«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Thomas Benedikter *
In Alto Adige/Südtirol il supersfruttamento turistico si è fatto largo già da tanti anni. Oggi le cifre marcano questo territorio come una destinazione turistica per eccellenza in Europa ma questa industria, pur avendo già superato i limiti di sostenibilità ecologica e sociale, non smette di crescere.
Ne cito alcune per inquadrare il fenomeno: nel 2024 la regione ha registrato l’arrivo di 8,7 milioni di turisti e 37,1 milioni di pernottamenti turistici, scontando quelli nelle seconde case. Nonostante un limite massimo applicato alla costruzione di nuove strutture ricettive – freno legislativo del 2022 che non ha funzionato – il numero di letti prenotabili nel febbraio 2025 ha superato 260mila unità, quindi un letto turistico per ogni due residenti.
L’intensità turistica (pernottamenti per 1.000 abitanti) è quella più alta di tutte le Alpi orientali; la sua densità ricettiva (letti per chilometro quadrato) si trova sopra la media alpina. Tra le aree turistiche più assediate in tutta la penisola, nel 2024 ha raggiunto il terzo posto nella graduatoria delle regioni Nuts-II dell’Unione europea (intensità turistica). Il Comune di Castelrotto, settemila abitanti, nel 2024 ha registrato 1,8 milioni di pernottamenti, cioè quasi tre volte i residenti. Un ultimo dato significativo: l’Alto Adige/Südtirol ogni anno ospita un numero di turisti pari al 60-61% di quello annualmente registrato nell’intera Svizzera, destinazione turistica di fama mondiale e un Paese di nove milioni di abitanti.
di Federico Zappini
(20 settembre 2025) La fine dell’estate – con lo zero termico per giorni oltre i 5000 metri – è il momento giusto per una riflessione sul nostro rapporto con ambiente e territori montani. Per farlo però partirò dalla laguna veneziana e da una città d’arte, Roma.
Venezia. L’isola di Poveglia era stata messa in vendita dall’Agenzia del Demanio, con il rischio concreto di trasformarsi in resort di lusso. Solo la mobilitazione civica – con i comitati ad ottenerla in concessione, dopo dieci anni abbondanti di battaglia – l’ha sottratta alla speculazione, salvandone la sua identità naturalistica e culturale. Si apre ora una nuova fase di protezione attiva degli ecosistemi e valorizzazione responsabile degli spazi che saranno recuperati grazie a energie e competenze dei cittadin* attiv*.
Roma. Anche le superfici della Cappella Sistina subiscono gli effetti dell’overturism. L’elevato numero di visitatori compromette la conservazione degli affreschi, richiedendo interventi di restauro sempre più frequenti. La fruizione di massa di beni naturali o artistici mette a rischio ciò che ci siamo dati il compito di tramandare integro alle generazioni future.
Dolomiti. I crolli di questi anni – la Marmolada prima, la cima Falkner nel gruppo di Brenta poi – testimoniano la fragilità di quello che rappresenta un hotspot climatico, stressato da condizioni ecologiche e ambientali mutate radicalmente. Le Dolomiti patrimonio Unesco vedono ogni loro elemento a forte rischio: ghiacciai in ritirata e conseguente diminuzione delle acque a valle, foreste affaticate oppure che invadono disordinatamente prati aperti, qualità dell’aria che peggiora insieme all’aumento delle temperature, rocce e terreni instabili che amplificano il rischio di dissesto idrogeologico.
Il documentario sulla marcia in difesa della natura
lungo i torrenti Vanoi e Cismon e lungo il fiume Brenta. che da Canal San Bovo sono arrivate fino a Venezia per testimoniare la contrarietà all’ipotizzata diga in Val Cortella.
L'appuntamento è lunedì settembre, alle ore 20.30, presso l'Auditorium Valsugana e Tesino di Borgo
per vedere insieme il documentario che racconta questo cammino di resistenza e discutiamo sul tema.
Intervengono:
Angelo Orsingher, Comitato difesa torrente Vanoi
Tommaso Bonazza, Comitato Acque trentine
Viola Ducati, divulgatrice ambientale
di Rita Salvatore *
Nel riflettere sulle dinamiche socio-relazionali attualmente presenti in molti luoghi delle nostre montagne risuonano con particolare enfasi le parole che James Clifford scrisse alcuni decenni fa in un testo divenuto ormai un classico delle scienze sociali contemporanee, con riferimento alla categoria di cultura identitaria.
Le culture non sono mai né pure né statiche: sono costantemente in relazione, attraversate da scambi, conflitti, prestiti, traduzioni […] ogni cultura è frutto di viaggi, migrazioni, transiti. I frutti puri impazziscono. Le identità più forti, quando isolate, marciscono. Le culture non si conservano, si vivono – in relazione, in tensione, in traduzione […] l’ibridazione è la condizione stessa della modernità.
