"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Francesco Picciotto
Primo Levi racconta, con un distacco da chimico e con un linguaggio “nuovo” che è appannaggio solo dei grandi scrittori, la realtà del lager. Lo fa in molte delle sue opere tornando spesso all’idea che si sia trattato, al di là della consapevolezza di chi l’ha voluto e dei volonterosi carnefici che l’hanno progettato e gestito, del più grande esperimento sociale della storia. Privare l’uomo della propria umanità e di tutto ciò che fa dell’uomo un uomo: il sonno, la sicurezza, il riparo, l’acqua, il cibo, perfino il nome e i capelli, vuol dire spostare un intero pezzo di umanità ad un livello della piramide dei bisogni che nemmeno Maslow aveva immaginato. Al di sotto quindi della prima fascia, al di sotto dei bisogni primari, in un luogo in cui molti saranno i “sommersi”, pochissimi i “salvati”.
All’interno di questo spazio che l’esperimento sociale del lager crea ex novo, vigono regole perniciose e inaccettabili, a volte strettamente correlate al funzionamento del lager, altre apparentemente incomprensibili e arbitrarie ma anch’esse funzionali allo scopo di sbarrare, cancellare, erodere la seconda parola della coppia “essere umano”. Sono regole al quale “l’essere” deve rispondere senza che ad esso sia richiesta alcuna comprensione, adesione, espressione della più superficiale delle volontà.
di Federico Zappini
E' difficile avvicinarsi al tema autonomia differenziata senza farsi cogliere da un doppio pregiudizio. Il primo riguarda il Ministro Roberto Calderoli, già noto per aver nominato la legge elettorale da lui stesso ideata Porcellum. Nomen omen. Il secondo invece deriva dalla storia della Lega Nord, che affonda le sue radici in un progetto politico apertamente secessionista. In crisi l'opzione nazionalista di Matteo Salvini si torna alle origini, con il nord (il lombardo-veneto come ambito geografico di riferimento) a rivendicare il proprio primato sul resto del Paese. Prima noi, giusto?
Due pregiudizi non bastano però se si analizza la questione con gli occhi di un territorio autonomo come il Trentino-Alto Adige. Non si possono scrollare le spalle dicendo che la riforma non ci riguarda direttamente o che per preservare il nostro status sarà sufficiente occuparsi della cosiddetta clausola dell'intesa, oggi alle prese con le fibrillazioni della compagine di Governo, a Roma come nelle due giunte provinciali. Autonomia non può significare mai, per nessuno, disinteresse per ciò che ci circonda. Questo approccio, per così dire difensivo, rischia di perdere di vista le implicazioni più ampie e strutturali dell'impianto proposto dalla norma in oggetto che riguarda l’intero assetto dello Stato, colpendo nel vivo il suo già fragile equilibrio istituzionale e socio-economico.
Il testo che oggi pubblichiamo - tratto dalla rivista Jacobin - offre une una chiave di lettura interessante sulla questione della cosiddetta "autonomia differenziata" che incrocia due sguardi provenienti da altrettante aree ai "margini", la Sardegna e la Venezia Giulia.
di Danilo Lampis e Riccardo Laterza**
Il regionalismo differenziato del governo va fermato perché rafforza i poteri economici esistenti. Ma la campagna referendaria non va condotta a difesa dello Stato Nazione: bisogna riappropriarsi da sinistra dei concetti di autodeterminazione e autogoverno.
Scriviamo, mentre il referendum contro ha superato di slancio il mezzo milione di firme raccolte online, da due punti di vista segnati dai contesti in cui viviamo: la Sardegna e una terra di confine, il Litorale meglio conosciuto in Italia con il nome di Venezia Giulia.
Abbiamo sottoscritto il referendum per una ragione su tutte: il combinato disposto tra la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento attraverso le intese, e la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. In sintesi, chi si è arricchito in questi decenni tratterrà maggiori risorse, chi è rimasto senza investimenti infrastrutturali e sui servizi, con una base produttiva debole e arretrata, resterà inchiodato alla sua condizione perché storicamente ha speso meno. In questo modo si cristallizzano sul piano legislativo le disuguaglianze territoriali sulle quali si è fondata e costruita nei decenni l’Italia unita, rafforzando il processo storico di addensamento di infrastrutture, capitale umano e sociale, capacità istituzionale, sistemi produttivi e reti di imprese nel cuore del Nord Italia. Un processo permesso dal centralismo statale e da dispositivi di colonialismo «interno» funzionali a uno sviluppo diseguale tra – pochi – centri e – molte e diverse – periferie, che hanno visto nella Sardegna sabauda un laboratorio anticipatore di ciò che in seguito sarebbe stato confermato con la «rivoluzione passiva» risorgimentale di gramsciana memoria.
Dopo la riflessione di Roberto Pinter sulla riforma Calderoli e la scelta referendaria, prosegue il confronto con l'intervento di Lorenzo Dellai.
di Lorenzo Dellai
Condivido pienamente le riflessioni di Roberto Pinter pubblicate sul quotidiano “Il T” nei giorni scorsi. Per come si sta sviluppando, la disfida sulla “Autonomia Differenziata” per le Regioni Ordinarie rappresenta uno dei segni più evidenti – certo non l’unico – del degrado della Politica italiana.
Il Governo di Destra (che si fonda in larga parte su una istanza nazionalista e statalista) ha fatto muro in Parlamento attorno ad una Legge che attua l’art. 116, terzo comma, della Costituzione. L’opposizione di Sinistra (che quella previsione costituzionale aveva voluto e votato, ancora nel 2001) raccoglie invece le firme per un Referendum popolare abrogativo di tale Legge, evocando lo spettro della “divisione” del Paese e della dissoluzione della sua “unità”.
