«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Michele Nardelli
(29 luglio 2025) Qualche mese fa è stato presentato dalla sezione di Trento dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) il docu-film “Hanno occupato il Santa Chiara”, dedicato ad una delle più importanti e significative iniziative di lotta degli anni '70 nella città di Trento. La grande sala del Teatro Cuminetti di Trento era gremita di gente, molti i capelli bianchi e, fra questi, molti dei protagonisti di quell'occupazione, un atto di illegalità che contribuì a cambiare il volto della città. Se oggi Trento è in cima alle graduatorie, per quanto effimere, sulla qualità del vivere e tanto apprezzata dai suoi visitatori, è anche grazie all'impegno di quelle persone e dei Comitati di Quartiere che, a partire dal Centro storico, si diffusero nei quartieri cittadini più popolosi, da Piedicastello a Cristo Re, da San Giuseppe/San Pio X a San Bartolomeo e, a seguire e in forme analoghe, in altre aree urbane. Sarebbe importante che questo movimento trasformativo venisse riconosciuto esplicitamente anche da parte delle istituzioni. E, a questo proposito, voglio ricordare che nel Centro Santa Chiara (ora in corso di ristrutturazione) non c'era alcun segno a ricordo di quel pezzo di storia.
Quella sera al Teatro Cuminetti fra i capelli bianchi c'erano anche i miei. Ma in cuor mio quelli che mi mancavano erano quelli negli ultimi anni un po' ingrigiti di Matteo. Perché se quell'occupazione è stata possibile, se per almeno due mesi quel presidio, fatto di incontri e parole, musica e momenti festosi (e quel che serviva a rendere possibile tutto questo, giorno e notte, dalla pulizia all'allaccio della corrente elettrica) lo si deve in particolare a quell'uomo timido e a volte scontroso ma dal sorriso buono e accattivante che era Matteo Di Menna.
«Benvenuta la vita». Con queste parole Emilio e Tina, più o meno tre settimane fa, hanno salutato l'arrivo nella nostra casa di Baloo, un cucciolo di pastore maremmano che vi ha fatto irruzione con la gioia di chi scopre la vita.
Se c'è un'espressione che forse più di altre può dirci di Emilio Molinari, credo sia proprio questa, benvenuta la vita. Potrebbe sembrare banale, perché certamente Emilio è stato, nel suo impegno sociale e politico, tanto anzi, tantissimo altro. Ma nel suo percorso umano che pure si intreccia indissolubilmente con quello politico, questo tratto – la gioia di vivere – emergeva più di ogni altro. Nell'affrontare le sfide sempre nuove che gli si presentavano davanti, nella curiosità con la quale si apriva al mondo, nella sensibilità del rinnovare il pensiero come nel non arrendersi alle patologie che di volta in volta si è trovato ad affrontare. Emilio amava la vita come pochi. Ha attraversato il suo tempo con la voglia di esserci e insieme di comprenderne i segni.
Basterebbe percorrere il suo tragitto per comprenderlo. Emilio è stato parte di una generazione nella quale un perito industriale della Borletti poteva divenire classe dirigente. Minoranza politica, s'intende, ma capace di declinare la condizione operaia con la conoscenza dei processi produttivi, la vita reale con lo sguardo sul mondo. E di trasferire questo sapere fin dentro le istituzioni della sua città, la Milano a cavallo fra gli anni '60 e '70, quel «laboratorio unico che produsse l'autunno operaio più lungo e il conflitto sociale più ricco» dove «si mischiavano volontà di cambiare e serietà, ideali forti con moderazione e ordine, fede e bisogno di cose concrete, ragionate, non urlate, non banalizzate in frasi ad effetto...»1. Era la milanesità che amava anche a dispetto dei tempi, straordinariamente raccontata da Enzo Jannacci in “Ohe! Sun chi”2, brano che nel nostro viaggiare ascoltammo con emozione.
Venerdì 21 febbraio 2025, alle ore 18.00
presso l'Officina dell'Autonomia della Fondazione Museo Storico del Trentino (via Tommaso Gar 29, Trento)
ci sarà la presentazione del libro di Simone Malavolti
«Nazionalismi e “pulizia etnica” in Bosnia-Erzegovina. Prijedor 1992-1995»
(Pacini editore, 2024)
Prijedor, cittadina bosniaca di quella che un tempo era la Jugoslavia, sale alla ribalta della cronaca internazionale per le terrificanti immagini dei corpi emaciati dietro il filo spinato di un campo di concentramento. E' solo la punta dell'iceberg di un progetto iniziato con l'occupazione militare della città da parte dei nazionalisti serbi nella notte del 30 aprile 1992. Un'escalation di violenza di massa che provocherà la fuga e la deportazione di migliaia di cittadini, l'internamento di circa 5000 persone, l'uccisione di oltre 3000 individui, la distruzione di interi villaggi e l'imposizione di una memoria pubblica unilaterale e negazionista.
