Intervista allo storico Ilan Pappé (ebreo israeliano antisionista, uno dei principali "nuovi storici" che hanno rivisitato in chiave non-sionista la storia di Israele) pubblicata da Francesca Paci su "La Stampa" di ieri.
(2 ottobre 2024) Su Tel Aviv piomba la risposta degli ayatollah e il Medioriente si blinda, l'orizzonte prima della pioggia. Il commento dello storico israeliano Ilan Pappé, critico irriducibile del sionismo a cui è dedicato anche il suo ultimo libro “Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina” (Fazi), è lapidario: «Israele non avrà mai pace né sicurezza finché non metterà fine all'occupazione di milioni di palestinesi». Nessun cedimento alla memoria del 7 ottobre, all'alba del primo anniversario.
Pappé scuote la testa canuta: «La pulizia etnica iniziata nel '48 è la causa, la guerra la risposta». Chiusa lì, occhio per occhio.
L'invasione del Libano, i missili iraniani su Israele. Siamo già oltre il baratro? «Alla fine l'Iran dovrà trattenersi, non può affrontare una guerra regionale. In Israele invece la leadership politica è convinta che il potere militare sia l'unica strada, non considera alcuna soluzione diplomatica e vede il controllo dell'intera Palestina storica come l'unica chance di pacificare un Paese spaccato tra religiosi e laici. Per questo, come in Libano, Israele insisterà con la forza: non so se schiaccerà la terza intifada iniziata il 7 ottobre, ma non rimuoverà il vero ostacolo alla pace che non è Hezbollah né l'Iran bensì l'occupazione di milioni di palestinesi».
Nel libro racconta una società lacerata tra lo Stato d'Israele, che difende il proprio essere democratico, e lo Stato di Giudea, in odor di teocrazia. L'abbiamo vista nelle proteste del 2023 contro Netanyahu che però sta recuperando. Che Paese è oggi Israele?«Un anno dopo il 7 ottobre Israele è quel che era prima, un Paese fratto dove lo Stato di Giudea guadagna terreno. I più laici stanno facendo le valigie e quelli che restano si condannano al silenzio, perché rifiutano la teocrazia ma non hanno un piano per la Palestina. Israele è ormai guidato da una élite messianica che sogna di modellare il nuovo Medioriente con la complicità di un mondo sempre più a destra e in spregio delle Nazioni Unite».
Ilan Pappe
La pulizia etnica della Palestina
Fazi Editore, 2008
«Nel 1948 nacque lo Stato di Israele. Ma nel 1948 ebbe luogo anche la Nakba (catastrofe), ovvero la cacciata di circa 250.000 palestinesi dalla loro terra. La vulgata israeliana ha sempre narrato che in quell'anno, allo scadere del Mandato britannico in Palestina, le Nazioni Unite avevano proposto di dividere la regione in due Stati: il movimento sionista era d'accordo, ma il mondo arabo si oppose; per questo, entrò in guerra con Israele e convinse i palestinesi ad abbandonare i territori - nonostante gli appelli dei leader ebrei a rimanere - pur di facilitare l'ingresso delle truppe arabe. La tragedia dei rifugiati palestinesi, di conseguenza, non sarebbe direttamente imputabile a Israele. Ilan Pappe, ricercatore appartenente alla corrente dei New Historians israeliani, ha studiato a lungo la documentazione (compresi gli archivi militari desecretati nel 1998) esistente su questo punto cruciale della storia del suo paese, giungendo a una visione chiara di quanto era accaduto nel '48 drammaticamente in contrasto con la versione tramandata dalla storiagrafia ufficiale: già negli anni Trenta, la leadership del futuro Stato di Israele (in particolare sotto la direzione del padre del sionismo, David Ben Gurion) aveva ideato e programmato in modo sistematico un piano di pulizia etnica della Palestina...».
venerdì, 10 maggio 2024 ore 18:00
Cessate il fuoco!
Nella striscia di Gaza si sta consumando uno sterminio della popolazione civile che non ha precedenti nella storia recente e che è destinato ad ampliarsi coinvolgendo tutto il vicino Oriente e le maggiori potenze mondiali.
È necessario mobilitarsi per fermare il massacro, dare una prospettiva di pace per la Palestina e il suo popolo e costruire le ragioni di una politica di ampio respiro, in grado di intervenire nei teatri di guerra con gli strumenti del negoziato, fuori dalla spirale della violenza e della corsa agli armamenti.