Il Governo di Destra difende la sua proposta in forza di un patto interno fra le sue tre componenti attorno ai loro rispettivi “totem” (alla Lega l’Autonomia Differenziata; a Fratelli d’Italia il Premierato; a Forza Italia la riforma della Giustizia con la separazione delle carriere dei Magistrati). L’opposizione, dal canto suo, trova nella proposta referendaria abrogativa un terreno di intesa (tra i pochi) per il cosiddetto “campo largo”.
Si possono affrontare in questo modo le grandi e delicate questioni delle “Riforme” costituzionali ed istituzionali?
Prosegue il dibattito sulla riforma Calderoli e sul referendum contro l'autonomia differenziata. Oggi l'intervento di Roberto Pinter, pubblicato nei giorni scorsi dal quotidiano "Il T".
di Roberto Pinter
La legge Calderoli per l’Autonomia differenziata non è una buona legge, e anche se il primo passo è stato fatto con la riforma costituzionale voluta dal centrosinistra, nasce più per dividere che per cambiare, oggetto di compensazione rispetto al premierato e di difficile attuazione. E’ giusto provare ad affossarla con un’alleanza ampia che coglie l’occasione per mettere in difficoltà il governo Meloni.
In Trentino, più per partito preso che per convinzione, le destre difendono la legge Calderoli, e le sinistre sostengono il referendum abrogativo. Nessun dibattito, nessun confronto e così l’Autonomia speciale, a quanto pare, non ha nulla da dire o non vuol dire nulla rispetto alla riforma che comunque chiama in causa le Autonomie speciali.
Il problema non è il rischio immediato per la nostra Autonomia, ma quanto si sta registrando nel dibattito o meglio nello scontro in atto in Italia. Perché dalla opposizione al disegno di legge Calderoli si è ben presto passati all’opposizione all’Autonomia differenziata e oggi, a forza di semplificazioni, sono sempre di più gli slogan contro l’Autonomia punto e a capo.
A fine luglio si è svolto a Dosoledo (BL) l'incontro di un folto gruppo di persone provenienti dal Trentino, dall'Alto Adige Südtirol, dal Friuli, dalla provincia di Belluno e da altre aree marginali del Veneto per riflettere sulla Regione che non c'è, la regione ecosistemica delle Dolomiti (https://www.michelenardelli.it/diario-di-bordo/2024/07/). Fra le varie questioni ci si è confrontati anche sul tema della riforma Calderoli e sulla proposta di referendum abrogativo che ne è seguita, proponendoci di avviare una discussione per uscire dalla dimensione propagandistica e manichea con cui si sta affrontando questo delicatissimo tema. Con l'intervento dell'amico Giorgio prende dunque il via la pubblicazione su questo blog di una serie di interventi intorno alla questione.
di Giorgio Cavallo*
Quale sia il progetto politico a breve-medio termine dell’attuale maggioranza politica che governa l’Italia appare evidente. L’approvazione della legge sulla autonomia differenziata spalanca le porte al più rapido possibile percorso parlamentare per la modifica costituzionale relativa al Premierato e quindi alla definitiva trasformazione della Repubblica. Il progetto Renziano di accentramento del potere governativo troverà così una ben più radicale soluzione e, con molte probabilità il corpo elettorale in un referendum avrà perso molti degli anticorpi di difesa democratica che hanno portato al risultato del 2016 e tutto sommato potrebbe non disdegnare di identificarsi nella semplificazione del “capo”. D’altronde è dagli anni 90 del secolo scorso che abbiamo imparato a votare il leader o la persona (Sindaco, Governatore, preferenza unica, collegi uninominali) e non una proposta politica o amministrativa.
Oggi la sinistra immagina la battaglia contro l’autonomia differenziata come il primo tempo di una partita che poi forse giocherà fino ai supplementari per poter difendere i valori base della democrazia e della Costituzione. Per fare questo però ritiene che il consenso popolare possa derivare da una accentuazione propagandistica dei limiti di una legge squilibrata e di fatto inattuabile, in contenuti e in procedure, attraverso la mitizzazione di conflitti (nord contro sud, ricchi contro poveri) e la riproposizione garantista della efficienza di un percorso di centralizzazione della amministrazione dello stato.
di Soheila Javaheri
Quando percepisco delle sbarre invisibili, mi batto. Sento che angoscia e timore stanno entrando sotto la mia pelle e per distinguermi da loro ho bisogno di prendere le misure delle sbarre, devo percepire la loro dimensione, la distanza da me. È così che è nato il diario di una lettera immaginaria a Gaza.
Io e Jane eravamo sedute in The Albion Bar 15, in una via che porta alla piazza delle panchine bianche e delle piante fresche ma finte, davanti alla Ex School of Art and Free Library of Dudley. “Ex” perché abbandonata da tempo, oltre che messa all’asta dal Comune da due anni per essere venduta e sostituita con degli appartamenti. Abbiamo parlato della Palestina e poi di questo spazio dentro il quale sembrava impossibile poter parlare di Palestina. Jane mi ha raccontato che nella chiesa che frequenta, una delle più aperte in zona, aveva sentito alle sue spalle una donna di mezza età che, maledicendo i manifestanti pro Palestina a Londra, brontolava su questi ingrati che brandiscono una bandiera dimenticando la storia. Io prendevo questo e altri pezzi di notizie e non sapevo cosa farne, sembravano le forme e i colori accumulati in una scacchiera per me impossibile da leggere e distinguere, elementi che in loro presenza non mi permettono di vivere in pace.