«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Federico Zappini
E’ faticoso muoversi sulla linea di faglia di un salto d’epoca. Da venticinque anni le crisi (economiche, ecologiche, militari, di senso) si accumulano e interagiscono. La fine di un Mondo porta con sé un carico di contraddizioni difficili da sciogliere. Non avviene in un sol colpo e oscilla tra l’emersione di elementi simbolici che rompono lo schema dato e – dove possibile – i tentativi di qualcuno di rielaborare la realtà sotto altre forme, altri equilibri. Con ogni probabilità ciò che sta avvenendo attorno a Gaza (il riconoscimento diffuso di un genocidio in atto, l’incapacità delle istituzione internazionali di ricomporre il conflitto, la presa di parola vigorosa e spontanea di ampie parti della società civile, il “piano di pace” neocoloniale firmato dalla coppia Trump/Blair che in queste ore potrebbe almeno portare a un iniziale cessate il fuoco) descrive al meglio il caleidoscopio di rischi e opportunità connessi al venir meno dell’ordine scaturito dalla fine della seconda guerra mondiale. Dove si fermerà l’oscillazione del pendolo della Storia che si è rimesso in moto alla massima velocità?
In questi giorni ho trovato di grande interesse l’interpretazione che Luciana Castellina ha dato di questo tempo. In quella che potrebbe apparire come una provocazione ci dice che il vero sconfitto di questa fase è proprio il modello capitalista. Incapace di mantenere le promesse di benessere diffuso su scala planetaria, alle prese con crisi ambientali da esso stesso generate, messo in scacco per un verso dall’”efficienza” di forme di governo illiberali e dall’altro dalla dimensione sfuggente delle rivoluzioni tecnologiche in corso non ha altri strumenti da mettere in campo per preservare il proprio potere che non siano la violenza e il cinismo, che certo trovano la più nitida raffigurazione nella presidenza Trump ma pericolosamente permeano le società occidentali rendendole più aggressive e frammentate, ossessionate dal bisogno di essere rassicurate attraverso l’uso della forza e la repressione di tutto ciò e tutti coloro che vengano riconosciuti come un pericolo imminente, un nemico alle porte.
Questo testo è stato pubblicato dall'autore su Substack. E' di libera circolazione e appartiene a tutti. Lo ritengo un buon punto di partenza per un confronto largo sul significato del passaggio di tempo che stiamo attraversando, senza illusioni né scetticismo.
di Alessandro Baricco
(9 ottobre 2025) Adesso è difficile individuarlo, ma c’è stato un giorno, recente, in cui Gaza ha smesso di essere il nome di una terra per diventare la definizione di un limite: la linea rossa che molti di noi hanno scelto come confine invalicabile. Da quel giorno, lottare al fianco di Gaza non è più stata una scelta politica, da legittimare o da porre in discussione.
È diventata una mossa mentale in cui una certa umanità ha preso distanza da un’altra, rivendicando una propria idea della Storia e richiedendo indietro il mondo a chi glielo stava scippando.
Il Governo israeliano da mesi porta avanti un’operazione che oggi persino un comitato indipendente delle Nazioni Unite definisce per quello che è: un genocidio contro la popolazione di Gaza.
Donne, uomini e bambini vengono privati di acqua, cibo, medicinali, della possibilità stessa di vivere. Con l’invasione dell’esercito a Gaza City e i bombardamenti incessanti, il governo Netanyahu – con il pieno sostegno dell’amministrazione americana – ha imposto deportazioni di massa e un’occupazione militare brutale, calpestando ogni logica umanitaria.
In queste ore l’emergenza è drammatica. Decine di imbarcazioni sono partite da porti europei e nordafricani: è la Global Sumud Flottilia, una missione internazionale per rompere l’assedio e portare cibo e medicinali alla popolazione stremata.
Care e cari,
come sapete nell'ambito del Collettivo di scrittura nato attorno al libro “Inverno liquido” da qualche tempo sto lavorando insieme ad alcuni di voi ad una nuova pubblicazione che ha come oggetto le “Nuove geografie ecosistemiche”.