Introduce e modera
Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino
Intervengono in dialogo con l'autore Simone Malavolti
Annalisa Tomasi, Associazione Progetto Prijedor
Marco Abram, Osservatorio Balcani Caucaso – TransEuropa
Michele Nardelli, scrittore, già presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani
Incontro promosso dalla Fondazione Museo Storico del Trentino
Incontro di presentazione del libro di Simone Malavolti
«Nazionalismi e “Pulizia Etnica” in Bosnia Erzegovina. Prijedor (1990 - 1995)»
Pacini Editore, 2024
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Martedì 21 gennaio 2025, ore 18.00
presso il Circolo ARCI – Vie Nuove
Viale Giannotti 13 - Firenze
§§§
Un incontro dedicato alla storia e alla memoria di uno dei capitoli più drammatici della dissoluzione jugoslava. Prijedor, teatro di atrocità negli anni ‘90, diventa il centro di un’analisi che intreccia ideologia, violenza, media e geopolitica.
Intervengono
Simone Malavolti, autore e storico specializzato nei paesi jugoslavi
Luca Bravi, Dipartimento Forlilpsi, Unifi, esperto di memoria e Bosnia-Erzegovina
Michele Nardelli, scrittore e co-fondatore dell’Osservatorio Balcani e Caucaso
Partner dell’evento
Istituto Storico Toscano della Resistenza
Pacini Editore
Luoghi di noi
Un pregetto di INU - Istituto Nazionale di Urbanistica (Trentino)
Presentazione del film documentario
HANNO OCCUPATO IL SANTA CHIARA
di Andrea Andreotti
con la partecipazione di Roberto Bortolotti, Andrea Brighenti, Pierluigi Faggiani, Paolo Fedel, Luciano Martinello, Michele Nardelli, Valeria Zamboni
Sabato 14 settembre 2024. ore 20.30
a Trento, presso il Teatro Cuminetti, in via Santa Croce
Ilan Pappe
La pulizia etnica della Palestina
Fazi Editore, 2008
«Nel 1948 nacque lo Stato di Israele. Ma nel 1948 ebbe luogo anche la Nakba (catastrofe), ovvero la cacciata di circa 250.000 palestinesi dalla loro terra. La vulgata israeliana ha sempre narrato che in quell'anno, allo scadere del Mandato britannico in Palestina, le Nazioni Unite avevano proposto di dividere la regione in due Stati: il movimento sionista era d'accordo, ma il mondo arabo si oppose; per questo, entrò in guerra con Israele e convinse i palestinesi ad abbandonare i territori - nonostante gli appelli dei leader ebrei a rimanere - pur di facilitare l'ingresso delle truppe arabe. La tragedia dei rifugiati palestinesi, di conseguenza, non sarebbe direttamente imputabile a Israele. Ilan Pappe, ricercatore appartenente alla corrente dei New Historians israeliani, ha studiato a lungo la documentazione (compresi gli archivi militari desecretati nel 1998) esistente su questo punto cruciale della storia del suo paese, giungendo a una visione chiara di quanto era accaduto nel '48 drammaticamente in contrasto con la versione tramandata dalla storiagrafia ufficiale: già negli anni Trenta, la leadership del futuro Stato di Israele (in particolare sotto la direzione del padre del sionismo, David Ben Gurion) aveva ideato e programmato in modo sistematico un piano di pulizia etnica della Palestina...».
L'8 febbraio di quaranta anni fa a Sarajevo prendevano il via i Giochi Olimpici Invernali, una degli eventi, non solo sportivi, più riusciti e ricordati della storia della ex Jugoslavia
di Edvard Cucek *
(8 febbraio 2024) L'8 febbraio 2024 ricorrono quaranta anni da quando nella capitale della Bosnia Erzegovina, Sarajevo, fu accesa la fiamma olimpica. L’idea di organizzare i Giochi olimpici invernali in città era partita da un gruppo di appassionati di sport ed era stata ufficializzata il 16 ottobre del 1977. Era la seconda volta che un paese comunista si aggiudicava l’organizzazione dei giochi olimpici, prima di allora c’era stata l’Unione Sovietica con Mosca 1980, ma Sarajevo è stata la prima e ultima per le Olimpiadi invernali. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) il 19 maggio 1978 scelse Sarajevo come sede dei XIV Giochi Olimpici con 36 voti su 39, al secondo giro di votazioni. La città sulla Miljacka ebbe la meglio sulla giapponese Sapporo e la svedese Göteborg.
I preparativi durarono sette anni ed i risultati sorprendenti ottenuti dal comitato organizzativo dei Giochi olimpici furono merito di Emerik Blum, ex dirigente dell’azienda energetica bosniaca “Energoinvest” e sindaco di Sarajevo tra il 1981 e il 1983. Blum riuscì in poco tempo a rendere la città moderna e pulita terminando i lavori di gassificazione che erano stati avviati alla fine degli anni Sessanta. Una delle condizioni imposte dal CIO infatti era quella di avere l’aria pulita. I cittadini di Sarajevo - dopo secoli di riscaldamento a legna e carbone - poterono finalmente respirare anche in inverno e godere della neve bianca anche in città. Emerik Blum fece appena in tempo a vedere i risultati strepitosi del suo impegno di una vita. Si spense, infatti, qualche mese dopo la fine dei giochi, nel giugno del 1984.