"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

"La maledizione di vivere tempi interessanti"

Il maggiore dei mali

La grande sete della Sicilia e la nostra normalità

di Francesco Picciotto

In questo tempo assurdo ed inquietante molti di noi cominciano a porsi, come fossero mantra, come fossero auspici, interrogativi inquietanti ed assurdi: “ma una cosa esclude l’altra?”, “ho ancora un ruolo su questo pianeta oppure è meglio ritirarmi in pace da qualche parte?”, “devo proprio trovare l’indirizzo da apporre alla mia personalissima busta?”, e infine “quale è il minore dei mali?”. ...

... Credo che il male maggiore stia nella “normalità” che mi circonda, in una umanità che abita questa isola e che si prepara a vivere in perfetta inconsapevolezza l’ennesima estate vacanziera. Credo che il male maggiore stia in un incredibile meccanismo di rimozione che riguarda la maggior parte delle persone di questo posto e che le porta a dire: “si troverà una soluzione...forse pioverà...ma figurati se non superiamo anche questa crisi...se non troviamo una soluzione anche a questo problema”...

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Primo piano

  • Darko Cvijetic

    L'Europa vista dai Balcani, fra aspettative e disincanto.

    "Un viaggio di ritorno, un libro scritto a metà, una comunità di pensiero" (26 giugno - 3 luglio 2024). Il racconto.

    di Domenico Sartori

    Emozioni e paure

    Partiamo dalla fine. “La mia follia è rimanere qui”. Incontriamo Darko Cvijetic al motel Le Pont. Insieme al “condominio rosso” dove ancora abita è il suo rifugio quando ritorna a Prijedor, in quella parte di Bosnia Erzegovina chiamata Republika Srpska. Poeta, scrittore, drammaturgo, attore, Cvijetic ha appena pubblicato l’ultimo romanzo della trilogia aperta con L’ascensore di Prijedor (uscito in Italia con Bottega Errante Edizioni). Il protagonista è un criminale di guerra, che ritorna dopo venticinque anni di galera. “Il criminale è cambiato, tutto il resto è rimasto come prima”. E la comunità non può accettarlo: è uno specchio che ne riflette l’immagine. “Perché” dice il romanziere “il criminale di guerra è un potenziale che ognuno di noi ha dentro”. Michele sorride, ne parla spesso nelle sue riflessioni sulla guerra.

    E’ il tema, enorme, dell'elaborazione del conflitto. Senza, le guerre non finiscono mai. Elaborare. Conoscere. Guardarsi dentro. E’ fatica, dolore. Qui sta la tragedia. Il passato che non passa. Lo scontro solo “congelato” dagli accordi di Dayton (fine 1995) che hanno fermato le granate e la guerra in Bosnia Erzegovina. Un equilibrio precario dentro la geopolitica globale, l'altra guerra mai risolta fra Serbia e Kosovo, quelle in Ucraina e in Palestina, l’Europa dove risorgono sovranismi, fascismi e nazionalismi, gli Usa a rischio guerra civile. Un “equilibrio” che pare stare bene a tutti i principali attori. Se non altro perché, dentro la tregua, il grande business nei Balcani continua: quello delle privatizzazioni e delle delocalizzazioni, dell’energia e delle materie prime, dei traffici e del real estate. Ne è emblema la cementificazione del lungofiume di Savamala a Belgrado, voluta dall’attuale presidente della Repubblica, Aleksandar Vucic. Dalla fortezza di Kalemegdan, l’imponenza del gigantesco affare immobiliare, il progetto Belgrade Waterfront, taglia l’orizzonte: hotel di lusso, il più grande centro commerciale dei Balcani, 10 mila appartamenti riservati alle élite, 4 miliardi di euro di investimento, la Eagle Hills Company di Abu Dhabi protagonista.

    La lettera che illustra le ragioni del viaggio

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  • La presentazione del libro a Vanaus

    «Inverno liquido». Il calendario aggiornato delle presentazioni. Sono 127 quelle sin qui realizzate.

    «Non ci si salva da soli. Occorre incrociare gli

    sguardi, condividere le conoscenze, tessere le

    trame di alleanze ampie e plurali, dando vita

    a sempre più strutturate comunità di pensiero

    e azione. Per essere interpreti di un cambio di

    paradigma non più rimandabile. Per pensare

    insieme il mondo a venire. Questo libro va

    inteso come un numero zero, il primo passo

    di un collettivo di scrittura attorno ai nodi del

    passaggio epocale che stiamo attraversando».

