"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Consigli non richiesti per una nuova geografia e grammatica politica per Trento e il Trentino.
di Federico Zappini *
Sei vuoi andare veloce, corri da solo.
Se vuoi andare lontano, corri insieme a qualcuno.
Scrivo questo testo da una posizione di marginalità. Da solo. Una solitudine che non credo solo mia. Senza grandi elettori da spendere nella contesa elettorale.
Quella che sottopongo è una riflessione che nasce dalla fragilità e dai dubbi più che dalla forza e dalle certezze. È un pensiero frutto di un numero sufficientemente ampio di conversazioni a più voci. E’ il depositato di inquietudine e curiosità derivante dall’osservazione dell’evoluzione politica e sociale del territorio che vivo.
Non è un appello per costruire nuovi movimenti o soggetti politici. Non è la rivendicazione di un ruolo in quegli organi – penso al tavolo coalizionale che già in queste settimane comincia il suo lavoro di confronto – che avranno il compito di tirare le somme delle riflessioni all’interno delle forze politiche che esprimono una propria visione e organizzazione.
«Tempi interessanti» (94)
Ho lasciato trascorrere qualche giorno per condensare in un commento una serie di pensieri che, a partire dalla vicenda della Sea Watch, investono la questione migratoria. Ma in un tempo fatto di avvenimenti che si consumano in tempo reale, rimpiazzati di giorno in giorno da nuove emergenze (o presunte tali), sembra difficile trovare lo spazio (e l'attenzione) per una riflessione che guardi alla radice di quel che accade.
Si preferisce soffiare sul fuoco di un contesto ormai imbarbarito anziché affrontare i nodi di fondo che la questione migratoria pone, un iceberg che chiama in causa l'insostenibilità di uno sviluppo che sul piano globale produce naufraghi di ogni tipo.
di Marco Revelli
(21 luglio 2019) Un governo morto che non muore. Un’opposizione che si vorrebbe viva e rigenerata, che non riesce a opporsi a nulla. Un popolo che non è popolo ma coacervo di individui rancorosi e competitivi, che tuttavia ha prodotto uno dei peggiori populismi in circolazione oggi. E al fondo, paradosso baricentrico che spiega tutti gli altri, un Paese fallito che non fallisce.
È probabilmente il non detto di questa verità prima, mai dichiarata e però terribilmente incombente, ciò che rende così irreale la crisi italiana, come fluttuante nell’aria in un eterno tempo sospeso. Il fattore che le fa sfidare, ogni giorno, le leggi della fisica politica.
Riprendo questa utile riflessione sul tema delle migrazioni dell'amico Andrea Segre
di Andrea Segre
Incredibile, Salvini ci aveva assicurato che i migranti erano scomparsi, e invece anche quest’estate ci risiamo. Continuano a succedersi senza sosta le notizie di navi di ONG che salvano migranti e vengono fermate da Salvini. E tutti i commenti e le tensioni mediatico-politiche sono calamitate da questi eventi.
Senza nulla togliere all’importanza etica del salvataggio e anche al valore politico della sua rivendicazione, la cosa che mi preoccupa di più è che siamo sempre fermi allo stesso punto, allo stesso ombelico che da ormai vent’anni ci impedisce di trovare una vera soluzione al dramma delle migrazioni illegali e troppo spesso mortali. Parliamo sempre e solo di sbarchi, dividendoci tra chi li vuole e chi no. Altro non interessa.
La complessità della gestione dei flussi migratori viene riportata sempre e solo alla gestione dell’ultimo pezzo di viaggio, quello via mare, che spesso è meno di un decimo dell’intero viaggio. Una miopia geografica e geopolitica che ci acceca da ormai vent’anni, ma che ora sembra diventata ancora più pesante con la trasformazione del dibattito da politico a quasi esclusivamente morale: è giusto salvare o no? Una domanda che fa slittare il tema su un piano di polarizzazione pregiudiziale: io sono per salvarli o io sono per fermarli. Altro spazio e direzione di discussione sembra non esserci. La discussione inizia e si ferma lì. La gran parte dello sforzo giornalistico è dedicato alla narrazione personalistica degli eroi dei salvataggi o dell’accoglienza e del loro scontro con il capitano irato e vincente.
«Tempi interessanti» (93)
«Trattare da pari a pari con l'Europa». Questo afferma Matteo Salvini reduce dagli Stati Uniti dove ha cercato (e trovato) legittimazione politica quale vero capo del governo italiano. Un via libera per scaricare i 5 Stelle e per andare ad elezioni anticipate – si è commentato – ma anche il prendere corpo di un disegno che punta a sgretolare l'Unione Europea...
... Per questo l'Europa deve diventare a pieno titolo lo spazio politico comune capace di includere, di garantire stato di diritto e di federare diffuse forme di autogoverno sovranazionali e regionali, di nuove relazioni di conoscenza, di scambio e di cooperazione con il Mediterraneo e il vicino Oriente da cui è inscindibile. Spazio politico cui adeguare le istituzioni, le forme dell'agire politico, i corpi intermedi.
di Ugo Morelli *
“Io lavoro come un giardiniere”, diceva di sé Joan Mirò. Indicando che la passione per la natura parla della natura delle passioni umane. Quelle passioni possono essere generative e distruttive.
Il nostro rapporto con la natura di cui siamo parte ha visto prevalere fino ad oggi una posizione e azioni prevalentemente distruttive da parte di noi umani. Un libro postumo di Oliver Sacks, dal titolo emblematico, “Ogni cosa al posto giusto”, in corso di traduzione in italiano, evidenzia in modo magistrale il conforto esistenziale e vitale che da un punto di vista fisiologico e psicologico può venirci dalla natura. Denso di significato è anche il sottotitolo del libro: primi amori e ultimi racconti.
Una sintesi adeguata alla nostra condizione. Auspicando che il nostro amore e la nostra passione per la natura non si traducano in racconti finali delle bellezze e dei valori della natura stessa.
«Tempi interessanti» (92)
Le elezioni per il Parlamento Europeo sono state un'occasione persa per parlare di Europa. Chiedersene la ragione non farebbe male. L'Europa poteva rappresentare in sé un mutamento di paradigma, un'opportunità per cambiare il nostro sguardo spostandolo dall'orizzonte degli stati nazionali ad una visione insieme sovranazionale, macroregionale e mediterranea. Inchiodati invece agli schemi novecenteschi e ridotta la politica alla rincorsa emergenziale di nodi strutturali, il confronto elettorale è diventato un inguardabile referendum intorno e dentro al governo nazionale.