorio che è una prigione a cielo aperto.
ORE 15.00 - attivita di parkour con Abdalah Inshasi, atleta palestinese e fondatore del Gaza Parkour Team, insieme al gruppo di parkour di Rovereto Natural-Style
ORE 18.00 - Incontro con Meri Calvetti (cooperante in Palestina per ACS - Associazione Cooperazione e Solidarietà);
Abdallah Inshasi (fondatore del Gaza Parkour Team); Emanuele Gerosa, (filmmaker). Coordina: Elisa Dossi (giornalista RAI)
Organizzano: C'entro Anch'io - Comunità Murialdo, Comitato delle Associazioni per la pace e i diritti umani di Rovereto, Cooperativa Smart, Natural-Style, Quilombo Trentino - Operazione Colomba, Pace per Gerusalemme onlus.
In collaborazione con: ACS - Associazione Cooperazione e Solidarietà, 100-one.
Rovereto, Parco Amico - SmartLab, viale Trento 47/49

Quello che segue è il primo di una serie di racconti brevi che prendono spunto dal percorso formativo “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa” realizzato nel settembre scorso dall'Istituto storico di Modena e che ho avuto il piacere di accompagnare.
di Michele Nardelli
«Ho conosciuto ad Alessandria un Catalano,
di mestiere orologiaio,
che tentava di ricostruire,
sulla base dell'esiguo numero di dati a disposizione,
il catalogo della devastata biblioteca di quella città,
la più grande dell'antichità...»
Predrag Matvejevic,
Breviario Mediterraneo
Scrive Claudio Magris che Predrag Matvejevic – nella sua ricerca filologica sul Mediterraneo – aveva qualcosa in comune con quell'orologiaio catalano che non desisteva dalla sua impresa malgrado il carattere impossibile del suo proponimento. Predrag era così, un cuore mite che “viveva pericolosamente”, perché questo era il suo modo di stare al mondo..
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Il recente comizio elettorale che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha tenuto a Sarajevo ha messo in luce le difficoltà della Bosnia Erzegovina di oggi e le contraddizioni dell'Europa
di Ahmed Buric, Sarajevo *
(maggio 2018) A prescindere da come la storia ricorderà - se lo ricorderà - il comizio elettorale tenuto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan a Sarajevo domenica 20 maggio, una cosa è certa: ci sono (almeno) due Europe. La prima è quella che comprende il territorio dell’Unione europea. L’altra Europa, non appartenente all’Unione, è tutt’oggi un territorio conteso.
Pescando nel torbido e giocando la carta del populismo, Erdogan è riuscito a trarre il massimo vantaggio dal fatto che in Bosnia si intrecciano i due “imperi”. L’Unione europea non vuole né può risolvere i problemi della Bosnia Erzegovina, e quest’ultima non può uscire da sola dalla trappola in cui è finita a causa del malgoverno e del perdurare di un sistema insostenibile.
giovedì, 17 maggio 2018 ore 21:00
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All'interno di un programma più vasto dal titolo Balcani d'Europa - lo specchio di noi (un'idea di elaborazione di pensiero che parte dai vent'anni dal debutto del monologo su Srebrenica di Roberta Biagiarelli, vedi allegato), un dibattito sui legami mafiosi fra Italia e Balcani. La serata di svilupperà attraverso un dialogo fra Pierluigi Senatore e Michele Nardelli.
Formigine (Modena), magazzini San Pietro
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«Tempi interessanti» (81)
... Sto parlando di Scicli, antico borgo barocco in provincia di Ragusa, noto negli ultimi anni per aver ospitato lo sceneggiato del Commissario Montalbano. Ma soprattutto per la sua storia infinita fatta di “passaggi” che ne hanno forgiato il carattere e i luoghi, dai greci ai cartaginesi, dai romani ai bizantini, dagli arabi ai normanni, dagli svevi agli aragonesi. E “Passaggi” è anche il titolo della mostra di opere d'arte fotografica che Carlo ha realizzato ritraendo i segni che il tempo ha fatto ai volti delle case, crepe apparentemente anonime che parlano di questa città più di tante banali promozioni turistiche e che nessuno sa più ascoltare...