Abbiamo fatto un paio di incontri da remoto, ne abbiamo discusso lo scorso anno nell'incontro in presenza del Collettivo a Puy de Champanesio, abbiamo realizzato un anno fa l'incontro a Dosoledo (BL) sulla “Regione che non c'è” ovvero sulla Regione Dolomiti per descrivere come il tema possa avere implicazioni territoriali molto significative, nel mese di aprile ho avuto il piacere di esporre il tema nell'ambito della Scuola di formazione politica Danilo Dolci di Roma, sempre in aprile abbiamo promosso con Slow Food del Trentino Alto Adige/Südtirol al Muse di Trento la presentazione del libro di Franco Farinelli “Il paesaggio che ci riguarda” dove ho potuto dialogare con l'autore proprio attorno ai temi delle nuove geografie. Grazie a Massimo De Marchi, il 30 giugno scorso abbiamo realizzato la visita al Museo di Geografia dell'Università di Padova e sempre Massimo ci ha fornito i materiali dell'ultimo congresso di geografia tenutosi recentemente a Torino nonché l'interessante catalogo della collana dedicata alle geografie della casa editrice Franco Angeli (vedi in fondo alla pagina il link di accesso).
Appuntamento domenica 27 luglio, alle ore 21.45, in Piazza del Duomo a Trento (analoghe iniziative si svolgeranno in tutto il Trentino)
L’assordante silenzio attorno al genocidio in corso a Gaza non è più accettabile. Come singole persone comuni, così come membri di associazioni, gruppi di attivismo e partiti politici, non abbiamo intenzione di smettere di far sentire la nostra voce perché le istituzioni locali, nazionali ed europee si attivino e facciano pressioni con tutti gli strumenti di cui dispongono non solo per arrivare nel più breve tempo possibile ad un cessate il fuoco, ma anche per favorire l’accesso nella Striscia di acqua, cibo, farmaci e quant’altro sia necessario per permettere alla popolazione civile di sfuggire alla morsa della carestia. Affamare un popolo è un crimine di guerra, uccidere minori, donne e uomini mentre sono in fila con una ciotola e tanta pazienza per una razione di cibo è quanto di più disumano si possa attuare.
di Marco Revelli *
(10 luglio 2025) Il cinque per cento del PIL!!! Quando al vertice NATO dell’Aja del 24 e 25 giugno il Segretario Generale dell’Alleanza Mark Rutte ha sparato quella cifra iperbolica, in molti hanno pensato che fosse una sorta di scherzo, come dire? Un corollario dell’imbarazzante messaggio grondante servilismo da lui indirizzato, la vigilia, a Donald Trump, da prendere come la captatio benevolentiae di un maggiordomo zelante priva di valore reale. Un grido nel buio per confermarsi di esistere…
Quella percentuale corrisponde a una cifra terrificante: quasi un trilione di euro. Mille miliardi che ogni anno i Paesi europei aderenti alla Nato si impegnano a spendere dal 2035 per il settore militare . Un malloppo che fa impallidire il già mostruoso ReArm Europe di Ursula von der Layen. E che costituisce più del triplo dell’attuale spesa militare dei Paesi UE consistente in circa 330 miliardi, mica poco dal momento che già ora(!) rappresentano il doppio della spesa militare russa, la quale nel 2024, in piena guerra con l’Ucraina, non ha superato i 150 miliardi.
di Nicoletta Dentico*
Da Gaza allo Yemen fino in Sudan: l’assenza di viveri divora milioni di persone. E svela le nostre ipocrisie sui diritti umani. Dalla rubrica di Nicoletta Dentico su Altreconomia
Fame è una parola ambigua, impersonale eppure materica. Un processo di lotta del corpo. In queste settimane la pronunciamo per denunciare il genocidio impunito che si mangia i bambini a Gaza, sotto gli occhi del mondo.
La parola è buona anche per i conflitti oscurati: vale per il Sudan, dove il congelamento dei fondi umanitari americani ha smantellato l’80% delle cucine comunitarie mettendo sotto scacco la vita di due milioni di persone, esposte alla penuria di cibo più grave e diffusa al mondo. Vale per lo Yemen: in nove anni di conflitto la fame qui si è incistata come una piaga cronica, mentre i tagli all’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid) hanno chiuso il programma per identificarne i focolai più gravi tra i bambini.