     

    Nel gennaio 2023 è uscito il libro di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli “Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa” (Derive & Approdi, Roma, 300 pagine, 20 euro), lavoro arricchito dalla prefazione di Aldo Bonomi, editorialista del “Sole 24 ore”, e dalla postfazione di Vanda Bonardo, presidente di Cipra Italia e responsabile della Carovana dei ghiacciai di Legambiente.

    A metà fra il saggio e il reportage, il libro racconta dell'impatto dei cambiamenti climatici sull'insieme dell'arco alpino e della dorsale appenninica, con un focus particolare: la crisi del modello di sviluppo della montagna incentrato sull'industria dello sci. 

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  • La principessa Europa

    L'Europa politica, per ridisegnare il mondo

    Questa riflessione è recentemente apparsa sulla rivista altoatesina-sudtirolese "Il Cristallo"

       

    di Michele Nardelli

        

    Prologo

    E' la sera del 22 marzo scorso. Migliaia di persone affluiscono per un concerto al Crocus City Hall di Krasnogorsk, nella moderna periferia nord occidentale di Mosca, ignare che di lì a poco in quel luogo si sarebbe scatenato l'inferno. Qualche ora più tardi, sugli schermi di tutto il mondo, appariranno le immagini di un peraltro esiguo gruppo di terroristi che – incontrastati – sparano ad ogni cosa che si muove intorno a loro, entrano nell'immenso auditorium dove si dovrebbe svolgere il concerto (e dove dieci anni prima si era esibito Joe Cocker) e vi danno fuoco. Dalle immagini non sembra un commando particolarmente addestrato, questi uomini sembrano piuttosto avere l'aspetto dimesso e improvvisato di mercenari non certo animati da fanatismo religioso, non uno slogan, non una qualche simbologia, solo armi che uccidono a casaccio. Considerazione che trova conferma anche nei video delle stesse persone che fuggono con una piccola utilitaria e poi catturate il giorno successivo. Uno di loro, secondo le informazioni ufficiali, dirà che gli erano stati promessi 500 mila rubli, il corrispettivo di 5 mila euro. Come sappiamo la Federazione Russa era stata allertata per possibili attentati che avrebbero potuto colpire luoghi affollati e, ciò nonostante, la polizia interverrà solo ad azione terroristica compiuta. Senza bisogno di cadere nel complottismo, la vicenda puzza di bruciato. Fra le macerie annerite i corpi senza vita di oltre 140 persone, moltissimi i dispersi. Diverse centinaia i feriti.

    L'Angelus Novus di Paul Klee

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  • Palestina inizio '900

    Usciamo dalla gabbia. L'appello per la pace e per un unico paese dal Giordano al Mediterraneo fondato sullo stato di diritto. L'elenco dei firmatari.

    «Noi palestinesi e amici della Palestina porgiamo la mano a tutti coloro che hanno detto no alla guerra e che hanno condannato il terrorismo in tutte le sue forme. In modo particolare la porgiamo ai cittadini israeliani (purtroppo ancora una minoranza) e a tutti gli ebrei nel mondo che non hanno concesso il loro nome ai criminali di guerra.

    La carneficina in corso contro il popolo palestinese, la pulizia etnica antica e recente, la colonizzazione e le spedizioni terroristiche dei coloni contro la popolazione autoctona, come lo sradicamento degli alberi, la distruzione delle case e la confisca della terra, oltre ad abbattere ogni ponte di dialogo, ledono gravemente l'immagine e la storia di tutta una comunità e rilanciano di nuovo l’antisemitismo, che offende ogni popolazione di origine semita, quella ebraica come quella palestinese. E, nei fatti, rendono Israele il luogo meno sicuro per la popolazione ebraica e per tutti i suoi cittadini.

    La battaglia per la libertà del popolo palestinese è la stessa battaglia per la libertà della popolazione ebraica e della nostra libertà.

    Lo Stato può diventare una gabbia. Il nazionalismo è stato il cancro della modernità. La fratellanza è un vasto spazio di umanità libera.