VENERDÌ 10 MAGGIO, ORE 18.00-20:00
Sala conferenze Fondazione CARITRO, Trento, via Calepina, 1
Intervengono
Bice Parodi, Vicepresidente associazione per i diritti umani Senza Paura
Giuditta Brattini, Cooperante Volontaria Associazione Gazzella
Introduce e modera
Alessia Ansaloni, Cantiere di Pace
Organizzano: ACLI Trentine, Cantiere di Pace, ANPI, Centro Pace, Ecologia, Diritti umani – Rovereto, Giovani delle ACLI
Trento, Sala Conferenze Fondazione Cassa Risparmio, via Calepina
di Federico Zappini *
Sono passati sei mesi dai feroci attacchi condotti da Hamas in alcuni kibbutz israeliani posti a nord della Striscia di Gaza. Le immagini di quelle ore, testimonianza di violenze efferate, ci hanno raggiunto lasciandoci sgomenti.
Un tale carico di violenza non ha impiegato molto ad attivare i suoi effetti nefasti. Nei centottanta giorni successivi, e anche ieri nella giornata in cui anche a Gaza terminava il periodo di Ramadan, davanti ai nostri occhi si è dispiegata la reazione militare dello Stato d’Israele su di un fazzoletto di terra (360 kmq di estensione, venti volte meno della provincia di Trento) nella forma di una sproporzionata azione militare che anche in questo caso ha visto come vittime ampiamente maggioritarie – tra le oltre 30.000 che contiamo fino ad ora – uomini, donne e bambini con nessuna altra “responsabilità” oltre a quella di essere nati e cresciuti in uno spicchio sbagliato del Mondo, tormentato da indicibili sofferenze senza un impegno sufficiente per cambiarne il destino e per intraprendere un percorso credibile di pacificazione e giustizia.
Oggi ci sono tristemente familiari – dopo anni di sguardo colpevolmente rivolto altrove – il posizionamento dei valichi di ingresso a Gaza (Erez a nord e Rafah verso l’Egitto), i nomi delle città che compongono la Striscia (le martoriate Gaza City e Khan Yunis su tutte) e degli ospedali bombardati (Al-Shifa), le storie delle organizzazione che più si sono spese in un contesto così difficile, come nel caso di World Central Kitchen che ha perso recentemente in un raid sette dei suoi operatori sul campo.
di Soheila Javaheri
Quando percepisco delle sbarre invisibili, mi batto. Sento che angoscia e timore stanno entrando sotto la mia pelle e per distinguermi da loro ho bisogno di prendere le misure delle sbarre, devo percepire la loro dimensione, la distanza da me. È così che è nato il diario di una lettera immaginaria a Gaza.
Io e Jane eravamo sedute in The Albion Bar 15, in una via che porta alla piazza delle panchine bianche e delle piante fresche ma finte, davanti alla Ex School of Art and Free Library of Dudley. “Ex” perché abbandonata da tempo, oltre che messa all’asta dal Comune da due anni per essere venduta e sostituita con degli appartamenti. Abbiamo parlato della Palestina e poi di questo spazio dentro il quale sembrava impossibile poter parlare di Palestina. Jane mi ha raccontato che nella chiesa che frequenta, una delle più aperte in zona, aveva sentito alle sue spalle una donna di mezza età che, maledicendo i manifestanti pro Palestina a Londra, brontolava su questi ingrati che brandiscono una bandiera dimenticando la storia. Io prendevo questo e altri pezzi di notizie e non sapevo cosa farne, sembravano le forme e i colori accumulati in una scacchiera per me impossibile da leggere e distinguere, elementi che in loro presenza non mi permettono di vivere in pace.
Un appello intorno al Giorno della memoria
Siamo un gruppo di ebree ed ebrei italiani che, nell’avvicinarsi del Giorno della Memoria e nel vivere il tempo della guerra in Medio Oriente, si sono riuniti e hanno condiviso diversi sentimenti: angoscia, disagio, disperazione, senso d’isolamento.
Il 7 ottobre, non solo gli israeliani ma anche noi che viviamo qui siamo stati scioccati dall’attacco terroristico di Hamas e abbiamo provato dolore, rabbia e sconcerto.
E la risposta del governo israeliano ci ha sconvolti: Netanyahu, pur di restare al potere, ha iniziato un’azione militare che ha già ucciso oltre 25.000 palestinesi e molti soldati israeliani, mentre a tutt’oggi non ha un piano per uscire dalla guerra e la sorte della maggior parte degli ostaggi è ancora incerta.
