"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
"Un viaggio di ritorno, un libro scritto a metà, una comunità di pensiero" (26 giugno - 3 luglio 2024). Il racconto.
di Domenico Sartori
Emozioni e paure
Partiamo dalla fine. “La mia follia è rimanere qui”. Incontriamo Darko Cvijetic al motel Le Pont. Insieme al “condominio rosso” dove ancora abita è il suo rifugio quando ritorna a Prijedor, in quella parte di Bosnia Erzegovina chiamata Republika Srpska. Poeta, scrittore, drammaturgo, attore, Cvijetic ha appena pubblicato l’ultimo romanzo della trilogia aperta con L’ascensore di Prijedor (uscito in Italia con Bottega Errante Edizioni). Il protagonista è un criminale di guerra, che ritorna dopo venticinque anni di galera. “Il criminale è cambiato, tutto il resto è rimasto come prima”. E la comunità non può accettarlo: è uno specchio che ne riflette l’immagine. “Perché” dice il romanziere “il criminale di guerra è un potenziale che ognuno di noi ha dentro”. Michele sorride, ne parla spesso nelle sue riflessioni sulla guerra.
E’ il tema, enorme, dell'elaborazione del conflitto. Senza, le guerre non finiscono mai. Elaborare. Conoscere. Guardarsi dentro. E’ fatica, dolore. Qui sta la tragedia. Il passato che non passa. Lo scontro solo “congelato” dagli accordi di Dayton (fine 1995) che hanno fermato le granate e la guerra in Bosnia Erzegovina. Un equilibrio precario dentro la geopolitica globale, l'altra guerra mai risolta fra Serbia e Kosovo, quelle in Ucraina e in Palestina, l’Europa dove risorgono sovranismi, fascismi e nazionalismi, gli Usa a rischio guerra civile. Un “equilibrio” che pare stare bene a tutti i principali attori. Se non altro perché, dentro la tregua, il grande business nei Balcani continua: quello delle privatizzazioni e delle delocalizzazioni, dell’energia e delle materie prime, dei traffici e del real estate. Ne è emblema la cementificazione del lungofiume di Savamala a Belgrado, voluta dall’attuale presidente della Repubblica, Aleksandar Vucic. Dalla fortezza di Kalemegdan, l’imponenza del gigantesco affare immobiliare, il progetto Belgrade Waterfront, taglia l’orizzonte: hotel di lusso, il più grande centro commerciale dei Balcani, 10 mila appartamenti riservati alle élite, 4 miliardi di euro di investimento, la Eagle Hills Company di Abu Dhabi protagonista.
Dal 26 giugno al 3 luglio 2024, dopo una lunga assenza, sarò di nuovo nel cuore balcanico dell'Europa.
Lo scopo di questo viaggio è ben sintetizzato dal titolo della lettera (la trovate in allegato) che ho inviato ad una serie di amici e testimoni prvilegiati della regione: un viaggio di ritorno, un libro scritto a metà, una comunità di pensiero.
Persone con le quali ho condiviso a partire dagll'inizio degli anni '90 iniziative di solidaretà, progetti di cooperazione, sguardi e pensieri o che ho conosciuto ed apprezzato attraverso i loro scritti e il loro impegno sociale, culturale e politico.
Nel corso del viaggio, con ognuno di loro, avremo altrettanti momenti di conversazione sul presente e sul futuro di questa parte, per certi versi cruciale, dell'Europa.
Un viaggio durerà otto giorni lungo un itinerario che ci porterà a Zagabria e Osijek (Croazia), Belgrado, Nis, Kraljevo (Serbia), Mostar, Sarajevo, Srebrenica, Tuzla, Banja Luka e Prijedor (Bosnia Erzegovina), che avrà un seguito nel mese di agosto a Trieste e nel Carso e, successivamente, in un nuovo viaggio in Macedonia del Nord, Albania e Kosovo. Nonché in una serie di interviste/conversazioni da remoto con le persone che in questa occasione non avremo potuto raggiungere o incontrare perché impegnati altrove.
