"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (87)
di Michele Nardelli
Faccio legna per l'inverno...
L'esito delle elezioni in Trentino, per quanto previsto da tempo, non mi è facile da accettare, quasi che dell'impegno di una vita per fare del Trentino una terra diversa non rimanessero che macerie.
Così, negli spazi di tempo fra un appuntamento e l'altro – lunedì ero a Firenze a parlare di cooperazione internazionale, martedì all'Università di Parma a presentare “Sicurezza”, giovedì sera a Isera al primo di una serie di incontri promossi da Slow Food sul rapporto fra cibo e ambiente – faccio provviste e legna per l'inverno, come se la “cattiva stagione” dovesse durare a lungo, almeno una legislatura.
Faccio di tutto, insomma, pur di non prendere in mano carta e penna, laddove pensieri e parole mi sembrano improvvisamente inutili. Penso a questo stesso blog che curo quotidianamente, agli anni dell'impegno legislativo che ho visto svanire per insipienza prima ancora che per il prevalere di altre visioni ed interessi, al lavoro per declinare in forme e approcci originali quel binomio – guerra e pace – che ha rappresentato tanta parte del Novecento e che i pacifisti hanno guardato con sospetto preferendo il manicheismo del “senza se e senza ma”, penso alla ricerca sulla cooperazione internazionale di fronte al vuoto di sguardo di molte Ong tanto da sentirmi ancora riproporre l'idea che dovremmo “insegnare a pescare”, aberrazione che ci racconta più di tante altre cose lo stato dell'arte.
Rifletto sul senso dell'agire umano e su ciò che rimane... Mi vengono in mente le parole di Lidia Campagnano quando scrive a proposito di un orto botanico sul Monte Velebit curato da un professore di Zagabria e spazzato via dalla furia della guerra «Che cosa avrà pensato, del senso che la storia dovrebbe assegnare al singolo, alla sua singola memoria, al suo singolo scegliere un'attività?»1.
Eppure lo devo in primo luogo a me stesso, a questo nostro modo di stare al mondo, alle persone che si sono riconosciute e che si sentono parte di una comunità di pensiero che nel tempo ci ha aiutati ad essere meno soli.
Dunque, eccoci qui, malgrado l'inverno. In fondo – mi dico – c'è ben poco da aggiungere a quanto già scritto prima del voto, la fine annunciata di un'anomalia nella quale non solo avevo creduto ma che costituiva motivo di orgoglio, come a dire che pur fra mille criticità comunque in questa nostra piccola terra qualcosa di diverso lo si era realizzato.
Avevo anche scritto che non necessariamente s'impara dalle lezioni ed in effetti basta scorrere i commenti degli esponenti della vecchia maggioranza per capire come se non ci si predispone ad imparare non si elabora un bel niente, proseguendo nella cattiva abitudine di attribuire ad altri le proprie responsabilità.
Perché – lo voglio qui ribadire – le ragioni di questo esito elettorale2 risiedono in buona parte nelle nostre responsabilità, dalle quali non mi sottraggo nonostante avessi indicato per tempo – con la nascita di Politica Responsabile, con la pur breve esperienza di “territoriali#europei” e, da ultimo, con il “Viaggio nella solitudine della politica” che di mese in mese mi incoraggia in questo tragitto di ricerca – la necessità di uno scarto di pensiero e di una nuova stagione dell'autonomia nello spazio politico europeo.
E' proprio qui, nell'incapacità di comprendere uno scenario che si andava rapidamente trasformando, dove all'acquisizione di nuove competenze potesse corrispondere la formazione di una nuova e diffusa classe dirigente (e mi fa piacere che Lorenzo Dellai lo riconosca esplicitamente nella sua riflessione post elettorale – vedi allegato), che sono venuti a galla i limiti di un'impostazione dirigista che insisteva retoricamente sull'esistenza di un DNA valoriale che avrebbe fatto diverso il Trentino. Ma il DNA che non è scolpito nella roccia delle nostre montagne e i valori non sono affatto acquisiti una volta per tutte.
Il riverbero dei tratti di spaesamento che venivano dal profondo nord, il non saper cogliere il carattere postmoderno di quanto era accaduto e continuava ad accadere nell'est europeo, la crisi di un progetto europeo nello smarrirsi della sua essenza federalista (e solidale), la paura di dover rinunciare ad una condizione di privilegio – accanto ai processi omologanti indotti della globalizzazione – hanno fatto emergere quanto il Trentino fosse al contrario poco attrezzato, viziato da un'autonomia interpretata come privilegio piuttosto che responsabilità.
E, paradossalmente, di come la Lega sapesse dare una risposta accattivante alle paure, sapendo corrispondere a ciò che le persone volevano sentirsi dire. Il leghismo ha potuto in questo modo divenire una rappresentazione politica anti-elitaria, fatta di gente comune, di una narrazione “terra-terra” di immediata comprensione, basata sulla semplificazione, sugli stereotipi nonché sul rancore verso una politica (ed una sinistra) che ha smesso da tempo di immaginare un mondo diverso e di dare l'esempio nei suoi comportamenti.
