Editoriali

Lo storytelling del rancore prodotto dalla crisi politica
Solitudini

 

di Aldo Bonomi *

(4 agosto 2018) Il salto d’epoca, il salto di paradigma, l’epoca dei flussi, muta profondamente le culture, le società e le economie dei luoghi e scompagina la composizione sociale. Lasciando sul territorio tanti che subiscono il cambiamento in un’anomia che altro non è che l’incapacità di tradurre la modernità in valori socialmente condivisi per ri-costruire comunità.

Nella composizione sociale prende corpo una moltitudine che altro non è che la dimensione di massa senza più il sistema ordinatorio delle classi, nella crisi del welfare senza ascensore sociale o conflitto per cambiare, nell’epoca dell’individualismo compiuto e dell’egologia dove «uno vale uno».

Un sociologo ben più autorevole di me l’ha definita la «società liquida». Direi oggi liquidità al mercurio, simbolo chimico del rancore sfuggente e molecolare, visti i tempi che attraversiamo. A questa dimensione pre-politica occorre guardare per capire la crisi della politica, delle rappresentanze e della forma partito nate nel secolo breve. Forme sostituite nell’agone del consenso più che dalla visione della società che viene, dall’Adattivismo. Ci si adatta acriticamente al rancore spalmandosi come benzina propedeutica del consenso, troppo spesso, a proposito di Salvini, con il cerino in mano per mobilitarlo contro l’altro da sé o agendo sulle paure di diventare ultimi, senza porre la questione del come risalire nella scala delle disuguaglianze.

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Salvini e il voto trentino
Stelle alpine appassite

Riprendo l'editoriale di oggi del Corriere del Trentino a firma Simone Casalini sul voto d'autunno.

di Simone Casalini

(24 giugno 2018) C’è poco da discutere, è il tempo di Salvini. La sua febbre da consenso sta salendo vorticosamente, tracimando nell’elettorato di centrodestra e in quello degli altri partiti con il Movimento 5 stelle a rischio dissanguamento. Persino qualche astenuto cronico si è lasciato ammaliare, nelle intenzioni di voto, dal leader della Lega che ha trasformato un partito regionale in movimento nazionale. Salvini è come un virus senza contrasto in una fase storica che, però, ama divorare le sue guide così come Crono mangiava i figli per timore della loro mostruosità. La parabola di Matteo Rensi (dal 40% delle Europee al 18,7% delle politiche) è durata quattro anni, le sue boutade non sembrano interessare più nessuno.

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Dio, Patria, Famiglia? Un oltre, senza patrocinio...
Un'immagine del Dolomiti Pride

«Tempi interessanti» (82)

Non so se fossero diecimila le persone che hanno partecipato al Dolomiti Pride, ma erano davvero tante, gioiose, colorate... giovanissime ma anche con i capelli bianchi. Una società in trasformazione oltre gli stereotipi di un tempo che non c'è più... Certamente con una idea di famiglia che ha ben poco a che vedere con la patria delle bandiere tricolori che ancora segnano le strade di Trento. O con quella di un dio oppressivo ad immagine e somiglianza di religioni ostili al cambiamento nel modo di vivere delle persone.

Che cos'è la patria nel tempo dell'interdipendenza e della globalizzazione? Che cosa sono le religioni che impugnano i loro simboli come armi di divisione, che non s'interrogano sulla sostenibilità del pianeta e sul dio denaro? E che cos'è la famiglia che fa finta di non vedere la violenza quotidiana e il femminicidio che in essa si consuma? ...

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Rivolta carsica e popolare
Il melograno, simbolo della cooperazione trentina

di Simone Casalini *

Ci sono differenti fattori di lacerazione che si sono allineati negli ultimi anni, capovolgendo il sistema cooperativo. Una rivoluzione carsica, nello stile trentino, dove l’insofferenza si propaga senza acuti, destrutturando però il modello di potere e di consenso. Il punto di caduta di una continuità da disattendere si è materializzato ieri, all’ora di pranzo, quando Marina Mattarei – la Giovanna d’Arco (senza rogo) del movimento cooperativo che da qualche anno ne enfatizza la crisi valoriale – è stata eletta presidente rovesciando un presagio che nel ballottaggio l’avrebbe voluta perdente contro l’asse Odorizzi-Villotti.

L’affermazione di Mattarei ha un significato simbolico potente – prima donna al vertice di una federazione orientata al maschile – e un effetto politico dirompente sugli equilibri del più importante colosso economico del Trentino. Può apparire azzardato, ma per certi versi l’elezione di via Segantini completa l’esito elettorale del 4 marzo che ha segnato una cesura storico-politica con l’archiviazione di una stagione dell’Autonomia.

