"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«Tempi interessanti» (111)
(18 gennaio 2021) C'è una tragedia che da mesi si consuma al confine con l'Unione Europea. Almeno duemila persone vagano nella neve, fra boschi e ruderi di vecchi combinat industriali nei dintorni delle città di Bihac e di Velika Kladusa, in Bosnia Erzegovina, alla ricerca di un varco per entrare in Croazia e da lì andarsene il prima possibile verso una nuova speranza di vita. In realtà si tratta di un frammento di quell'esodo che da anni viene chiamato “rotta balcanica”, a sua volta una delle tante rotte che percorrono i migranti nel cercare scampo da guerre, crisi climatiche, povertà estreme, regimi totalitari o semplicemente rispondendo all'istinto umano di cercare di migliorare la propria esistenza...
... In situazioni normali la società civile avrebbe messo in moto carovane, come già avvenne in questi stessi luoghi negli anni '90. Ma in queste ore l'unico soggetto che può sbloccare questa situazione è quel che resta di un'Europa politica che ha l'obbligo morale prima ancora che politico di costringere la Croazia ad una moratoria per riaprire le frontiere e i paesi dell'Unione a porre fine alla pratica insopportabile dei respingimenti che con ipocrisia chiamano “riammissioni”...
Riprendo questo testo che condivido ampiamente e che credo rappresenti un modo diverso di immaginare il futuro nella martoriata Mezzaluna fertile del Mediterraneo.
di Awad Abdelfattah e Jeff Halper
The Electronic Intifada
Un paese, due popoli, tre religioni. È tempo che una soluzione a uno stato unico basata sulla parità di diritti diventi senso comune. Il "conflitto israelo-palestinese" è stato spesso presentato come uno dei più intrattabili nella storia del mondo moderno. Ma una ragione di ciò è proprio che è stato erroneamente analizzato come un conflitto e quindi le "soluzioni" offerte e i "processi di pace" per arrivarci sono falliti. Questo non è un conflitto. Non ci sono due parti in conflitto su alcune questioni che possono essere risolte attraverso negoziati tecnici e compromessi. Piuttosto, il sionismo era – ed è – un progetto coloniale di coloni. I coloni ebrei arrivarono in Palestina dall'Europa con l'intenzione di conquistare il paese e farlo proprio. Come tutti i movimenti dei coloni, erano dotati di una narrazione: il motivo per cui il paese apparteneva effettivamente a loro e hanno perseguito unilateralmente la loro rivendicazione di diritto. La popolazione indigena palestinese (che includeva sefarditi, mizrahi ed ebrei ultraortodossi) non aveva voce nel processo; non erano una “parte”, ma semplicemente una popolazione di cui sbarazzarsi. Ciò rimane vero fino ad oggi, poiché il progetto dei coloni sionisti ha virtualmente completato il suo compito di giudaizzare la Palestina, di trasformare un paese arabo in uno ebraico. La sua conclusione inevitabile è l'apartheid: confinare i palestinesi in enclave disconnesse e impoverite sparse per oltre il 15 per cento del loro paese.
Azra Nuhefendic
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Grazie agli amici che con la loro sensibilità e professionalità hanno permesso alla nostra idea di prendere corpo: Azra Nuhefendic, Jovan Divjak, Gigi Riva, Mario Boccia, Carlo Saletti e all'editore Bottega Errante fatto di tante anime.
Beirut
Storia di una città
Einaudi, 2009Di fronte alle tragiche imamgini di queste ore, un piccolo omaggio alla città di Beirut raccontata magistralmente da Samir Kassir, uno degli intellettuali più prestigiosi del mondo arabo che della sua primavera fu protagonista e vittima.
«Da sempre Beirut, tra i bagliori di una città aperta - al tempo stesso orientale e occidentalizzata, cristiana e musulmana, moderna ma profondamente radicata in una storia che ha visto passare Pompeo, Saladino, i Pascià Jazzar e Ibrahim - e gli incubi di un luogo esposto di continuo alla guerra, con i suoi abitanti di svariata provenienza, i suoi scrittori e artisti, i suoi contrasti ed eccessi, continua ad alimentare limmaginario piú variegato.
Restituendo alla città i mille volti della sua storia, Samir Kassir ci racconta le grandi contraddizioni della prima metropoli del mondo arabo. Spesso idealizzata in passato per lo scenario felice e la natura lussureggiante, nella seconda metà del Novecento Beirut vive la sua età delloro, ponendosi al centro di interessi economici che superano i confini della piccola Repubblica Libanese.