    Per questo non vogliamo rinunciare al sogno di un unico paese fondato sullo stato di diritto e sull'uguaglianza delle persone a prescindere dalla loro appartenenza e dal loro credo religioso. Siamo ancora in tempo. Iniziamo con il cessate il fuoco e poi cominciamo a guardare alla Mezzaluna fertile del Mediterraneo con altri occhi».

    Ali Rashid, Aida Tuma (deputata del Knesset israeliano), Issam Makhluf (già deputato del Knesset, presidente del fronte democratico per la pace e eguaglianza in Israele), Mohammad Bakri (regista arabo israeliano), Renato Accorinti, Mario Agostinelli, Marta Anderle, Sergio Bellucci, Gianna Benucci, Gianfranco Bettin, Mario Boccia, Loris Campetti, padre Nandino Capovilla, Sergio Caserta, Beatrice Cioni, padre Fabio Corazzina, Fiammetta Cucurnia, Massimo De Marchi, Nicoletta Dentico, Tommaso Di Francesco,  Stefano Disegni, Patrizio Esposito, Silvano Falocco, Rania Hammad, Adel Jabbar, Dina Ishneiwer, Raniero La Valle, Mimmo Lucano, Fiorella Mannoia, Serena Marcenò, Rino Messina, Emilio Molinari, Erica Mondini, Michele Nardelli, Mario Natangelo, Silvia Nejrotti, Azra Nuhefendic, Moni Ovadia, Maurizio Pallante, Nino Pascale, Dijana Pavlovic, Tonino Perna, Daniele Pulcini, Gianni Rocco, Michele Santoro, Stefano Semenzato, Vauro Senesi, Sergio Sinigaglia, Gianni Tamino.

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  • Cracovia, Herve

    Nel cuore prometeico dell'Europa

    Nel settembre scorso si è svolto un nuovo capitolo del “Viaggio nella solitudine della politica” che aveva come titolo “Dal Meriggio alla Mezzanotte”. Un viaggio ispirato al pensiero di Albert Camus, al quale avevamo reso omaggio lo scorso anno proprio a conclusione del precedente itinerario.

    Avrei voluto scriverne a caldo, ma fra una cosa e l'altra non è stato possibile. In compenso le immagini e le sensazioni si sono sedimentate, così come il senso di questo nostro viaggiare. Lo spazio e il tempo per aiutarci a comprendere come cambia il mondo e come cambiano i nostri occhi.

    Per stare al mondo in maniera curiosa e responsabile.

     

    §§§

    di Michele Nardelli

    «Quale miglior paragone

    alla speciale intelligenza di questo popolo,

    del tremolar della marina?

    Badate: i Greci sono colonizzatori. Sempre stati.

    Ma colonizzano le spiagge:

    in Asia minore, in Italia, a Marsiglia.

    Non s'inoltrano.

    Sanno che a perder di vista il mare,

    si perde il tremolar della marina:

    si perde l'intelligenza”»

    Alberto Savinio

     

    “Dal meriggio alla mezzanotte”. Era questo il titolo dell'ultimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” giunto così alla sua quattordicesima puntata1. Che ci ha portati ad attraversare il cuore prometeico dell'Europa, quegli imperi (tedesco e austroungarico) che costituirono l'ossatura del Terzo Reich e quelle terre che vennero segnate dal delirio di potenza che caratterizzò tragicamente il Novecento. 

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  • Ali Rashid, Andalusia, 2022

    Eppure una volta eravamo fratelli.

    di Ali Rashid

    (trentamila morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.

    Vivo in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.

    Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.

    Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.

    Lifta, Gerusalemme

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  • Marettimo

    «Dove troverai con il pane al sole la tavola imbandita»

    L'incontro inaugurale del Collettivo di scrittura nato attorno a “Inverno liquido”

    (Marettimo, 5 – 8 ottobre 2023)

     

    di Michele Nardelli


    Le Dolomiti, nel mare

    Marettimo è di una bellezza che ti avvolge ma soprattutto è un'isola vera, che non ti liscia il pelo. Una montagna di settecento metri di altitudine che esce dal mare, pareti dolomitiche che vi si rispecchiano e che si modellano con le maree disegnando una morfologia unica e spettacolare.

