«Tempi interessanti» (117)
Nell'assistere ai drammatici avvenimenti e nell'ascoltare le informazioni e i commenti sull'evolversi della guerra infinita che devasta ed annichilisce l'Afghanistan, provo una forte ma anche soffocata indignazione. Forte perché nel tempo ho imparato a conoscere e ad amare questo paese; soffocata perché nel mettere al primo posto la necessità di salvare donne e uomini che si sono spesi contro i signori della guerra, m'interrogo se il dire dell'arroganza dei potenti e dell'ipocrisia di chi più o meno consapevolmente ha assecondato quel disegno, non possa mettere in pericolo la vita di qualcuno. Credo altresì che l'azione umanitaria non vada disgiunta dalla verità, a partire dal fatto che questa tragedia infinita qualcuno l'avrà pur causata, qualcun altro l'ha assecondata per convinzione o fedeltà, altri ancora hanno accettato di agire sotto l'ombrello militare degli occupanti senza esprimere una qualche forma di autonomia politica...
di Ugo Morelli
Clima
“Come scienziata del clima, voglio che lo sappiate: io non ho speranza”, così si è espressa Kate Marvel, una delle più importanti studiose del clima a proposito del sesto rapporto sul cambiamento climatico appena pubblicato dall’IPCC, il Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/). La rilevanza dei dati per le aree locali è più evidente che mai. Non si tratta solo di innalzamento della temperatura. Il cambiamento climatico sta portando molteplici cambiamenti diversi in molte regioni – che aumenteranno con l’ulteriore riscaldamento. Questi includono modifiche all’umidità e siccità, venti, neve e ghiaccio, zone costiere e oceani. Il cambiamento climatico sta intensificando il ciclo dell’acqua. Questo porta precipitazioni più intense e inondazioni associate, nonché siccità più intensa in molte regioni. Negli ultimi trent’anni, sostiene il rapporto, i governi centrali e locali sono stati messi a conoscenza dei cambiamenti e della gravissima crisi in atto, ma non hanno fatto quasi nulla per intervenire in modo effettivo.
In base al rapporto, il cambiamento climatico è molto diffuso, rapido e in corso di intensificazione. Secondo gli scienziati che stanno osservando i cambiamenti del clima terrestre in ogni regione e in tutto il sistema climatico, molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti da migliaia, se non da centinaia di migliaia di anni, e alcuni dei cambiamenti già messi in moto, come il continuo innalzamento del livello del mare, sono irreversibili per centinaia di migliaia di anni. Tuttavia, forti e durature riduzioni delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas serra limiterebbero il cambiamento climatico. Mentre i benefici per la qualità dell’aria arriverebbero rapidamente, e potrebbero volerci 20-30 anni per vedere stabilizzare le temperature globali, secondo il rapporto approvato venerdì da 195 membri rappresentanti dei governi coinvolti nell’IPCC. Per le aree alpine rilevante è anche che un ulteriore riscaldamento amplificherà lo scongelamento del permafrost e la perdita del manto nevoso stagionale, con scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali e perdita del ghiaccio marino artico estivo.
Per la prima volta, il sesto rapporto di valutazione fornisce una valutazione regionale più dettagliata di cambiamento climatico, compresa un’attenzione alle informazioni utili che possono informare la valutazione del rischio, l’adattamento, e altri processi decisionali. Dal rapporto emerge un nuovo quadro che può aiutare a tradurre i cambiamenti fisici nel clima nelle conseguenze per gli ecosistemi locali. Sarebbe importante vedere finalmente emergere scelte precise e profonde per organizzare la speranza.
di Michele Nardelli
Secondo i calcoli del Global Footprint Network, nel 2021 questo nostro pianeta ha raggiunto l'overshoot day (il giorno del superamento) il 29 luglio. Questo significa che in questa data l'umanità ha consumato quel che gli ecosistemi terrestri sono in grado di produrre nel corso di un anno. Significa altresì che tutto quel che abbiamo e stiamo consumando da oggi fino al 31 dicembre viene sottratto alle generazioni a venire, posto che intendiamo consegnare il pianeta così come lo abbiamo trovato.