di Michele Nardelli
(17 luglio 2024) Non ho mai tenuto il conto dei viaggi balcanici, prima della guerra degli anni '90 e soprattutto successivamente, quando questa parte di Europa è diventata ai miei occhi – come uso dire – uno straordinario caleidoscopio sulla modernità. Ma di certo quello dal quale sono da poco rientrato, sul piano del confronto con gli interlocutori nelle nostre conversazioni come su quello emotivo, ha lasciato il segno. Per la deriva autoritaria che segna i paesi attraversati, per la devastazione sociale e l'assenza di futuro che induce chi ne ha la possibilità ad andarsene (ma non tutti), per il diffuso disincanto verso il progetto politico europeo, ma anche per le connessioni di pensiero che ne sono venute. E per il piacere di riabbracciare persone che non vedevo da tempo e avvertire la profondità delle relazioni costruite.
Ad accompagnarmi in questo viaggio ci sono stati Snjezana Djuricic e Domenico Sartori. Snjezana, oltre che raffinata interprete, attenta osservatrice delle cose del mondo, senza la quale questo viaggio non sarebbe stato possibile. Domenico, giornalista e amico con il quale abbiamo condiviso tratti importanti di lavoro sulla comunità trentina, pressoché nuovo (se escludiamo la sua partecipazione nel settembre 2003 al viaggio di Osservatorio Balcani che collegò attraverso il Danubio Vienna con Belgrado) in questa parte di Europa. Alla fine del nostro viaggio, nel suo quaderno di appunti non c'erano più pagine bianche.
Nel settembre scorso si è svolto un nuovo capitolo del “Viaggio nella solitudine della politica” che aveva come titolo “Dal Meriggio alla Mezzanotte”. Un viaggio ispirato al pensiero di Albert Camus, al quale avevamo reso omaggio lo scorso anno proprio a conclusione del precedente itinerario.
Avrei voluto scriverne a caldo, ma fra una cosa e l'altra non è stato possibile. In compenso le immagini e le sensazioni si sono sedimentate, così come il senso di questo nostro viaggiare. Lo spazio e il tempo per aiutarci a comprendere come cambia il mondo e come cambiano i nostri occhi.
Per stare al mondo in maniera curiosa e responsabile.
§§§
di Michele Nardelli
«Quale miglior paragone
alla speciale intelligenza di questo popolo,
del tremolar della marina?
Badate: i Greci sono colonizzatori. Sempre stati.
Ma colonizzano le spiagge:
in Asia minore, in Italia, a Marsiglia.
Non s'inoltrano.
Sanno che a perder di vista il mare,
si perde il tremolar della marina:
si perde l'intelligenza”»
Alberto Savinio
“Dal meriggio alla mezzanotte”. Era questo il titolo dell'ultimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” giunto così alla sua quattordicesima puntata1. Che ci ha portati ad attraversare il cuore prometeico dell'Europa, quegli imperi (tedesco e austroungarico) che costituirono l'ossatura del Terzo Reich e quelle terre che vennero segnate dal delirio di potenza che caratterizzò tragicamente il Novecento.
Il 14° itinerario del "Viaggio nella solitudine della politica"
6 - 14 settembre 2023
La fine degli imperi e il delirio degli Stati nazionali.
Fra gli splendori e le macerie del Novecento
L'ultimo degli itinerari del “Viaggio nella solitudine della politica” – quando la pandemia sembrava essere archiviata – ha avuto come teatro l'Andalusia. Una meta pensata da tempo come un'immersione in quel tratto di Europa che fu protagonista nel Medio Evo di un movimento di cultura e di pensiero che, a guardar bene, fu alle radici del Rinascimento europeo.
All'attraversamento mediterraneo dobbiamo infatti gran parte delle conoscenze e dei saperi che venivano da Oriente, quando l'età dell'oro aveva come epicentro grandi città come Damasco e Baghdad. Una verità rimossa o cancellata insieme ai roghi dell'immenso patrimonio di biblioteche e di volumi della tradizione amanuense che ornavano città come Siviglia, Granada, Toledo e Cordoba, quest'ultima (definita l'ornamento del mondo) – con i suoi 450 mila abitanti nell'anno 1000 – la più grande città europea (e a livello mondiale, seconda solo ad Angkor in Cambogia).