 

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Il paese è altrove, finiamola con le geremiadi
Apocalisse culturale. Banksi

Sono andati in pezzi i modi in cui si sono formate tutte le nostre categorie politiche, le identità, dalla destra alla sinistra. Una riflessione dell'amico Marco Revelli (pubblicata oggi da "il manifesto") con la quale spero nei prossimi giorni di poter interloquire.

di Marco Revelli

(23 maggio 2018) Da oggi, come si suol dire, «le chiacchiere stanno a zero». Nel senso che le nostre parole (da sole) non ci basteranno più. D’ora in poi dovremo metterci in gioco più direttamente, più “di persona”: imparare a fare le guide alpine al Monginevro, i passeur sui sentieri di Biamonti nell’entroterra di Ventimiglia, ad accogliere e rifocillare persone in fuga da paura e fame, a presidiare campi rom minacciati dalle ruspe. Perché saranno loro, soprattutto loro – non gli ultimi, quelli che stanno sotto gli ultimi – le prime e vere vittime di questo governo che (forse) nasce.

Dovremmo anche piantarla con le geremiadi su quanto siano sporchi brutti e cattivi i nuovi padroni che battono a palazzo. Quanto “di destra”. O “sovranisti”. Forse fascisti. O all’opposto “neo-liberisti”. Troppo anti-europeisti. O viceversa troppo poco, o solo fintamente. Intanto perché nessuno di noi (noi delle vecchie sinistre), è legittimato a lanciare fatwe, nel senso che nessuno è innocente rispetto a questo esito che viene alla fine di una lunga catena di errori, incapacità di capire, pigrizie, furbizie, abbandoni che l’hanno preparato. E poi perché parleremmo solo a noi stessi (e forse non ci convinceremmo nemmeno tanto). Il resto del Paese guarda e vede in altro modo. Sta già altrove rispetto a noi.

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Primo maggio. Le parole oltre la musica
La primavera di Praga

«Tempi interessanti» (80)

Primo maggio 1968. Primo maggio 2018. Mezzo secolo, nel quale sono scorse le nostre vite, fra aspettative che ti toglievano il fiato, trasformazioni importanti delle quali ci siamo sentiti protagonisti, ma anche disincanto e sconfitte.

Con il coraggio delle proprie idee che ti portavano a navigare controcorrente, la fatica forse ancora maggiore di abitare spazi più ampi nei quali cercare di dare cittadinanza ad un pensiero laterale quando la politica diventava strumento per l'affermazione personale, il senso di solitudine quando ci si è resi conto che quel modo di intendere la politica faceva breccia anche fra chi non aveva nulla o quasi da difendere. Perché la povertà non è santa.

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Siamo caduti in un pozzo. Rimaniamoci per un attimo per tornare a vedere il sole e la luna… [prima parte]
dal blog Ponti di vista

di Federico Zappini *

«La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più nè sole nè luna, c’è la verità»

Leonardo Sciascia

 

(8 marzo 2018) Leggo attorno a me spaesamento e frustrazione, stupore e delusione. Voglia di fuggire. Chissà dove poi, come esistesse un altrove perfetto e privo di spigoli nel quale abbandonarsi ad una vita senza alti e bassi, senza conflitti da affrontare, senza complessità da sbrogliare. Leggo il bisogno di capire cosa è successo e cosa succederà. E la voglia di un abbraccio, in attesa di un ragionamento politico risolutivo che tarda a venire a galla. Leggo anche – dopo un primo momento di giusto silenzio, utile a mettere ordine, a razionalizzare – commenti che tendono a fotografare la situazione politica dentro gli schemi precedenti al voto di domenica. Già essere arrivati fin lì con quegli schemi è stato evidentemente un errore. Perseverare è – come sappiamo – diabolico. Eppure è la scelta più semplice, tra chi sottolinea l’ignoranza generalizzata dell’elettorato e chi denuncia la mancanza di una proposta di “vera” sinistra capace di intercettare un bisogno che – a conti fatti – sembra invece essere semplicemente migrato altrove, cambiando di forma (anche radicalmente) o riconoscendo parole d’ordine di proprio interesse dentro programmi e visioni altre.

Siamo caduti in un pozzo. Finalmente. E ci siamo caduti (parlo ovviamente anche per me, che pure qualche avvisaglia mi ero permesso di segnalarla negli ultimi mesi) senza averne la piena consapevolezza, almeno fino a quando non abbiamo sentito il terreno mancare sotto i piedi e iniziare, inevitabile, la caduta. Un caduta per fortuna non troppo rovinosa, almeno dal mio punto di vista, e forse addirittura salutare e, se ben interpretata, potenzialmente generativa.