Global Footprint, un network di esperti provenienti dai vari continenti, si è dato uno strumento di rilevazione dell'insostenibilità che ha chiamato “Earth Overshoot Day”, il momento dell’anno in cui iniziamo a vivere oltre le nostre possibilità. L’Earth Overshoot Day è dunque una sorta di unità di misura dell'impronta ecologica che serve per comprendere il grado di (in)sostenibilità del pianeta, dei paesi e dei territori.
Sono ormai cinquanta gli anni in cui l'impronta ecologica è insostenibile. I dati che emergono da questa fotografia del pianeta scattata di anno in anno sono impressionanti. Se fino al 1970 consumavamo grosso modo le risorse eticamente disponibili, è a partire dall'anno successivo che andiamo in rosso.
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (116)
La crisi del M5S è irreversibile? Staremo a vedere, certo è che ergersi a giudicare piuttosto che analizzare non ci aiuta. Si può giudicare il comportamento elettorale di un terzo dell’elettorato? Comprendere dovremmo, per cercare risposte. Non prendere atto – quasi con soddisfazione – che quel movimento aveva effettivamente i piedi di argilla. Perché oltre tutto sbaglieremmo nel pensare di poterne beneficiare...
... Anziché celebrare l'ennesimo funerale di un movimento che voleva essere di cambiamento, quello che resta delle intelligenze di questo paese dovrebbe interrogarsi sui bisogni sociali inespressi, inascoltati, privi di corrispondenze organizzate sul piano del servizio e della rappresentanza che rischiano di alimentare la dissoluzione sociale...
Una riflessione di Michele Nardelli e Walter Nicoletti proposta per il blog di Sequs (Sostenibilità - Equità - Solidarietà)
di Federico Zappini *
(7 luglio 2021) Dal marciapiede al cielo. E’ questo lo slogan scelto da Giovanni Caudo per presentarsi alle primarie del centro-sinistra a Roma. Lo sa bene, da presidente del terzo municipio della Capitale (quasi 100 kmq di estensione e oltre 200.000 abitanti), che va cercato con ostinazione il punto di equilibrio tra pragmatismo amministrativo e visione politica, tra attenzione per la prossimità e comprensione del contesto globale.
Certo serve prendersi il tempo di indugiare sulle cose, avere piena consapevolezza della fluidità e complessità del “grande teatro del mondo” e della necessità – per usare le parole del titolo della rivista Il Mulino nel settantesimo anniversario della sua fondazione – di lavorare per “guarire le nostre democrazie”, colpite da una sindemia che è prodotta dall’intreccio di crisi sanitaria, crisi economiche e sociali (al plurale), crisi culturale e di senso comune.
Guasto è il mondo. Lo scriveva anni fa Tony Judt riferendosi alle fragilità dello scenario geopolitico scaturito dalla caduta del Muro di Berlino e dalla cosiddetta “fine della storia”. La storia – è fatto pienamente emerso di fronte ai nostri occhi – non si è conclusa ma si è ulteriormente ingarbugliata, fuoriuscendo dai binari apparentemente senza alternative del capitalismo occidentale e dell’ottimismo progressista.
«Tempi interessanti» (115)
... Resilienza viene dal latino resilire ovvero rimbalzare, la capacità di un materiale di assorbire un urto. Nell'accezione assunta nel gergo internazionale significa adattamento, la capacità di un individuo di superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Ora, la scelta e l'uso delle parole non è mai casuale, né tanto meno neutrale. Adattamento significa riconoscere l'ineluttabilità di una condizione considerata oggettiva, rispetto alla quale l'umano agire può ben poco, che si tratti dei processi di esclusione prodotti dal modello dominante o degli effetti della crisi climatica/ambientale non fa differenza. Imparare ad essere resilienti significa allora adeguarsi, abdicare all'azione di contrasto, rinunciare al cambiamento. Credo sia proprio questo il nodo che il concetto di resilienza ci pone, non nuovo per la verità, ma che nell'accelerazione dei processi che stiamo conoscendo assume tutta la propria valenza mistificatoria di anestetico culturale e sociale...