Purtroppo sembra che una parte della popolazione israeliana e molti ebrei della diaspora non riescano a cogliere la drammaticità del presente e le sue conseguenze per il futuro.
I massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra: sono inaccettabili e ci fanno inorridire. Si può ragionare per ore sul significato della parola “genocidio”, ma non sembra che questo dibattito serva a interrompere il massacro in corso e la sofferenza di tutte le vittime, compresi gli ostaggi e le loro famiglie.
( 5 febbraio 2024) A poche ore dalla decisione della #CorteInternazionalediGiustizia, che il 26 gennaio ha messo sotto inchiesta Israele per genocidio, gli Stati Uniti - e poi Regno Unito, Canada, Australia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Finlandia - hanno sospeso i fondi per l’#Unrwa, l’agenzia Onu per l rifugiat palestinesi.
Non è una coincidenza. È una vergognosa ritorsione, un’ulteriore punizione collettiva inflitta alla già martoriata popolazione palestinese, che ora più che mai ha bisogno urgente di cibo, medicine, alloggi e altri aiuti - e solo l’Unrwa è in grado di assicurarli, per la capillarità della sua presenza e per il suo mandato.
La decisione di sospendere i finanziamenti all’Unrwa arriva dopo l’accusa che Israele ha rivolto ai 12 dipendenti dell'agenzia, che sarebbero stati coinvolti negli attacchi di Hamas del 7 ottobre.
Indipendentemente dalla veridicità di questa affermazione, 12 individui - peraltro già sospesi dal lavoro - su un totale di 30mila dipendenti (lo 0,04% del totale) dell'agenzia non costituiscono certo una valida ragione per sospendere i fondi all’agenzia. Volendo applicare la stessa logica, sarebbe come decidere di sciogliere un comune italiano, chiudendo anche trasporti pubblici e scuole, a seguito dell'arresto di qualche dipendente comunale.
di Raniero La Valle
Credo che dobbiamo alzare il livello di coscienza riguardo alla tragedia in atto a Gaza. La guerra di Gaza è di fatto una radiografia della situazione mondiale, è una confessione sullo stato del mondo.
L'evento di Gaza non è una guerra, ma è un genocidio, e come tale rappresenta il punto di caduta della nuova concezione della guerra quale è stata adottata a partire dalle scelte strategiche sulla sicurezza compiute degli Stati Uniti dopo gli attentati alle Torri gemelle dell'undici settembre 2001. In quel frangente veniva affermato che non era più sufficiente la dissuasione dall'aggressione affidata alla potenza militare pronta all'uso e fornita di armi di distruzione di massa: questo non bastava più, una tale strategia veniva considerata ormai insufficiente a garantire la sicurezza. Veniva adottata invece la dottrina della prevenzione basata sul fatto che “la migliore difesa e l'offesa”, che “non si poteva permettere agli avversari di sparare per primi”, che occorreva un’azione “anticipatoria persino nell'incertezza del luogo e dell'ora dell'attacco da parte dei nemici”. Nei documenti del 12 ottobre 2022 firmati da Biden e dal capo del Pentagono, Loyd Austin, la difesa veniva fatta consistere nella “competizione strategica” per il dominio, dove l’ultimo nemico da abbattere, entro il decennio, era considerata la Cina. Ed è sulla base di questa concezione della “difesa” che ora il segretario di Stato americano Blinken offre una completa copertura ad Israele per la sua guerra ad oltranza contro Hamas.
Eredi di una grande civiltà che guardava al futuro, gli arabi possono riappropriarsi del proprio destino. A patto di liberarsi della cultura del vittimismo. E di fare i conti con quella modernità che molti continuaano a vivere come una minaccia.
Samir Kassir (Beirut, 1960-2005) ha animato per due decenni la vita intellettuale e politica libanese. Nel 2005 ha ispirato la “primavera di Beirut”, il movimento di massa che ha condotto alla liberazione del Libano dalle truppe di occuupzione siriane. Un impegno che ha pagato con la vita, venendo assassinato il 2 giugno 2005 in un attentato. Questo è il suo ultimo libro, il suo testamento politico.
sabato, 20 gennaio 2024 ore 09:30
Sabato 20 gennaio 2024, alle ore 9.30, nella sala Macondo dell'ARCI di Trento (percorso totalmente sbarrierato), adiacente alla sede ANPI in Viale degli Olmi 26
Assembea degli iscritti all'ANPI del Trentino
sui seguenti temi:
PALESTINA - UCRAINA - PRESENZA DELL'ANPI ALL'INTERNO DEL MOVIMENTO PER LA PACE
Ne parleremo con Michele Nardelli, promotore del Cantiere di Pace e dell'appello "USCIAMO DALLA GABBIA" sul conflitto israelo – palestinese, che riportiamo in allegato.