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Il fascismo non è morto
Olocausto rom

«Tempi interessanti» (76)

(11 febbraio 2018) Il dovere di far tesoro del passato affinché possiamo imparare dalla storia ha un nemico forse ancora più subdolo del “negazionismo”: l'ipocrisia e la retorica. Per questo non amo le celebrazioni e tanto meno le “giornate internazionali” della memoria. ... L'olocausto, le leggi razziali, i sistemi concentrazionari non sono stati un incidente della storia, sono invece l'esito di culture e di politiche (oltre che di interessi) che hanno profondamente segnato il Novecento, quel tempo degli assassini che – contrariamente a quel che afferma il ministro Minniti – non è affatto morto e nemmeno adeguatamente elaborato...

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Oggi è sabato, domani è domenica *
Inverno

di Michele Nardelli

(3 marzo 2018) Le previsioni del tempo indicano che lunedì prossimo ci sarà ancora pioggia e neve sopra gli ottocento metri. Insomma non potremo rifugiarci in una bella giornata di sole. Ma non preoccupiamoci più di tanto, malgrado l'esito elettorale avremo a che fare con lo stesso paese del giorno precedente.

Sarà ancora notte quando le prime proiezioni elettorali sullo spoglio ci forniranno una fotografia di questo paese, delle sue paure e del suo smarrimento. Del resto, per mesi gli istituti demoscopici hanno indicato le tendenze di voto degli italiani e non penso che l'esito si discosterà in fondo più di tanto, salvo forse per il risultato di qualche partito minore che potrà rappresentare una qualche sorpresa.

Tutto invece si giocherà sull'avvicinarsi o meno alla soglia del 40% da parte della coalizione di destra (non ho mai pensato a Berlusconi come ad un uomo di centro) o del Movimento 5 Stelle, tanto che Salvini si è augurato negli ultimi giorni della campagna elettorale che il PD non vada sotto il 22% perché questo potrebbe significare un forte spostamento di quell'elettorato verso i pentastellati.

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Il crepuscolo di un sistema
Crepuscolo. Porto Marghera

In dialogo con l'idea di un “inedito inizio” proposta da Federico Zappini

di Michele Nardelli

(7 febbraio 2018) Ho vissuto in prima persona il passaggio dalla “prima” alla “seconda Repubblica”, quando – era l'inizio degli anni '90 – andava in frantumi il quadro politico sul quale si era retto questo paese dalla fine della seconda guerra mondiale. Anni bui. Manette ai polsi dei potenti, partiti storici che si polverizzavano, poteri oscuri che seminavano terrore, istrioni che scendevano in campo. In un suo celebre discorso sulla transizione italiana, Giuseppe Dossetti ebbe a chiedersi, riprendendo il libro di Isaia, «Sentinella, quanto resta della notte?»1.

Eppure anche in quella “notte” non mancarono lampi di luce, la stagione dell'Ulivo ad esempio, forse il primo e significativo tentativo di costruire una nuova sintesi delle migliori culture politiche precedenti. Presenti al nostro tempo, in questa terra vivemmo quel passaggio senza smarrirci, dando il là – nonostante rancorosi conservatorismi – ad una stagione che fece del Trentino un'anomalia politica in tutto l'arco alpino. Ci aiutò un tessuto culturale e sociale dalle radici profonde che faceva da cornice alla sperimentazione politica.

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Autonomia, quel cambio di sguardo che serve all'Europa
L'Europa delle Regioni

di Michele Nardelli e Federico Zappini

La questione catalana sembra essersi incagliata nella storia del Novecento. Se non sapremo proporre un approccio diverso, indicare nuovi scenari, immaginare paradigmi inediti, sarà ben difficile disincagliarla. E se l'orizzonte di ciascuna delle parti (ma anche dell'Europa e a ben vedere di ognuno di noi) rimane ancorato ai concetti di sovranità da un lato e di autodeterminazione dall'altro, sarà difficile venirne a capo. Può infatti sembrare paradossale, ma nella contrapposizione sulla Catalunya i principali protagonisti la pensano sostanzialmente allo stesso modo.

La situazione non è poi così diversa da ciò che avvenne nel 1999 nella crisi del Kosovo, oggi silenziata ma non per questo risolta, tanto è vero che per il diritto internazionale il Kosovo è ancora una regione della Serbia nonostante la sua indipendenza sia stata riconosciuta da 114 Paesi.