«Tempi interessanti» (114)
In queste ore mi chiedo come sia stato e sia possibile il capovolgimento della verità, tanto da far diventare aggressori gli aggrediti. Potremmo darci le solite risposte più o meno corrispondenti ai nostri schemi interpretativi, scomodando il ruolo delle grandi potenze piuttosto che l'azione degli apparati del consenso o dell'influenza delle lobbies economico-finanziarie. Che pure ci sono e non sono di certo estranee in quella che Nelson Mandela definiva la più grande questione morale del nostro tempo. Al tempo stesso credo che sulla tragedia che si consuma dal 1948 nella Mezzaluna fertile del Mediterraneo si possa misurare oltre ogni immaginazione la falsa coscienza dell'Occidente. O forse pensiamo che quel che sta avvenendo in queste ore nel Vicino Oriente sia dovuto all'odio primordiale fra arabi ed ebrei? No, non c'è nulla di più falso di questa contrapposizione di comodo.
Perché arabi ed ebrei, di comune origine semita, sono state nella storia popolazioni culturalmente affini. Protagonisti, insieme, delle antiche civiltà orientali, alle quali dobbiamo le prime forme di urbanità e di architettura civile, la nascita delle religioni monoteiste, le magnificenze e i saperi dell'età dell'oro che creò i presupposti – grazie all'espansione araba nel Mediterraneo e al grande movimento delle traduzioni1 – dello stesso rinascimento europeo. Semmai lungo questa storia comune arabi ed ebrei sono state vittime degli stessi oppressori che hanno esercitato nei loro confronti logiche di dominio, crociate e guerre di religione, colonialismo e suprematismo razziale. ...
«Tempi interessanti» (114)
In queste ore mi chiedo come sia stato e sia possibile il capovolgimento della verità, tanto da far diventare aggressori gli aggrediti. Potremmo darci le solite risposte più o meno corrispondenti ai nostri schemi interpretativi, scomodando il ruolo delle grandi potenze piuttosto che l'azione degli apparati del consenso o dell'influenza delle lobbies economico-finanziarie. Che pure ci sono e non sono di certo estranee in quella che Nelson Mandela definiva la più grande questione morale del nostro tempo. Al tempo stesso credo che sulla tragedia che si consuma dal 1948 nella Mezzaluna fertile del Mediterraneo si possa misurare oltre ogni immaginazione la falsa coscienza dell'Occidente. O forse pensiamo che quel che si consuma in queste ore nel Vicino Oriente sia dovuto all'odio primordiale fra arabi ed ebrei? No, non c'è nulla di più falso di questa contrapposizione di comodo.
Perché arabi ed ebrei, di comune origine semita, sono state nella storia popolazioni culturalmente affini. Protagonisti, insieme, delle antiche civiltà orientali, alle quali dobbiamo le prime forme di urbanità e di architettura civile, la nascita delle religioni monoteiste, le magnificenze e i saperi dell'età dell'oro che creò i presupposti – grazie all'espansione araba nel Mediterraneo e al grande movimento delle traduzioni1 – dello stesso rinascimento europeo. Semmai lungo questa storia comune arabi ed ebrei sono state vittime degli stessi oppressori che hanno esercitato nei loro confronti logiche di dominio, crociate e guerre di religione, colonialismo e suprematismo razziale. ...
di Tonino Perna*
Ancora una volta, per l’ennesima volta, si ritorna a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina, dopo l’approvazione di un progetto, uscito dal cilindro della commissione istituita ad hoc dal governo Conte-bis. Si tratta di un’ossessione, di un accanimento terapeutico, nei confronti di un territorio fragile che nel corso del tempo, dalla Magna Grecia ad oggi, ha dovuto subire più di venti terremoti devastanti, fenomeni di bradisismo (così si è inabissato a metà del XVI secolo il porto naturale di Reggio), smottamenti e frane delle colline di sabbia che si affacciano su uno degli spettacoli naturali più affascinanti del pianeta. Dalla Lega a Forza Italia, da Fratelli d’Italia al Pd (soprattutto i deputati calabresi e siciliani) tutti uniti a chiedere che si proceda con il progetto esecutivo e poi si appalti questa “grande” opera.