Trento, Sala Macondo, Viale degli Olmi 26
Staffetta trentina
Nei venerdì e lunedì dal 12 al 26 gennaio si tiene la staffetta “Digiuno per la Pace e il Cessate il fuoco!” come forma di condanna a ogni forma di violenza e vicinanza alle vittime delle guerre. La staffetta si rivolge a tutte le persone che hanno a cuore la Pace e vuole essere uno strumento di connessione e attivazione nel segno della mediazione, del confronto e del negoziato. La staffetta è promossa dal Cantiere di Pace del Trentino e dal Centro Pace, ecologia e diritti di Rovereto in rete con tante associazioni del Trentino.
Per aderire iscriversi al modulo https://bit.ly/41HOtK6 o scrivere all’email staffettadigiunotrentino@gmail.com per fissare il tuo giorno. Dall’11 gennaio guarda il calendario pubblico sul sito www.rovepace.org
Nel mese di novembre e dicembre la staffetta ha coinvolto un centinaio di persone con una modalità nonviolenta a partire dall’appello “Fermiamo la violenza, prendiamo per mano la pace” che chiede di fermare la violenza, la sete di vendetta, l’odio e la sfiducia per bloccare il conflitto che è già andato oltre Gaza: in Cisgiordania si muore come mai è successo prima, il confine sud di Israele con il Libano sta sperimentando una guerra a cosiddetta “bassa intensità”. Occorre riprendere per mano la Pace ricostruendo dal basso un movimento collettivo che unisca tutte le donne e gli uomini schierati contro la guerra, contro la violenza, che rifiutano la logica della negazione dei diritti dell’altro e dell’occupazione, che aspirano ad una società libera e democratica.
Nella Striscia di Gaza, oltre due milioni di persone lottano per sopravvivere a una catastrofe umanitaria con un numero di vittime civili senza precedenti. La guerra impregna anche l’aria e l’acqua della Palestina ed è esplosa con una violenza senza precedenti.
Gli attacchi diretti ai civili e gli attacchi indiscriminati contro obiettivi civili sono assolutamente vietati dal diritto internazionale umanitario e possono costituire crimini di guerra. In considerazione di cio, la societa civile e le organizzazioni per i diritti umani ribadiscono la necessita di un cessate il fuoco immediato e prolungato, come unico strumento per garantire che tutti i civili siano protetti, che gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi siano liberati e che la popolazione di Gaza possa ricevere gli aiuti umanitari di cui ha disperato bisogno.
Ribadiamo l’urgenza del cessate il fuoco, dei canali umanitari per soccorrere la popolazione, dell’azione diplomatica internazionale per l’immediato rilascio degli ostaggi... ma serve anche una visione politica su cosa avverrà dopo questa fase di guerra, perché le scelte di adesso condizioneranno il futuro.
Ora più che mai abbiamo il dovere di riflettere, comprendere e agire, senza voltare la testa dall’altra parte. Come diceva Vittorio Arrigoni, che proprio fra le strade di Gaza ha trovato la morte, “restiamo umani”.
«Noi palestinesi e amici della Palestina porgiamo la mano a tutti coloro che hanno detto no alla guerra e che hanno condannato il terrorismo in tutte le sue forme. In modo particolare la porgiamo ai cittadini israeliani (purtroppo ancora una minoranza) e a tutti gli ebrei nel mondo che non hanno concesso il loro nome ai criminali di guerra.
La carneficina in corso contro il popolo palestinese, la pulizia etnica antica e recente, la colonizzazione e le spedizioni terroristiche dei coloni contro la popolazione autoctona, come lo sradicamento degli alberi, la distruzione delle case e la confisca della terra, oltre ad abbattere ogni ponte di dialogo, ledono gravemente l'immagine e la storia di tutta una comunità e rilanciano di nuovo l’antisemitismo, che offende ogni popolazione di origine semita, quella ebraica come quella palestinese. E, nei fatti, rendono Israele il luogo meno sicuro per la popolazione ebraica e per tutti i suoi cittadini.