Uno sguardo alle elezioni regionali del Friuli–Venezia Giulia 2018
di Giorgio Cavallo
Sono ormai passati alcuni giorni dalle elezioni regionali F-VG del 2018. Spero sia passata l’onda emotiva in cui ero coinvolto per la presenza del Patto per l’Autonomia e l’attesa del suo risultato. Ma ora è fatta, e malgrado il mio algoritmo previsionale desse un finale del 3.95% dei voti di lista, la realtà è stata benevola e grazie al “benandante Sergio” è arrivato il 4,09% con due seggi nel nuovo Consiglio Regionale.
Il prof. Feltrin, da totale incompetente di questo mondo, parla dello “zoccolino duro dell’autonomismo”: ma lasciamolo pure dire. Il futuro chiarirà se questo segnale è altro e se i politologi italiani dovranno frequentare qualche corso di aggiornamento. Lo stesso istituto Cattaneo nelle sue analisi delle dinamiche del voto non si azzarda a capire o valutare il senso di questa presenza territoriale, ed è unicamente interessato alle dinamiche dei tre attori tragicomici che occupano la scena.
Per quanto mi riguarda quando analizzo i risultati di una elezione o un referendum lo faccio secondo una griglia particolare che cerca di interpretare l’evoluzione della crisi sistemica delle offerte politiche italiane nei loro rapporti con i cittadini ed i possibili riflessi sul percorso di decomposizione-trasformazione della Repubblica in cui viviamo.
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Nella spettacolare cornice dell'antico monastero di Sant'Anna1 abbiamo cercato di restituire ad un folto gruppo di amici quel che il recente viaggio in Catalunya ci ha consegnato. Lo abbiamo fatto attraverso una serie di immagini/riflessioni che si sommano a quanto con Federico abbiamo già scritto. Metto quindi per esteso gli appunti che ho proposto introducendo la proficua conversazione di sabato scorso, chiedendo ai presenti di fare altrettanto, sviluppando in forma scritta le loro stimolanti considerazioni.
di Michele Nardelli
1. L'omaggio a Walter Benjamin, l'attualità del suo messaggio
Cominciamo dalla fine del nostro viaggio, la visita a Port Bou dove sorge il memoriale in ricordo di Walter Benjamin. Qui, nella notte fra il 26 e il 27 settembre del 1940, il filosofo tedesco stremato dal fuggire infinito dalla persecuzione nazista e devastato dalla decisione del governo franchista di chiudere il suo territorio ai “profughi illegali” decise di porre fine alla sua esistenza. Scrisse un biglietto: «In una situazione senza uscita, non ho altra scelta che farla finita. E la mia vita terminerà (va s'achever) in un paesino dei Pirenei in cui nessuno mi conosce. La prego di trasmettere i miei pensieri al mio amico Adorno, e di spiegargli la situazione nella quale mi sono trovato. Non mi resta abbastanza tempo per scrivere tutte le lettere che avrei voluto scrivere».
Nel promontorio a picco sul Mediterraneo dove l'architetto di origine ebraica Dani Karavan realizzò agli inizi degli anni '90 un memoriale per nulla retorico e di straordinaria efficacia comunicativa, a pochi passi dal cimitero di Port Bou, i flutti delle onde ci ricordano dell'infinito lottare per la vita. E della straordinaria attualità del messaggio che Benjamin ci ha lasciato, mettendoci di fronte alla critica del progresso con il suo celebre scritto sull'Angelus Novus di Paul Klee2, alla questione dell'umano nella storia in un tempo che con il “prima noi” sdogana la fine dell'umanesimo, alla condizione dell'apolide fra il diritto di cittadinanza di ogni essere umano e i confini degli stati-nazione all'origine delle grandi tragedie del Novecento.
Ragione quest'ultima che aveva portato Soheila Javaheri e Razi Mohebi – amici cari che hanno partecipato al nostro viaggio – ad immaginare da tempo di concludere proprio qui a Port Bou l'autobiografia della prima parte della vita di un apolide moderno come Razi. In quel bisogno imprescindibile di passare da una condizione di sopravvivenza vegetativa ad una vita che possa definirsi tale, ben rappresentata da quella piccola frontiera ancora oggi militarizzata che ci ferma e che mette Razi per l'ennesima volta di fronte al proprio status di “cittadino del nulla”. Non avremmo potuto immaginare una conclusione del nostro itinerario catalano più paradigmatica.

Pensieri sparsi alla vigilia del viaggio a Bruxelles, promosso Usr Cisl Toscana e Istel, nell’ambito del percorso formativo: “I venerdì di Via Dei”, 18-20 aprile 2018
di Francesco Lauria *
Chi deve interpretare il tempo che resta per ritrovare una bussola nella comunità smarrita?
Alla vigilia di un viaggio “sindacale” nel cuore dell’Europa, mentre in televisione o dagli schermi dei nostri smartphone osserviamo i missili occidentali delineare una possibile nuova “guerra umanitaria”, è questa la domanda notturna che risuona, analizzando quella che Aldo Bonomi ha definito, riecheggiando Baumann, “liquefazione spaziale”.
Questa perdita della solidità e relazione si ritrova anche a cospetto della rilevante perdita di capacità culturali, organizzative e normative, di trasformare il lavoro, nelle sue varie e non sempre catalogabili forme ipermoderne, in soggettività collettiva attiva e solidale1.
Lo sguardo, in particolare se si rivolge all’Europa strappata di questo tempo, rimane sospeso nelle “vicissitudini dell’io”, ripetuto nazione per nazione, incapace di rielaborare, uscendo da sé, un noi inclusivo, in cui riconoscersi, essere riconosciuto e, infine, riconoscere.
Ci perdiamo, naufraghiamo come singoli e collettività, nell’incapacità di ritrovarci, pensiamo a costruire nuovi recinti, nuove illusorie e falsamente rassicuranti comunità chiuse, a volte, le trasformiamo, persino in “comunità maledette”2, nonostante il monito che le guerre “fratricide” dei Balcani avrebbero dovuto imperituramente lasciarci.
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Questo piccolo saggio è apparso sul n.113 di "Protagonisti", la rivista dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Isbrec) dedicato al tema delle autonomie e della Regione Dolomiti.
di Michele Nardelli
«... E' pericoloso credere che un individuo o un gruppo possa essere libero solo a patto di essere anche sovrano. La famosa sovranità delle società politiche non è mai stata altro che un'illusione, che per di più può reggersi solo grazie agli strumenti della violenza, cioè con mezzi di per sé extra-politici. Data la condizione dell'uomo, determinata dal fatto che sulla terra non esiste l'uomo, bensì esistono gli uomini, libertà e sovranità sono così lontane dall'identificarsi da non poter neppure esistere simultaneamente. … Se gli uomini desiderano essere liberi, dovranno rinunciare proprio alla sovranità». Hannah Arendt, Tra passato e futuro
Hannah Arendt scrive queste parole nel 1954 ma il suo sguardo lungo giunge fino a noi, in questo tempo di “sovranismi” dove riecheggiano, malgrado le lezioni della storia, le rivendicazioni del “prima noi”, eco appunto di quel “Deutschland über alles” così foriero di sventura.
