"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Editoriali

Il maggiore dei mali
da Greenpeace

La grande sete della Sicilia e la nostra normalità

di Francesco Picciotto

In questo tempo assurdo ed inquietante molti di noi cominciano a porsi, come fossero mantra, come fossero auspici, interrogativi inquietanti ed assurdi: “ma una cosa esclude l’altra?”, “ho ancora un ruolo su questo pianeta oppure è meglio ritirarmi in pace da qualche parte?”, “devo proprio trovare l’indirizzo da apporre alla mia personalissima busta?”, e infine “quale è il minore dei mali?”. ...

... Credo che il male maggiore stia nella “normalità” che mi circonda, in una umanità che abita questa isola e che si prepara a vivere in perfetta inconsapevolezza l’ennesima estate vacanziera. Credo che il male maggiore stia in un incredibile meccanismo di rimozione che riguarda la maggior parte delle persone di questo posto e che le porta a dire: “si troverà una soluzione...forse pioverà...ma figurati se non superiamo anche questa crisi...se non troviamo una soluzione anche a questo problema”...

leggi | 1 commenti - commenta | leggi i commenti
Quelle carovane che fecero diversa questa terra. In ricordo di Vittorio Cristelli
Vittorio Cristelli

(26 aprile 2024) Vittorio Cristelli nei giorni scorsi ha lasciato questo mondo. Non ci vedevamo da tempo e, malgrado mi fossi riproposto di andarlo a trovare, alla fine le nostre vite di corsa hanno avuto il sopravvento, perché il limite anche se ne parliamo (ma non abbastanza) poi non lo sappiamo declinare. Ed ora un'assenza, definitiva. Che si traduce in disagio. Provo a scriverne, avvertendo un debito di riconoscenza.

Perché c'è stato un passaggio di tempo, in particolare nel decennio successivo alla caduta del muro di Berlino, in cui la frequentazione con Vittorio è divenuta parte di una comune ed intensa ricerca culturale e politica. In quegli anni di profonde trasformazioni, negli assetti globali come intorno a noi, l'impegno per la pace s'intrecciò con un profondo interrogarsi su come reimmaginare lo scenario politico, trentino ma non solo.

Certamente la pace fu il terreno del nostro incontro. Le grandi speranze di un mondo diverso da quello che aveva segnato il secondo dopoguerra, che accomunava persone anche tanto diverse come noi attorno alle parole di padre Ernesto Balducci, si erano ben presto rivelate nel loro opposto: era di nuovo la guerra il tratto che riempiva lo scenario globale, dal Vicino Oriente alla regione africana dei Grandi Laghi, dall'America centrale ai Balcani.

leggi | 13 commenti - commenta | leggi i commenti
Pensieri elettorali
Tragitti

 

... Non ho particolari aspettative per questo voto, mi accontenterei che servisse a farci aprire gli occhi e a capire che serve un cantiere delle idee come presupposto per una nuova stagione politica. Il ritrovare il bandolo della matassa per ricostruire un tessuto senza il quale la politica diventa politicismo.

Ieri pomeriggio ero a presentare "Inverno liquido" a Vipiteno, città natale di Alex Langer. E' stato un incontro bello e partecipato, dal quale sono uscito con la convinzione che il bandolo si possa trovare.

Ho avuto un'analoga percezione l'altra sera nelle parole di Francesco Valduga (che accompagnava Elli Schlein nella manifestazione di chiusura della campagna elettorale), la consapevolezza di questo difficile tragitto e per questo lo voterò.

leggi | 5 commenti - commenta | leggi i commenti
Eppure una volta eravamo fratelli.
Ali Rashid, Andalusia, 2022

di Ali Rashid

(trentamila morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.

Vivo in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.

Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.

Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.

leggi | 8 commenti - commenta | leggi i commenti
Nella guerra non ci sono vincitori
Ucraina

... Avremmo dovuto comprendere da tempo che nella guerra non ci sono vincitori. Se non i profittatori di guerra, quelli che si arricchiscono, in divisa o in abiti civili. O quelli che le armi le producono sul piano industriale. Ma di indagare la guerra nelle sue molteplici (e talvolta inconfessabili) sfaccettature, comprese le nuove guerre dove finisce il monopolio statuale della violenza, oppure di educazione alla pace e alla nonviolenza neanche parlarne.

Chi sarebbero i vincitori? Quelle centinaia di migliaia di persone che hanno perso la vita e che i propri eserciti negano perché nella retorica della vittoria è meglio nascondere il numero delle “proprie” vittime? Quelli che in una terra avvelenata dagli idrocarburi, dall'uranio impoverito e dall'amianto1 non ci potranno più abitare se non ignari dei tumori correlati? Le generazioni a venire che si troveranno un ambiente devastato talvolta irrimediabilmente? ... O, ancora, quelli che ora vivono nelle baracche fatiscenti di campi profughi destinati a durare negli anni? O forse i reduci, nei dopoguerra segnati dalla violenza in famiglia, dal suicidio o dall'alcolismo, dal silenzio e dalla follia? ...