    Non aspettatevi negozi o fronzoli per i turisti, qui non si viene per lo struscio o per ostentare vanità. Un'infinità di barche invece, eredità di quando questo luogo era abitato quasi esclusivamente da famiglie di pescatori. Ce ne sono ancora di pescatori, ma quei pochi che sono rimasti integrano questa attività con l'accompagnamento in barca di chi vuol visitare Marettimo nei suoi meandri altrimenti raggiungibili solo a piedi. Qui, del resto, di strade ce n'è una sola, che collega il borgo al cimitero. Il resto sono sentieri per chi ama camminare.

    La più piccola e lontana isola delle Egadi nel corso degli ultimi cinquant'anni ha perso buona parte delle persone che l'abitavano. Sono rimasti in meno di duecento. Difficile viverci per l'intero arco dell'anno: una scuola elementare con un'unica pluriclasse di nemmeno dieci bambini, la scuola media chiusa da tempo. La stessa cosa si può dire per i servizi sanitari e così, quando qualcuno sta proprio male, non resta che chiamare l'elisoccorso.

    Un momento dell'incontro di Marettimo al Museo del Mare

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  • Piazza Tienanmen. Pechino, 1989

    Immersi nel Novecento

    Dialogo attorno alla guerra in Ucraina fra Michele Nardelli e Francesco Prezzi: una sua ultima testimonianza sulle cose del mondo. Francesco ha vissuto questa ennesima tragedia dal letto di un ospedale e fino all'ultimo non ha mai smesso di ragionare sulla società, sul senso della Storia e sul valore del pensiero politico. Poi ha preso il volo.


    (8 marzo 2022) Immersi nel Novecento. Questo siamo.

    Lo sferragliare dei carri armati e il rumore sordo dei bombardamenti. I vecchi palazzoni sovietici sventrati e anneriti dal fuoco. Gli occhi impietriti di un'umanità costretta ad abbandonare le proprie case, a rifugiarsi negli spazi sotterranei delle metropolitane o ad ingrossare le fila del libro dell'esodo1. I miliziani nazionalisti, sempre più protagonisti delle nuove guerre, padroni delle strade e delle macerie. A prescindere dalle loro bandiere e da come andrà a finire, saranno loro a vincere.

    E ancora. L'aria e l'acqua avvelenate, il sudiciume di ogni guerra. Le palizzate di eternit prese a calci, come ad essere senza futuro. La paranoia dei signori della guerra, sempre uguale. L'ipocrisia dei potenti che non hanno mai smesso di produrre e vendere armi. Sullo sfondo il riecheggiare del moto latino “vis pacem, para bellum”, che ha armato il pianeta tanto da poterlo distruggere.

    Infine l'incubo nucleare, che da quelle parti conoscono bene e con il quale – malgrado la tragedia di Chernobyl – hanno continuato a convivere, quello delle centrali mai dismesse e in questi giorni sfiorate dalle cannonate, e quello delle testate atomiche allertate in un follia che vorrebbe reclutarci e che militarizza anche il confronto politico.

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Valle Varaita, dal 5 all'8 settembre il nuovo incontro del Collettivo di scrittura nato attorno a «Inverno liquido»
Un particolare del Borgo Puy de Champanesio

Si svolgerà dal 5 all'8 settembre 2024 il secondo incontro in presenza del Collettivo di pensiero e di scrittra nato attorno a «Inverno liquido». Dopo quello di Marettimo (Isole Egadi) dell'ottobre scorso, quest'anno l'appuntamento è sulle Alpi Occidentali, in Valle Varaita, nel Borgo di Puy de Champanesio (CN). 

Le modalità di svolgimento, come si può vedere dalla proposta di programma allegato, sono quelle sperimentate lo scorso anno, una prima giornata per arrivare a destinazione e per la sistemazione nelle antico borgo occitano, il secondo e il terzo giorno per affrontare gli argomenti proposti, alternando la parola con la conoscenza del territorio (siamo a 1680 metri slm e le escursioni non possono mancare), e l'ultimo giorno per un po' di relax prima del ritorno.

Non mancheranno gli incontri con alcuni ospiti di eccezione, così da rendere piene le nostre giornate di confronto.