Report sul 14° viaggio nella solitudine della politica "Dal meriggio alla mezzanotte" (6-14 settembre 2023)
di Micaela Bertoldi
Anziché seguire l’orma di Milan Kundera con il suo libro del riso e dell’oblio, o di quello sulla leggerezza dell’essere, voglio annotare i passaggi disimpegnati di questo nostro macinare chilometri su chilometri. Al posto di un libro solo “un report” dal titolo “Report dell’amicizia e del pensiero condiviso”, potrei dire.
Parto con il racconto delle avventure del pulmino Volkswagen di Michele, da lui guidato con Claudio ed Enzo. Tre autisti, ottimi tutti. Meno ‘ottima’ la macchina che ci ha riservato alcuni grattacapi, per dirla con eufemismo. Basti pensare alla faccia sconsolata di Michele a ogni nuovo problema incontrato.
Per iniziare, poco dopo Innsbruck, la ruota davanti a destra è saltata: letteralmente stracciato il copertone. Per fortuna che nei pressi c’era un provvidenziale slargo e che la ruota fosse quella davanti a destra: in autostrada fra Tir ed auto che sfrecciano l’operazione di cambio già difficile di suo, sarebbe stata pericolosissima. Grande Enzo, nello svitare i bulloni stretti e arrugginiti, grande il lavoro di squadra fra lui e Claudio. Il resto di noi, se ne stava perlopiù attonito a osservare cosa sarebbe successo.
Un viaggio di ascolto, dentro un pericoloso silenzio
di Federico Zappini *
Dovevamo essere 5mila. Siamo arrivati a Kiev in poco più di cinquanta. Non deve essere letta come una sconfitta questa composizione ridotta della delegazione – anche per motivi di sicurezza, necessariamente stringenti in un paese in guerra – ma come stimolo al dare corpo a mobilitazioni sempre più vaste (oggi colpevolmente assenti, ci tornerò) in grado di fornire una massa critica sufficiente a livello europeo per chiedere/imporre l’interruzione dell’invasione russa e un contestuale percorso diplomatico che dia continuità e solidità alla pace, oggi interrotta e ferita.
Il primo avamposto del Mean (Movimento Europeo di Azione Non Violenta) è un gruppo eterogeneo di uomini e donne che – questo il tratto distintivo della missione appena conclusa – ha condiviso l’idea di un viaggio basato sull’ascolto dei propri interlocutori in Ucraina, di un’esperienza dialogica che accetta la complessità e le contraddizioni di uno scenario di guerra e dei dolori e dell’incertezza cui essa costringe da più di cinque mesi milioni di persone dentro e fuori i confini ucraini.
Un percorso di ricerca e confronto che si basa su una duplice urgenza, perfettamente descritta da Marianella Sclavi, una delle principali animatrici del progetto. Dobbiamo sentirci tutte e tutti coinvolti da un conflitto che a poche centinaia di chilometri dall’Italia e nel cuore dell’Europa da più di centocinquanta giorni terrorizza, colpisce e uccide la popolazione civile ucraina, sotto scacco di una ingiustificabile aggressione. Essere presenti a Kiev l’11 luglio ha significato prima di tutto questo. “Per sentirci e agire in modo umano serve il contatto, la presenza in comune” ci ha ricordato Angelo Moretti, altra anima ispiratrice di questa concreta e visionaria esperienza.
Contestualmente dobbiamo essere consapevoli che rompere il silenzio che stava calando attorno alla guerra – in una caldissima e faticosa estate, dove le crisi globali si sommano e moltiplicano – presuppone l’idea di coltivare e sperimentare l’ambizione di essere con i propri corpi innesco di iniziative non violente (di diplomazia e cooperazione, di confronto e di mobilitazione popolare) che affianchino, indeboliscano e, il prima possibile, sostituiscano il linguaggio della guerra e delle armi, oggi predominante.