La battaglia per la libertà del popolo palestinese è la stessa battaglia per la libertà della popolazione ebraica e della nostra libertà.
Lo Stato può diventare una gabbia. Il nazionalismo è stato il cancro della modernità. La fratellanza è un vasto spazio di umanità libera.
Per questo non vogliamo rinunciare al sogno di un unico paese fondato sullo stato di diritto e sull'uguaglianza delle persone a prescindere dalla loro appartenenza e dal loro credo religioso. Siamo ancora in tempo. Iniziamo con il cessate il fuoco e poi cominciamo a guardare alla Mezzaluna fertile del Mediterraneo con altri occhi».
Ali Rashid, Aida Tuma (deputata del Knesset israeliano), Issam Makhluf (già deputato del Knesset, presidente del fronte democratico per la pace e eguaglianza in Israele), Mohammad Bakri (regista arabo israeliano), Renato Accorinti, Mario Agostinelli, Marta Anderle, Sergio Bellucci, Gianna Benucci, Gianfranco Bettin, Mario Boccia, Loris Campetti, padre Nandino Capovilla, Sergio Caserta, Beatrice Cioni, padre Fabio Corazzina, Fiammetta Cucurnia, Massimo De Marchi, Nicoletta Dentico, Tommaso Di Francesco, Stefano Disegni, Patrizio Esposito, Silvano Falocco, Rania Hammad, Adel Jabbar, Dina Ishneiwer, Raniero La Valle, Mimmo Lucano, Fiorella Mannoia, Serena Marcenò, Rino Messina, Emilio Molinari, Erica Mondini, Michele Nardelli, Mario Natangelo, Silvia Nejrotti, Azra Nuhefendic, Moni Ovadia, Maurizio Pallante, Nino Pascale, Dijana Pavlovic, Tonino Perna, Daniele Pulcini, Gianni Rocco, Michele Santoro, Stefano Semenzato, Vauro Senesi, Sergio Sinigaglia, Gianni Tamino.
Cari amici,
con immenso dolore vi annunciamo che nessun bambino nascerà quest’anno a Betlemme per Natale. Intanto nessuna famiglia non censita o araba può spostarsi da Nazaret a Betlemme, perché tra questa città e Gerusalemme c’è un muro alto otto metri che non si può varcare senza un’attesa di ore attraversando check point presidiati da coloni agguerriti e dall’esercito. A Betlemme poi, in mancanza di albergo, non si può andare a partorire in una grotta, perché c’è il rischio che essa sia allagata da pompe capaci di trasportare migliaia di metri cubi d’acqua dal mare, come si minaccia di fare nei tunnel di Gaza per uccidere quanti vi sono riparati, liberi o ostaggi che siano. È anche un tempo non adatto per partorire, perché non si sa che futuro potrebbero avere i bambini messi alla luce, già ai primi vagiti, perché potrebbero d’improvviso spegnersi le incubatrici o dopo, perché potrebbero finire in mezzo a una strage degli innocenti, come succede a Gaza dove secondo l’organizzazione internazionale “Save the children” sono stati tolti alla vita già più di 3.257 bambini, un numero superiore a quello dei bambini uccisi in conflitti armati a livello globale in più di 20 Paesi nel corso di un intero anno; e questo rischio correrebbero anche in Israele, dove ne sono periti 29, e in Cisgiordania dove di bambini ne sono morti 33. Né si può cercare di portarli in salvo fuggendo in Egitto, perché non si può passare al valico di Rafah e l’Egitto non li vuole. E anche per gli altri bambini non si sa che futuro avranno se gli adulti maschi si uccidono a vicenda in guerre insensate, che è il primo e vero crimine del patriarcato.
... Occorre fermarsi. Serve un immediato cessate il fuoco indispensabile per la vita di milioni di esseri umani e per evitare l'allargamento della guerra a tutta la regione, Mediterraneo compreso. Ed iniziare a riflettere su come trovare una soluzione di pace duratura, individuando strade diverse da quelle fin qui percorse.
Ma per far questo occorre un cambiamento radicale nelle politiche di tutti gli attori, nonché un cambio delle classi dirigenti.
Fin quando saranno le armi e la violenza a dettare l'agenda politica del Vicino Oriente (e dei potenti della Terra), la pace non potrà essere che un lontano miraggio.
di Ali Rashid
(trentamila morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.
Vivo in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.
Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.
Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.