Il programma di massima

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I fallimenti delle tutele UNESCO sulle Dolomiti
Ghiacciaio Mandrone 2023

Una responsabilità solo politica

di Mountain Wilderness Italia

Nelle giornate del 7, 8 e 9 agosto 1993 Mountain Wilderness Italia, Legambiente e S.O.S. Dolomites organizzarono a Cortina d’Ampezzo un’articolata iniziativa tesa a proporre all’UNESCO l’inserimento dell’intero arco delle Dolomiti nell’elenco dei grandi Monumenti del Mondo (World Heritage). In soli tre giorni si raccolsero oltre 10.000 firme. L’iniziativa venne portata all’attenzione del Ministero dei Beni Culturali italiano. Da lì ebbe inizio un lungo processo istituzionale, culturale e sociale, non privo di difficoltà, che condusse al successo di Siviglia, quando il 26 giugno 2009 le Dolomiti vennero dichiarate dall’UNESCO Patrimonio naturale dell’umanità.

La scelta del patrimonio naturale fin da subito fu aspramente criticata dall’associazione in quanto l’aver scelto di tutelare solo gli ambiti rocciosi e le aree già parco naturale o inserite in Rete Natura 2000 impediva l’avvio di un progetto di tutela complessiva dell’area dolomitica compresa fra i fondovalle fino agli alpeggi e alle fantastiche rocce (Convegno di Pieve di Cadore, 2010).

Già allora era emerso evidente come i politici avessero guidato le Dolomiti a divenire un banale marchio turistico, utile a una mercificazione del territorio, da proporre alla collettività nazionale e internazionale cancellando di fatto da quello stesso territorio i tanti valori e le identità delle popolazioni che lo abitano: sparivano così ogni richiamo culturale, storico, identitario e di alta valenza conservazionistica, sia dei paesaggi che degli ambiti naturali. Non solo, ma nella scelta venivano esclusi dalla tutela UNESCO gruppi montani strategici fra i quali il Sassolungo, il Sella-Boè, i Monzoni-Costalunga, le Piccole Dolomiti. La tutela venne ristretta solo ad aree in qualche modo già tutelate, come i parchi nazionali, regionali, provinciali e le zone inserite in rete Natura 2000, aree ZPS e SIC (ora ZSC), alcune delle quali sono prive di un piano di gestione.

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Heimat oder Destination Südtirol? (Casa o destinazione Alto Adige?)
La prima di copertina del libro

Heimatpflegeverband - Südtirol/POLITiS

Heimat oder Destination Südtirol?

Tourismus in Maßen statt in Massen

Verlag Arca Edizioni, 2024

L'opera sarà disponibile nelle librerie dell'Alto Adige a partire dalla prossima settimana. In allegato potete trovare la scheda di presentazione e l’indice. Il testo è in tedesco con l'eccezione del capitolo 9 (di cui sono l'autore) che l'editore ha preferito venisse riportato nella sua versione originale in lingua italiana.

(30 agosto 2024) L'Associazione Patrimonio dell'Alto Adige – Heimatpflegeverband (HPV) ha presentato questa mattina al Waltherhaus di Bolzano un libro di particolare attualità che ha come titolo “Heimat oder Destination Südtirol?” (Casa o destinazione Alto Adige?. Come è facile comprendere il tema affrontato è quello dell'overtourism nell'ambito di una visione critica dell'industria turistica in Alto Adige/Südtirol.

Da anni ci sono avvertimenti sul sovraccarico turistico in questa realtà. I molteplici eccessi dell'overtourism sono costantemente un argomento nei media, le conseguenze negative per l'ambiente, il clima, il paesaggio e la qualità della vita investono sempre più le comunità locali.

Se un paese viene commercializzato solo come destinazione turistica, la qualità della vita della popolazione ne risente sotto diversi aspetti. Il turismo di massa di oggi minaccia anche le fondamenta di una regione turistica: il paesaggio culturale e naturale, la tranquillità, il valore ricreativo, l'ospitalità, la tanto invocata "autenticità". Una regione così abusata dai turisti può essere ancora casa? si chiede l'Associazione Patrimonio dell'Alto Adige in un comunicato stampa.

