"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Partito Democratico

Il tabù della patrimoniale
Povertà

di Roberto Pinter

(5 dicembre 2020) “Il Covid trascina 5 milioni e mezzo di italiani nel tunnel della povertà” che si aggiungeranno agli 8,8 milioni già certificati. A fronte di questa terribile notizia si registra anche, nell'ultimo anno, l'aumento di 125 miliardi dei depositi bancari!

Cosa vuol dire questo? Che le politiche redistributive e straordinarie attivate dopo il Covid non hanno avuto un effetto equo, visto che sono stati soldi anche a chi non ne aveva bisogno e troppo pochi a chi era in difficoltà. Che con l'epidemia aumentano i poveri e chi sta bene, non potendo spendere o preferendo non investire in questi tempi incerti, aumenta invece la propria ricchezza. Significativo che i grandi ricchi del pianeta abbiano visto in questi mesi un aumento vertiginoso del loro patrimonio finanziario.

Dunque la caduta economica colpisce in modo iniquo, impoverisce chi ha solo il lavoro e arricchisce chi ha i monopoli o vive di rendite.

 

 

La notte del PD
Sede PD chiusa

Quella che segue è la cronaca della notte delle candidature alla direzione del PD pubblicata su Huffington Post. Credo che il processo di trasformazione di questo partito o, meglio, la metamorfosi del progetto politico che stava nella sua Carta dei valori, l'idea di una sintesi originale in cui io come altri abbiamo provato a riconoscerci, si sia consumata da tempo. E' una notte lunga quella che segna questo partito. E non solo per effetto delle scissioni che via via ne hanno la segnato la vicenda (sotto questo profilo la scissione più significativa è quella avvenuta con l'abbandono da parte di più della metà degli iscritti e di un numero impressionante di elettori - http://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=3957) ma proprio nella rinuncia alla ragione fondante, quella di dar vita ad un soggetto politico capace di mettere in discussione il «modello di sviluppo che condanna milioni di persone e intere aree del pianeta alla povertà e che, se non subirà modifiche radicali, renderà la terra invivibile». Di questa radicalità nel Partito Democratico non c'è più traccia. Per questo ho scelto quattro anni fa di non farne più parte, cercando altrove lungo coordinate di ricerca diverse le strade possibili di un nuovo umanesimo. Ma il problema non è solo il PD: ho l'impressione che siamo al crepuscolo di un sistema politico (e sociale) che richiede un cambiamento profondo nello sguardo, nel pensiero e nelle forme dell'agire. Conto di ritornarci nei prossimi giorni. (m.n.)

 

 

Lacrime, rabbia, suppliche e litigi per le liste: così Renzi si è fatto il partito di Renzi

di Alessandro De Angelis *

La notte che trasforma il Pd. Anzi, la notte del Pd. Alle cinque di mattina Andrea Orlando è distrutto. Chiede, con voce tesa: "Si possono almeno avere le fotocopie delle liste? Fateci almeno sapere dove ci avete messo. Un'ora di tempo e riprendiamo". Emanuele Fiano ha l'incarico di rispondere che non c'è tempo.

Poco dopo inizia la direzione, sette ore dopo la prima convocazione. E dalla presidenza, per la prima volta nella storia, le liste vengono solo lette. Un lungo eletto di sommersi e salvati. Paolo Gentiloni, arrivato alle due di notte, è visibilmente imbarazzato. Soprattutto quando non viene pronunciato il nome di Claudio De Vincenti, il suo sottosegretario a palazzo Chigi. Uomini di governo, gente con una lunga storia alle spalle, anche di provata lealtà apprendono solo a quel punto il proprio destino. Senza un colloquio, un sms, un contatto col Capo. Al termine del lungo elenco, nero su bianco non resta nulla, alimentando nelle ore successive il sospetto di aggiustamenti, limature, ulteriori sostituzioni nonostante il passaggio ufficiale. Poche ore dopo, a metà mattinata il sole illumina il "partito di Renzi". Dal Nazareno escono mano per mano la neo candidata Francesca Barra, giornalista che conquistò Renzi con una non indimenticabile intervista a palazzo Chigi, col suo compagno Claudio Santamaria, il popolare attore che prima si schierò con Virginia Raggi, tranne poi dichiarare poco tempo fa la sua delusione.