Il mondo e il compito dell’Europa. Via dalla spirale dei massacri
Guerra in Ucraina e armi italiane

di Mauro Magatti *

Se a livello privato si osserva l’indebolimento dell’empatia, sul piano politico-istituzionale questo tempo segna il ritorno in grande stile del conflitto armato per risolvere le controversie che si moltiplicano nel mondo globalizzato. L’invasione dell’Ucraina ha fatto da evento catalizzatore di processi già avviati negli anni precedenti che adesso stanno però acquisendo natura sistemica. Sono tre le tendenze principali che si vanno rafforzando reciprocamente. Secondo l’ultimo Rapporto disponibile del Stockholm International Peace Research Institute già nel 2021 - cioè prima dell’invasione Ucraina - la spesa militare complessiva a livello mondiale aveva superato (per la prima volta dal 1949) i 2.000 miliardi di dollari annui.

Un’ascesa cominciata nel 2015 e alimentata da cinque Paesi: i due terzi delle spese militari globali sono infatti effettuati da Usa, Cina, Russia, India e Regno Unito. Gli Stati della Ue, più indietro, dopo i fatti ucraini hanno cominciato la rincorsa: la Francia ha annunciato un programma per la difesa di oltre 400 miliardi di euro nei prossimi 7 anni. La Polonia ha annunciato che porterà al 4% del Pil le proprie spese militari e la Germania le raddoppierà sino oltre i 100 miliardi annui. D’altra parte, la guerra in Ucraina proclama che, per “vincere” o almeno non perdere lo scontro bellico, servono armi sempre più sofisticate: in un mondo tecnologico anche la guerra diventa tecnica (anche se a morire sono poi uomini e donne in carne e ossa, a centinaia di migliaia).

Il secondo trend è la costruzione di muri. Anche in questo caso la tendenza è cominciata a ben prima dell’attacco all’Ucraina. Muri e recinzioni costruiti per cercare di separare ciò che in realtà è strutturalmente unito sono ormai diffusi in tutti i continenti. A oggi si contano circa 80 muri per quasi 50.000 km, l’equivalente della circonferenza dell’intero  pianeta. A fine del 2022 sui confini europei si contavano 2.048 chilometri di barriere, quando nel 2014 erano 315 e zero nel 1990. A seguito dell’invasione dell’Ucraina, anche la Finlandia ha cominciato a costruire un muro sulla lunga frontiera con la Russia. E per fronteggiare la questione migratoria qualche mese fa dodici Stati membri (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia) hanno chiesto alla Commissione finanziamenti per la costruzione di barriere fisiche di difesa.

 

Aiutiamoli a morire a casa loro
da Avvenire

di Tonino Perna *

L’ennesima tragedia dei migranti che muoiono davanti alle nostre coste, che potevano tranquillamente essere salvati prima, ha provocato una reazione unanime nel governo italiano che è stato ben espresso dalla premier addoloratissima per questo ennesimo naufragio: “Basta. Dobbiamo impedire le partenze”. Le ha fatto da megafono il ministro Piantedosi: “Non dovevano partire”.

Giusto, logico e pragmatico, non fa una grinza. Se nessuno parte su un barcone, gommone o altro mezzo, nessuno muore. Per questa intuizione dovrebbe essere conferito alla presidente del Consiglio, unitamente al suo Ministro degli Interni, uno speciale premio Nobel per la pace, magari con una piccola specificazione: “per la pace eterna”.

Cosa significa “dobbiamo bloccare le partenze”? Significa che milioni di profughi che fuggono dalle guerre, dalla fame, dalla miseria, dalla siccità, dalle inondazioni, devono restare a morire nella propria terra. Ma, stia tranquilla, signora presidente del Consiglio: il 94% dei rifugiati, dei cosiddetti “diplaced people” si spostano all’interno dei loro paesi o in paesi confinanti, come il Niger, il Congo, il Sud Sudan, ecc. Solo il 6% emigra verso altri continenti, non necessariamente in Europa. Quelli che s’imbarcano per raggiungere le coste del Sud Europa sono quelli che non hanno più niente da perdere.

Sono una piccola parte dei 1,3 milioni di siriani rimasti intrappolati in Libano in una spaventosa crisi economica che ha generato una forte pressione per rimandarli in Siria dove li attende a braccia aperte Bashar Assad, per dargli l’estrema unzione. Sono curdi bombardati quotidianamente dal grande mediatore pacifista, il presidente Erdogan, che ricatta persino la Nato per poter giustiziare i leader curdi che si sono rifugiati politici nei paesi scandinavi. Sono tunisini che fuggono dalla miseria che dilaga in questo paese dove le grandi speranze accese dalla “primavera araba” stanno definitivamente tramontando. Chi sale, pagando, su un barcone sovraffollato per venire in Italia, sa perfettamente che rischia la vita, ma non ha alternative, non ha una prospettiva diversa, una piccola fiammella di speranza.

 

pagina 1 di 74

123456789101112Succ. »