Sulla stampa locale si leggono dichiarazioni fantasmagoriche: «la più grande attrazione del mondo»…«milioni di turisti …», «180mila nuovi posti di lavoro…». Persino il presidente della Svimez, stimato e rispettabile economista mainstream, si è innamorato di questa idea, senza tenere conto di studi indipendenti sulla fattibilità. Basti solo pensare al distacco di un centimetro ogni cinque anni delle due sponde(rilevato dai satelliti), oltre alla grande faglia tettonica che attraversa lo Stretto e potrebbe risvegliarsi (gli scongiuri non bastano! ). Ma, quello che più preoccupa, è l’aver messo da parte, ignorato, cancellato, qualunque discorso sull’impatto ambientale, mentre tutti straparlano di “transizione ecologica”.
«Tempi interessanti» (113)
Un tragico paradosso. E' quel che accade in queste ore lungo il limes spazio temporale che attraversa l'Europa e il Mediterraneo. O, se si vuole, attorno alla faglia dell'indifferenza e dell'ipocrisia. Perché mentre nel Parlamento Italiano si discute sul Next Generation EU e più precisamente sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, centinaia di persone affondano le loro speranze di futuro nel Mediterraneo. ...
Ma che cosa c'entra questa ennesima tragedia del mare con la Next Generation EU? E' forse l'Europa fortezza quella che immaginiamo per le generazioni a venire? Il diritto al futuro è solo quello di chi vive nella parte settentrionale del Mediterraneo? Come non capire che nell'interdipendenza i crimini che si consumano dall'altra parte del mare (e dei quali siamo spesso responsabili) ci ricadranno addosso, come del resto già avviene anche se ancora in minima parte? E, infine, come si può essere così miopi da non comprendere che le crisi di cui la sindemia è l'esito non si affrontano, e tanto meno risolvono, dentro i confini dei vecchi stati nazionali? ...
Tra i danni del coronavirus in Alto Adige – Sud Tirolo, anche quello al dialogo fra gruppi linguistici. Le tensioni sui tamponi nasali a scuola ne sono un segnale. Che però non sembra ascoltato.
di Mauro Cereghini
(4 maggio 2021) La pandemia da covid-19 ha fatto molti danni. I morti, anzitutto. E poi le perdite economiche, lo stravolgimento della vita sociale, l'isolamento in casa... Nella nostra provincia, rischia di aggiungersi un danno in più: quello alla comprensione e al dialogo tra gruppi linguistici. Almeno in quella parte di vita pubblica che si è scelto di tenere rigidamente separata per gruppi, e cioè la scuola. Un dirigente giorni fa riconosceva sconfortato che un anno di covid-19 ha portato indietro le lancette di decenni. Ultimo è il caso dei test nasali autosomministrati– i famosi tamponcini – ma prima ne sono venuti altri come la scuola d'emergenza o l'obbligo delle mascherine ffp2. Tutti casi in cui l'autonomia provinciale ha introdotto norme diverse da quelle nazionali, in sé magari utili, ma senza il confronto e la mediazione culturale con i destinatari del mondo italiano.
«Tempi interessanti» (111)
C'è una tragedia che da mesi si consuma al confine con l'Unione Europea. Almeno duemila persone vagano nella neve, fra boschi e ruderi di vecchi combinat industriali nei dintorni delle città di Bihac e di Velika Kladusa, in Bosnia Erzegovina, alla ricerca di un varco per entrare in Croazia e da lì andarsene il prima possibile verso una nuova speranza di vita. In realtà si tratta di un frammento di quell'esodo che da anni viene chiamato “rotta balcanica”, a sua volta una delle tante rotte che percorrono i migranti nel cercare scampo da guerre, crisi climatiche, povertà estreme, regimi totalitari o semplicemente rispondendo all'istinto umano di cercare di migliorare la propria esistenza...
... In situazioni normali la società civile avrebbe messo in moto carovane, come già avvenne in questi stessi luoghi negli anni '90. Ma in queste ore l'unico soggetto che può sbloccare questa situazione è quel che resta di un'Europa politica che ha l'obbligo morale prima ancora che politico di costringere la Croazia ad una moratoria per riaprire le frontiere e i paesi dell'Unione a porre fine alla pratica insopportabile dei respingimenti che con ipocrisia chiamano “riammissioni”...
di Federico Zappini *
Agitu è morta.
Tutto intorno la montagna buia d’inverno, ancora più silenziosa sotto la spessa coltre di neve fresca e dentro un tempo che al distanziamento ci ha drammaticamente abituati. Ci sentiamo – inutile negarlo – disorientati come nel bosco fitto nel bel mezzo di una bufera. Persa un’esperta e attenta compagna di viaggio, una guida per molti versi, le tracce del sentiero per attraversare la selva si fanno meno chiare. Il nostro passo è incerto, il pensiero confuso, la vista sfocata.