L'indice del libro

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Nuovi volti e vecchi luoghi

martedì, 10 settembre 2024 ore 17:30

La prima di copertina del libro

Per iniziativa di TREVILAB, Biblioteca provinciale italiana "Claudia Augusta", presentazione del libro curato da Adel Jabbar

"Nuovi volti e vecchi luoghi

Paesaggi migratori in Alto Adige - Südtirol"

(Edizioni Alphabeta Verlag)

Ne parlano il curatore Adel Jabbar con lo storico Giorgio Mazzalira

Bolzano, Centro Trevi, Via Marconi 2

Martedì 10 settembre 2024, ore 17.30

Bolzano, Centro Trevi

Un'oasi di verde al posto del viadotto Sepi. In ricordo di Paolo Fedrizzi
Paolo Fedrizzi

Posizionata una dedica in ricordo del dottor Paolo Fedrizzi presso il “laghetto del Sole”

di Roberto Devigili

Nei mesi scorsi era stata avviata una raccolta di firme per invitare le amministrazioni comunali di Mezzocorona e Mezzolombardo ad attivarsi per ricordare Paolo Fedrizzi presso il laghetto – lido realizzato in località Ischia di Mezzocorona, posizionando in quel luogo una cassetta per api (arnia) non abitata, donata a questo scopo dai suoi famigliari e un albero di tiglio, i cui fiori sono apprezzati dalle api, dedicati a Paolo Fedrizzi, medico, apicoltore, ambientalista.

Nel corso dell’estate, l’amministrazione comunale di Mezzocorona ha provveduto a collocare l’arnia e a piantare il tiglio all’ingresso del laghetto. Martedì 20 agosto 2024 si è svolta una piccola inaugurazione ed un breve momento di ricordo presso il laghetto stesso. Erano presenti numerose persone che hanno voluto dimostrare la loro stima per Paolo. Presenti anche il sindaco di Mezzocorona, Mattia Hauser e alcuni rappresentanti dei comuni di Mezzocorona e Mezzolombardo. Questi ultimi hanno annunciato che al termine dei lavori in corso sulla sponda destra del Noce, verrà ricordata anche in quel luogo la figura di Paolo Fedrizzi. E’ intervenuta anche Gabriella Zanini che ha avuto l’idea della dedica del piccolo laghetto a Paolo.

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Hanno occupato il Santa Chiara

sabato, 14 settembre 2024 ore 20:30

Il manifesto dell'evento

Luoghi di noi

Un pregetto di

INU

Istituto Nazionale di Urbanistica (Trentino)

Presentazione del film documentario

HANNO OCCUPATO IL SANTA CHIARA

di Andrea Andreotti

con la partecipazione di Roberto Bortolotti, Andrea Brighenti, Pierluigi Faggiani, Paolo Fedel, Lucano Martinello, Michele Nardelli, Valeria Zamboni

Sabato 14 settembre 2024. ore 20.30
a Trento, presso il Teatro Cuminetti, in via Santa Croce

Trento, Teatro Cuminetti - Centro Santa Chiara

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Contro la legge Calderoli, oltre il centralismo*
Sardegna

Il testo che oggi pubblichiamo - tratto dalla rivista Jacobin - offre une una chiave di lettura interessante sulla questione della cosiddetta "autonomia differenziata" che incrocia due sguardi provenienti da altrettante aree ai "margini", la Sardegna e la Venezia Giulia.

di Danilo Lampis e Riccardo Laterza**

Il regionalismo differenziato del governo va fermato perché rafforza i poteri economici esistenti. Ma la campagna referendaria non va condotta a difesa dello Stato Nazione: bisogna riappropriarsi da sinistra dei concetti di autodeterminazione e autogoverno.

Scriviamo, mentre il referendum contro ha superato di slancio il mezzo milione di firme raccolte online, da due punti di vista segnati dai contesti in cui viviamo: la Sardegna e una terra di confine, il Litorale meglio conosciuto in Italia con il nome di Venezia Giulia.

Abbiamo sottoscritto il referendum per una ragione su tutte: il combinato disposto tra la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento attraverso le intese, e la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. In sintesi, chi si è arricchito in questi decenni tratterrà maggiori risorse, chi è rimasto senza investimenti infrastrutturali e sui servizi, con una base produttiva debole e arretrata, resterà inchiodato alla sua condizione perché storicamente ha speso meno. In questo modo si cristallizzano sul piano legislativo le disuguaglianze territoriali sulle quali si è fondata e costruita nei decenni l’Italia unita, rafforzando il processo storico di addensamento di infrastrutture, capitale umano e sociale, capacità istituzionale, sistemi produttivi e reti di imprese nel cuore del Nord Italia. Un processo permesso dal centralismo statale e da dispositivi di colonialismo «interno» funzionali a uno sviluppo diseguale tra – pochi – centri e – molte e diverse – periferie, che hanno visto nella Sardegna sabauda un laboratorio anticipatore di ciò che in seguito sarebbe stato confermato con la «rivoluzione passiva» risorgimentale di gramsciana memoria.