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Un Patto per l'Autonomia
Autonomia

Il 2018 è per il Trentino e per l'Autonomia Provinciale un anno importante: le elezioni politiche che probabilmente aggraveranno una fase politica segnata dall'incertezza e poco favorevole ad una visione che guardi al territorio e all'Europa in modo aperto; le elezioni regionali che misureranno la tenuta della coalizione di centrosinistra autonomista e ne definiranno limiti e ambizioni. E' utile affrontare il 2018 provando a condividere una visione dell'Autonomia, che non potrà confidare nell'attuale peso parlamentare e che dovrà ridefinire le proprie prospettive, non solo statutarie ma soprattutto identitarie. Si tratta di non dare per scontato un patrimonio costruito nel tempo, è necessario difenderlo innovandolo e agendo in un campo più largo e con ambizioni maggiori.

L'iniziativa di dibattito che si è tenuta a Villa Lagarina lunedì sera, e che si inserisce nel percorso avviato da PD e UPT, è stata un'occasione per provare ad interrogarsi tutti quanti su quelle che sono le esigenze del Trentino, non solo per la tenuta delle sue Istituzioni e delle sue risorse, ma anche per la qualità dell'essere Comunità.Coordinati da Alessio Manica, Lorenzo Dellai, Alberto Pacher e Roberto Pinter – che a diverso titolo hanno condiviso una stagione dell'Autonomia – hanno posto il tema di una nuova stagione, provando ad alzare l'asticella della scommessa di questo territorio.

Un dibattito aperto (a seguire il mio intervento nella serata) e molto partecipato, che non ha già definito il punto di approdo e che per questo merita l'attenzione di tutti quelli che hanno a cuore il futuro del Trentino e dell'Autonomia (r.p.)

 

di Roberto Pinter

Ad un anno dalla scadenza elettorale sarebbe fondamentale condividere un patto per l'Autonomia che si esprima alle prossime elezioni politiche in coerenza con il programma di governo provinciale: sono tanti i segnali di preoccupazione, la scarsa consapevolezza della nostra specialità, la sconfitta referendaria di Renzi ma non del centralismo, l'indebolimento europeo e le vittorie della destra, lo scenario elettorale che si prospetta, lo stato della coalizione di centrosinistra autonomista… C'è bisogno di obiettivi chiari, a partire dalla tenuta dell'Autonomia.

L'autonomia e lo Statuto

Il prevedibile insuccesso delle procedure partecipative avviate per la revisione dello Statuto hanno dimostrato che in assenza di una volontà politica non basta ricorrere alla volontà popolare. Non si può ridurre la revisione dello Statuto ad un esercizio accademico o ad una somma di procedure partecipative, che peraltro hanno registrato una scarsa attenzione.

Quel che il voto ci può insegnare
Creuza de ma

di Michele Nardelli

 

(1 luglio 2017) A voler capire, l'esito dei ballottaggi nelle elezioni amministrative di giugno ci racconta molte cose.

1. Indifferenza

L'astensione al voto ha raggiunto livelli a dir poco preoccupanti. Se quello dei Sindaci e delle amministrazioni locali è un ambito pubblico che ancora tiene nella considerazione dei cittadini (al sesto posto su 17 figure politico-istituzionali1), il fatto che abbia votato il 46 per cento degli aventi diritto ci dice del livello che ha raggiunto la crisi dell'attuale assetto democratico. Non è solo distanza, è invece insofferenza e forse anche indifferenza. Come se avessimo a che fare con istituzioni inutili delle quali si può fare anche a meno. Perché in fondo i luoghi delle decisioni sono altrove. Vi ricordate il Belgio rimasto senza governo per quasi due anni? Anche questo è la post-politica.

Ma insofferenza ed indifferenza non nascono da sole, sono i sintomi di un male più profondo che ha a che fare con quello che i partiti sono diventati, sotto il profilo della loro rappresentatività, su quello della capacità di comprendere ed interpretare il presente come di essere portatori di un progetto di società. Partiti sempre più verticali, progressivamente diventati macchine elettorali, intrisi di una cultura maggioritaria che ha trasformato il ruolo stesso delle istituzioni in proprietà di chi vince.