Dunque, se è vero – come è vero – che ogni realtà sociale è in continuo movimento, senza confini netti tra centro e periferia, tra città e campagna, tra pianura e montagna, allora questa verità ci appare ancora più evidente oggi, soprattutto quando ci immergiamo nei paesi delle terre alte. Qui ci sono anche quei luoghi che il Rapporto Montagne Italia 2025 dell’UNCEM racconta come segnati da una “stagione del risveglio”: un’espressione che dice molto. Perché qui, dove per anni si è solo parlato di spopolamento e di declino, oggi si intravede qualcosa di nuovo. Per la prima volta dopo molto tempo, tra il 2019 e il 2023, più persone sono salite in montagna per andarci a vivere di quante se ne siano andate via: quasi 100.000 in più. Ma la vera sorpresa è che oltre 64.000 di queste sono italiane. Giovani, spesso ben formati, con idee, progetti, voglia di fare. Non una fuga verso luoghi lontani e isolati, ma una scelta consapevole. Si tratta certo solo di un segnale, ma carico di significato. Un segnale che invita a riflettere, perché – al di là delle previsioni più fosche e della condanna implicita contenuta nel nuovo Piano strategico per le aree interne emanato dal governo, che sembra decretare l’irreversibilità dello spopolamento in alcune zone – la vita continua comunque a pulsare. Sotto la superficie, qualcosa si muove. Forse un nuovo inizio. Forse un altro modo di abitare la montagna, trainato da nuovi abitanti e da nuove pratiche di vita, ma che evidentemente ha bisogno di essere consolidato e sostenuto attraverso un’altrettanto nuova stagione politica, per potersi imporre come un cambiamento strutturale e non solo congiunturale.
di Federico Zappini
Le vicende dell’urbanistica milanese ci interrogano. Alle città e a chi le governa chiediamo giustizia sociale e cura delle fragilità o di affidarsi alla presunta capacità di autoregolazione del mercato? Il “modello Milano” è stato celebrato per la capacità di attrarre investimenti internazionali in nome della trasformazione in chiave moderna e cosmopolita della città. Quali sono però gli impatti negativi di un tale approccio sul tessuto sociale cittadino?
Lo scrittore Gianni Biondillo descrive così lo sbilanciamento tra potere pubblico e privato: “La città ha subito più che governato il cambiamento. Si è trasformata in una metropoli che vuole sedurre i nuovi ricchi e rendere sempre più agevole la vita di chi sta economicamente bene. Il problema, però, è che manca l’attenzione su tutto il resto.” Il cambiamento di Milano ha anteposto crescita e redditività a equità e inclusione. Sono raddoppiati prezzi per l’affitto e la vendita delle case, a redditi invariati. All’afflusso di nuova popolazione è corrisposta una forza centrifuga per migliaia di “vecchi” cittadin*.
Arci Brentonico, associazione "Vite intrecciate" e Sezione di Brentonico della Società Alpinisti Tridentini (SAT)
presentano la rassegna
La Montagna (non è) muta
Voci per un territorio che cambia
Domenica 10 agosto 2025, alle ore 18.00 presso il Rifugio FosCe, a San Valentino di Brentonico (TN)
Presentazione del libro
“Inverno liquido.
La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa”
Lo scrittore Marco Niro in dialogo con l'autore Michele Nardelli
di Luigi Casanova *
(17 luglio 2025) Si riflette poco, e si analizza ancora meno riguardo come i conflitti armati in atto incidano sull’ambiente. Si tratta di danni che si protrarranno in tempi lunghi, che verranno subiti e pagati per generazioni dalle popolazioni coinvolte: in Ucraina, Russia, Israele, Gaza, Cisgiordania, Libano, Iran, in Africa. La distruzione del pianeta in atto fa parte della stessa cultura mercantile che ovunque alimenta guerra. I danni provocati dalle guerre riguardano anche il destino delle forme di vita sul pianeta. Si tratta di danni imposti dall’aumento dei gasalteranti in atmosfera e la diffusione dell’inquinamento da sostanze che vengono rilasciate sui terreni: uranio impoverito, e molto, molto altro. Danni che si sommano allo strazio di vittime e dei sopravvissuti, al genocidio in corso a Gaza, genocidio del quale non si deve proferire parola. Migliaia di essere umani bombardati. Si uccide dal cielo e con i droni oggi: non ci si sporca le mani, forse nemmeno la coscienza. Nella sola Gaza molti morti, si parla di 300.000 corpi, sono ancora irrecuperabili, sepolti sotto le macerie. Altre, vedasi Ucraina, sono vittime civili, travolte da una guerra spietata e oltremodo insensata alimentata da una propaganda di un incivile occidente, un occidente che evita in ogni modo di sostenere una trattativa seria.