La pagina sul Corriere del Trentino

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C'è molto da scrivere
La Trabant e il muro di Berlino

(1 gennaio 2018) Iniziare il 2018 con una campagna elettorale non potrà di certo aiutare la politica ad essere migliore. La XVII legislatura della Repubblica Italiana, iniziata il 25 marzo 2013, sembrava essersi esaurita già poche settimane dopo l'insediamento del Parlamento, ma in realtà è giunta quasi alla sua scadenza naturale.

Nonostante in molti auspicassero il ricorso alle elezioni anticipate, non senza motivo (considerato lo stravolgimento degli schieramenti con cui si era andati al voto), abbiamo invece conosciuto una fase di “stabilità condizionata”, dove cioè la scomposizione e ricomposizione delle alleanze (e delle appartenenze) ha favorito la nascita di tre governi (Letta, Renzi e Gentiloni) all'insegna di un'austerità insincera, del populismo centralistico e autoritario e – dopo la secca sconfitta nel referendum – della gestione dei suoi ultimi mesi nel favorevole contesto di una ripresa globale, fra diffusa precarietà e qualche sussulto di civiltà, anche grazie al manifestarsi di altre maggioranze parlamentari.

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Morto contromano disturbando il traffico
Morte sul lavoro

(25 dicembre 2017) In un editoriale del quotidiano “Il Secolo XIX” dal titolo “La mia canzone per Carlo e Ahmed volati dalla gru nel giorno delle feste” lo scrittore Maurizio Maggiani (l'autore fra l'altro de “Il Romanzo della Nazione”, “Il viaggiatore notturno”, “Il coraggio del pettirosso”) riprende un tragico fatto di cronaca accaduto a Genova venerdì scorso (lo schianto di una gru, la morte sul lavoro di Carlo, quarantacinque anni, e la riduzione in fin di vita di Ahmed, diciott'anni) per ricordare gli 864 morti sul lavoro che hanno insanguinato questo paese negli ultimi dieci mesi del 2017. Lo fa riprendendo uno straordinario testo di Chico Buarque de Hollanda che s'intitola "Construçã"o, interpretato qualche anno fa con maestria e sensibilità da Enzo Jannacci, dedicando loro questa canzone. Con l'augurio di giorni di sensibile serenità. (m.n.)

 

La costruzione

(testo di Chico Buarque de Hollanda)

 

https://youtu.be/xzY101VFgnw

 

E quella volta amò come se fosse l'ultima
E poi baciò sua moglie come se fosse l'ultima
Ed ogni figlio suo come se fosse l'unico
E attraversò la strada col suo passo timido
Salì la costruzione quattro muri solidi
Mattone su mattone in un disegno logico
Ma gli occhi già impastati di cemento e lacrime
Seduto a riposare come fosse sabato
Mangiata pasta scotta come fosse un principe
Bevuto e singhiozzato come fosse un naufrago
Ballato e riso come se si sentisse musica
Ed inciampò nel cielo come ubriaco fradicio
E fluttuò nell'aria come fosse un passero
E cadde giù per terra come un pacco flacido
Agonizzando in mezzo del passaggio pubblico
E' morto contromano disturbando il traffico

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Le domande che la politica non si pone
Solitudini

«Tempi interessanti» (73)

(24 novembre 2017) Quando a gennaio di quest'anno proposi un viaggio attraverso la crisi della politica, l'intento era quello di indagarne categorie e paradigmi in un percorso che sarebbe durato almeno un paio d'anni, al riparo dall'agenda politica e dalle sue scadenze.

Sapevo che non sarebbe stato facile riuscire in qualche modo ad astrarsi da quello di cui tutti parlano, ma ero altrettanto consapevole che i tempi della ricerca e dell'elaborazione non ammettono scorciatoie e che in questo contesto provare ad incidere sull'attualità politica sarebbe stato fuorviante e probabilmente inconcludente. Perché i processi degenerativi della politica sono tali che le domande di fondo nemmeno si pongono...

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Jus soli: questa non è più la mia coalizione
Bambini

«Tempi interessanti» (72)

Le cronache politiche ragionali ci raccontano di un ordine del giorno contro lo jus soli (temperato, nella forma in discussione in sede parlamentare) approvato nei giorni scorsi dal Consiglio Regionale del Trentino – Alto Adige / Südtirol con un voto trasversale SVP / centrodestra / M5S e con l'astensione del PATT.

Ma che maggioranza è mai quella che nemmeno su una questione di civiltà come lo jus soli “temperato” (odiosa formulazione per indicare che si tratta di un annacquamento del principio in base al quale quello in cui si nasce è il proprio paese) riesce a mostrare un po' di coesione?

L'ordine del giorno approvato nel 2011

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