Agitu è stata uccisa.
Spaesati ci troviamo a fare i conti con un atto brutale che interrompe il flusso denso e multiforme di un’esistenza, quella di Agitu, posta nel mezzo di una costellazione composita di centinaia di uomini e donne, attivate e partecipi dentro un campo energetico che in lei aveva il fulcro più vitale e contagioso.
Spazi interrotti.
Si è incrinato uno spazio di possibilità che aveva nell’ibridazione – culturale e imprenditoriale, di genere e di identità – il suo valore aggiunto di innovatività, la sua anima concretamente utopica, la sua quotidiana e faticosa – e perché no, talvolta anche incoerente – prassi operativa e trasformativa. Un margine abitato e reso abitabile, per dirla con Bell Hooks, che non è confine che separa ma soglia verso ciò che potrebbe essere. Resistenza e desiderio, che devono confrontarsi con la natura imperfetta e mai pacificata della natura umana. Essere molteplice e non statico, in costante trasformazione. Un ridefinirsi che gode degli incroci tra diversità e non nega la dimensione conflittuale.
di Federico Zappini *
(15 novembre 2020) Vi sarà capitato di dover attraversare una stanza al buio. Sapete quindi che prima di abituarvi all’assenza di luce il rischio di andare a sbattere è elevato. Da qualche mese a questa parte – esclusa l’illusoria parentesi estiva, in cui la luce calda del sole ci ha fatalmente abbagliati – ci troviamo a vivere una situazione di incertezza simile, ma riferita all’intera nostra esistenza.
E’ un’entità invisibile (il virus, e con lui la sua circolazione) a imporci l’oscurità. Il nostro sguardo verso il futuro è sfocato, la capacità predittiva insufficiente, l’analisi degli scenari parziale. Siamo ciechi e l’impegno che mettiamo in campo (pieno di limiti e contraddizioni, come conferma ogni giorni la pessima relazione tra i diversi livelli istituzionali) si concentra esclusivamente sul successivo passo, nel tentativo di non inciampare. Per non farsi troppo male, pur facendosene già abbastanza.
E’ in questo contesto che si protrae – indefinito – lo stato di eccezione a cui fa riferimento Simone Casalini in un suo recente editoriale. Il sistema sanitario boccheggia, la tenuta sociale vacilla, l’azione politica latita. Una mancanza, quest’ultima, che pesa in modo particolare di fronte al riproporsi della complessità del reale (che avevamo tentato di rimuovere) e della non linearità dei processi globali (randomici e scomposti come è l’andamento del contagio).
Nell’eccezionalità del momento possono dispiegarsi le dinamiche del controllo e del conformismo, o – al contrario – trovare terreno fertile le condizioni per il cambiamento, partendo dalla consapevolezza diffusa dell’urgenza di immaginare un modo nuovo di stare nel mondo, con o senza Covid19. A poco servono le mappe a colori delle regioni italiane se a diffondersi come osserva Ilvo Diamanti è un’omogenea “zona grigia” privata della socialità e del confronto, impaurita e stanca, solitaria e disarmata.
«Tempi interessanti» (110)
... Una divisione profonda che, in buona sostanza, è stata confermata anche nelle elezioni del 2020, plasticamente raffigurata dagli Stati in bilico fra il voto delle città e quello dell'America profonda, separate da un solco che si è andato allargando e di cui si ha percezione nelle immagini che hanno accompagnato la campagna elettorale ma ancora di più nelle manifestazioni inquietanti che ne sono seguite, con schiere di guerrieri armati fino ai denti che non si rassegnano alla sconfitta di Trump ...
Ho la sensazione che Joe Biden l'abbia ben compreso, se è vero che le prime parole spese come neo eletto Presidente degli Stati Uniti sono andate proprio verso la necessità di una urgente quanto improbabile ricomposizione. Che non può ridursi ad un messaggio di buona volontà, ma un lungo lavoro di riconciliazione ed una nuova narrazione capace di indagare il profondo di questo paese e del suo rapporto con il mondo...