2. Roccaforti addio

Se la prima forma di mobilità elettorale è quella dal voto al non-voto, la fine delle appartenenze ha progressivamente fatto sì che il voto venga dato (e tolto) con grande fluidità. Se c'è un dato che salta agli occhi di queste elezioni amministrative è la definitiva scomparsa delle raccaforti elettorali. Genova “la rossa” elegge per la prima volta nella storia repubblicana un sindaco di destra. La città dell'antifascismo, la città dei Camalli (i lavoratori del porto) e dei ragazzi con le magliette a strisce2, la città di “Crêuza de mä” e delle tante creature di Fabrizio De Andrè, la città di Andrea Gallo e della Comunità di San Benedetto al Porto...

Città simbolo oggi piegate, come Sesto San Giovanni, chiamata un tempo la Stalingrado d'Italia per il ruolo avuto nella Resistenza al nazifascismo e successivamente per i numeri del consenso al PCI nel secondo dopoguerra, anch'essa finita nelle mani della destra.

No, nella società liquida non c'è più nulla di scontato. Dovremmo rifletterci, anche qui, in questa nostra terra dove l'anomalia che ci ha tenuti al riparo per quasi vent'anni dallo spaesamento è pressoché svanita nel nulla.

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Distanze
Capovolgimenti

Tempi interessanti (61)

(23 febbraio 2017) Nell'osservare il triste spettacolo che si consuma in questi giorni nel Partito Democratico avverto soprattutto distanza. Certo, c'è anche l'amarezza per il definitivo consumarsi di un progetto nel quale avevo creduto, l'idea che potesse nascere un soggetto politico che, nel portare a sintesi le migliori culture politiche del campo democratico, fosse in grado di esprimere un pensiero capace di rappresentare un'alternativa originale al neoliberismo dominante. “Abitare i conflitti” mi dicevo e dunque perché non provarci anche in un partito che nasceva consapevole dell'inadeguatezza tanto dei partiti precedenti, quanto delle culture politiche novecentesche dalle quali proveniva? ...

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La crisi del Partito Democratico
Un momento dell'assemblea nazionale del PD (foto Ansa)

di Roberto Pinter*

(21 febbraio 2017) Ho seguito sconfortato i lavori dell'assemblea nazionale del PD. Non tanto per quello che è stato detto, che a parte qualche eccezione è stato un dibattito all'altezza del dramma vissuto dal partito, ma proprio per la mancanza di rispetto che a parole era stato invocato dal segretario.

Le espressioni di insofferenza di chi mal sopporta l'altro la dicono più lunga di ogni altra frase e applauso di circostanza: mentre i Veltroni di turno si prodigavano per richiamare il progetto originario, buona parte della platea applaudiva solo chi si adeguava alla linea dettata da Renzi per nulla preoccupata di una possibile scissione.

L'unica possibilità di evitare una scissione era nelle mani di Renzi e Renzi, abilissimo a cogliere le contraddizioni della minoranza,non ha mosso un solo dito, anzi ha rincarato la dose guardandosi bene da qualsiasi autocritica (sembra che il referendum l'avesse vinto) e sfidando gli avversari.

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Una ricerca che proseguirà altrove
11 novembre 1989

(gennaio 2015) La pagina relativa al Partito Democratico del Trentino finisce nel 2014. Il motivo è molto semplice: non ci credo più. La mia adesione al PD del Trentino (che almeno in cuor mio non implicava necessariamente l'adesione anche al PD nazionale) era fortemente legata a quel percorso che iniziammo nei primi anni '90 attraverso una sperimentazione politica originale che ha fortemente contribuito a rendere possibile l'anomalia politica trentina. Sì, perché a partire da allora questa terra prima democristiana (e dove la sinistra contava poco o nulla) ha iniziato a rappresentare anche sul piano più strettamente politico, negli anni dove l'intero arco alpino era pesantemente segnato dalla paura e dallo spaesamento (e dalle rappresentazioni politiche di tutto questo), un'anomalia. 

 

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