«Tempi interessanti» (106)
Sono anni ormai che periodicamente viene montata una polemica contro il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e l'Osservatorio Balcani Caucaso – Transeuropa. C'è da chiedersi la ragione di tanta avversità verso istituzioni e organismi riconosciuti internazionalmente per il valore e la serietà del loro operato e che hanno fatto di questo nostra terra un luogo di primo piano nell'impegno per la pace e la mondialità...
... Si tratta di realtà che hanno contribuito all'immagine del Trentino ben oltre i propri confini e di cui la comunità trentina dovrebbe essere fiera. Perché, in un caso come nell'altro, l'azione di questi organismi ha fatto sì che il Trentino fosse connesso con questo nostro tempo glocale, che migliaia di persone si formassero alla mondialità e alla gestione nonviolenta dei conflitti, che una parte dell'Europa potesse trovare qui un punto di riferimento sul piano della costruzioni di relazioni virtuose e della solidarietà...
Il documentario “Maglaj – guerra e pace” parla di tre ex soldati di Maglaj – un serbo, un croato e un bosgnacco – che nella guerra del 1992-95 avevano combattuto l’uno contro l’altro, e oggi di nuovo vivono nella stessa città e lavorano insieme per costruire un futuro migliore
di Bozidar Stanisic *
Alla fine di maggio di quest’anno ho ricevuto un invito, a dire il vero inaspettato, dal Centro per la costruzione della pace “Karuna” di Sarajevo per partecipare alla proiezione di un film documentario intitolato “Maglaj – rat i mir” [Maglaj – guerra e pace]. Una proiezione online naturalmente, cioè “a distanza”, a causa del coronavirus. Non sapevo che il film fosse stato realizzato già nel 2018, ma non è mai troppo tardi per le buone notizie. E un’altra buona notizia è che in Bosnia Erzegovina questo documentario già da qualche tempo è qualcosa di più di una semplice testimonianza della guerra combattuta tra il 1992 e il 1995 in un paese che ancora oggi è lontano dal raggiungere una riconciliazione e dall’elaborare un progetto concreto per il futuro.
Tre ex comandanti, un unico messaggio
"Mi chiamo Marko Zeli, sono un ex membro del Consiglio di difesa croato".
"Mi chiamo Rizo Salki, mi chiamano Italiano. Sono un ex membro dell’Armija della Bosnia Erzegovina".
"Mi chiamo Boro Jevti, sono un ex membro dell’Esercito della Republika Srpska".
Prima della guerra Marko, Rizo e Boro erano amici, lavoravano nella stessa fabbrica. Nella nostra guerra fratricida divennero nemici. Poi una volta finita la guerra, tornarono ad essere amici. E con questo documentario, il cui titolo allude al titolo dell’immortale romanzo di Tolstoj, mandano un chiaro messaggio a tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina (compresi quelli della diaspora) che il futuro del loro paese passa attraverso la costruzione della convivenza e della pace. Prima di loro nessun partecipante diretto alle guerre in ex Jugoslavia ha mai compiuto un gesto simile.
Il film “Maglaj – guerra e pace” lancia un messaggio e un monito anche all’intera regione, soprattutto alle giovani generazioni, sull’assurdità dei disastri provocati dalle guerre e distruzioni, ma anche sull’importanza della convivenza e del dialogo.
Alla commemorazione per i 25 anni dal genocidio di Srebrenica si attendevano centomila persone. Saranno, causa restrizioni Covid-19, molte meno. Le numerose iniziative artistiche e di memoria quest'anno, in assenza di un momento di conforto collettivo, acquisiscono ancora maggiore importanza
di Alfredo Sasso *
I funerali delle vittime identificate negli ultimi dodici mesi – quest'anno in tutto otto - si terranno regolarmente, così come si svolgerà la tradizionale commemorazione dell’11 luglio. Ma il venticinquesimo anniversario del genocidio di Srebrenica si svolgerà in una cornice molto ridimensionata. L'incidenza del Covid, che in Bosnia Erzegovina era stata relativamente contenuta nei mesi primaverili, si è riacutizzata nelle ultime settimane, comportando nuove restrizioni sugli eventi pubblici e sugli arrivi dall'estero.
Prima della pandemia, gli organizzatori prevedevano circa centomila persone e di questi almeno diecimila, provenienti da tutto il mondo, sarebbero stati i partecipanti attesi alla Marcia della Pace. È il cammino di circa cento chilometri che riprende a ritroso quello compiuto da migliaia di bosniaci musulmani nel luglio 1995, che cercarono – solo una piccola parte vi riuscì - di mettersi in salvo dalle milizie serbo-bosniache che avevano appena occupato la cittadina di Srebrenica per poi operare l'eliminazione sistematica di tutti gli uomini adulti catturati, almeno 8.372 secondo l’elenco del Memoriale di Potoari.