Era già accaduto negli USA con l'affermazione di Donald Trump, nel Regno Unito con quella di Teresa May e con la Brexit, in Italia con quella di Matteo Salvini e di Beppe Grillo... L'inverno è arrivato in queste ore anche dove si attende l'estate, laddove la sinistra ha spianato la strada alla destra più estrema di Jair Bolsonaro. Nei quartieri ricchi come nelle favelas, a testimonianza di come inclusi ed esclusi la pensino spesso nello stesso identico e tragico modo.
Perché il problema non è in fondo tanto diverso, qui come altrove: la sinistra non ha più un racconto da proporre, ferma com'è ad un tempo che non esiste più.
Se invece si continuerà a pensare che il problema sia stata (e sia) la litigiosità, un'inadeguata comunicazione o, ancora, la scarsa presenza sul territorio, non ne verremo a capo. Ovviamente questo non significa ignorare la necessità della mitezza, di far dialogare sensibilità diverse o di mettere radici nel tessuto sociale, ma ciò di cui in primo luogo dobbiamo disporre è di una visione.
E poi, come scrive Leonardo Caffo, «per costruire il futuro bisogna conoscere il presente»3. Oggi il nostro presente – quello che non vogliamo vedere perché metterebbe in discussione le nostre certezze (e i nostri stili di vita) – è di un'umanità che, malgrado il Novecento, continua a pensare il mito della potenza e della forza come progresso, la guerra come levatrice della storia, la disponibilità di “cose” come benessere... E' di un modello di sviluppo sempre più insostenibile, tanto che dal 1988 questo pianeta consuma più di quanto gli ecosistemi terrestri riescono a produrre (nel 2018 la Terra ha un'impronta ecologica di 1,7 pianeti e il giorno del superamento è stato il primo di agosto)... E' di una terza guerra mondiale che nessun Stato ha formalmente dichiarato e nella quale ci siamo arruolati quando abbiamo affermato la non negoziabilità dei nostri stili di vita. Che si svolge fra inclusione ed esclusione e che sarà ben più cruenta di quelle precedenti...
L'inverno si presenta con piogge torrenziali che spazzano l'Europa e l'Italia. Non è emergenza, è l'effetto combinato dei cambiamenti climatici dovuti al surriscaldamento del pianeta e di decenni di politiche dissennate fatte di cementificazione e di scarsa cura del territorio. Sappiamo altresì che questa situazione è destinata ad aggravarsi nel tempo. Tanto che la Commissione sul clima delle Nazioni Unite4 ammonisce il mondo che abbiamo poco più di dieci anni per evitare esiti catastrofici. Il paradosso surreale è che mentre ancora si contano i danni ambientali, anziché avviare un ripensamento attorno alla nostra insostenibilità (e all'insana idea di sviluppo che ci ha portati in questa situazione), si accenda una vera e propria crociata a favore delle grandi opere. Siamo alla follia.
Da tutto questo ed altro è attraversato anche il Trentino. E se una gestione intelligente dell'autonomia – esito anch'essa di un processo di ripensamento avviato in Trentino negli anni '80 dopo la tragedia di Stava –, accanto agli elementi di diversità strutturale di questa terra, è stata in grado per un quarto di secolo di operare scelte lungimiranti che ci hanno tenuti relativamente al riparo dagli effetti dello spaesamento e dal modello veneto (un simbolo di questo era la contrarietà alla realizzazione del tratto nord della PiRuBi), con il tempo il tessuto sociale, culturale e politico sono andati omologandosi al vento che si è levato tutt'intorno. I tratti di diversità, banalizzati. La sperimentazione politica, sostituita dalla degenerazione personalistica dei partiti. L'esito è il voto del 21 ottobre.
Che non concede attenuanti. Una storia è finita ed immaginare di ripartire da ciò che rimane della vecchia maggioranza sarebbe come rimestare nel vuoto. Non c'è nulla da rottamare, c'è piuttosto una strada nuova da inventare, nella quale le persone che hanno avuto ruoli di responsabilità nella fase precedente debbano insieme dare e passare la mano.
Serve un nuovo racconto, che sappia far tesoro del passato e cambiare i propri paradigmi. Ciascuno può esserne interprete. Con un viaggio attraverso i limes del nostro tempo5 o con un libro che si propone di disincagliare le ali dell'angelo della storia6. Le strade possono essere molteplici, nessuna autosufficiente. Credo che il bandolo della matassa stia proprio qui: la consapevolezza che una storia è finita e che il “non ancora” sia – malgrado l'inverno per cui ci stiamo attrezzando – nelle mani feconde di chi avrà voglia di sporcarsele.
1 Lidia Campagnano, Gli anni del disordine. 1989 – 1995. La Tartaruga edizioni, 1996
3 Leonardo Caffo, Vegan. Un manifesto filosofico. Einaudi, 2018
4 Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – http://report.ipcc.ch/sr15/pdf/sr15_spm_final.pdf
6 Mauro Cereghini – Michele Nardelli, Sicurezza. EMP, 2018
La lettera di Dellai a L'Adige
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