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Carcere di Trento, 14 agosto 2024 *
Persone

di Federico Zappini

371 persone ristrette. 280 con sentenza definitiva. 46 donne nella sezione femminile, quella che abbiamo visitato con maggiore attenzione. 108 i detenuti “protetti” (la cui provenienza è allargata all’intero triveneto), ossia quelli che si sono macchiati di reati particolarmente gravi, tali da metterli in pericolo rispetto alla reazione del resto della comunità penitenziaria. Un paio di decine le persone che accedono alla semilibertà o, attraverso l’art.21, a percorsi lavorativi all’esterno della struttura. Tre soli/e invece in permesso, nonostante il periodo ferragostano farebbe supporre un maggiore accesso possibile alla misura.

Siamo sempre più lontani dalle cifre che erano contenute nell’accordo tra Ministero della Giustizia e Provincia Autonoma di Trento collegato alla costruzione del nuovo carcere di Spini: 240 detenuti come limite massimo per poter gestire al meglio la struttura, non dovendo comprimere gli spazi e aumentare la tensione della convivenza obbligata.

Ci è stato fatto notare che stando ai nuovi criteri utilizzati per stimare la capienza massima della struttura si potrebbero addirittura aggiungere altri 50 detenuti e che il quasi raddoppio della popolazione della casa circondariale non ha aumentato contestualmente il personale, della polizia penitenziaria come dei servizi socio-culturali. Nel primo caso il deficit è cronico, sopratutto nelle figure intermedie del corpo. Nel secondo, finalmente, siamo tornati quasi a pieno organico dopo anni di grande fatica e lacune negli interventi di sostegno e cura.

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La disfida in perdita.
C'era una volta... Centro sociale per l'autonomia

Dopo la riflessione di Roberto Pinter sulla riforma Calderoli e la scelta referendaria, prosegue il confronto con l'intervento di Lorenzo Dellai.

di Lorenzo Dellai

Condivido pienamente le riflessioni di Roberto Pinter pubblicate sul quotidiano “Il T” nei giorni scorsi. Per come si sta sviluppando, la disfida sulla “Autonomia Differenziata” per le Regioni Ordinarie rappresenta uno dei segni più evidenti – certo non l’unico – del degrado della Politica italiana.

Il Governo di Destra (che si fonda in larga parte su una istanza nazionalista e statalista) ha fatto muro in Parlamento attorno ad una Legge che attua l’art. 116, terzo comma, della Costituzione. L’opposizione di Sinistra (che quella previsione costituzionale aveva voluto e votato, ancora nel 2001) raccoglie invece le firme per un Referendum popolare abrogativo di tale Legge, evocando lo spettro della “divisione” del Paese e della dissoluzione della sua “unità”.

Il Governo di Destra difende la sua proposta in forza di un patto interno fra le sue tre componenti attorno ai loro rispettivi “totem” (alla Lega l’Autonomia Differenziata; a Fratelli d’Italia il Premierato; a Forza Italia la riforma della Giustizia con la separazione delle carriere dei Magistrati). L’opposizione, dal canto suo, trova nella proposta referendaria abrogativa un terreno di intesa (tra i pochi) per il cosiddetto “campo largo”.

Si possono affrontare in questo modo le grandi e delicate questioni delle “Riforme” costituzionali ed istituzionali?

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Autonomia differenziata: il dibattito che non c’è.
Rovereto, Mescolanze

Prosegue il dibattito sulla riforma Calderoli e sul referendum contro l'autonomia differenziata. Oggi l'intervento di Roberto Pinter, pubblicato nei giorni scorsi dal quotidiano "Il T".

di Roberto Pinter

La legge Calderoli per l’Autonomia differenziata non è una buona legge, e anche se il primo passo è stato fatto con la riforma costituzionale voluta dal centrosinistra, nasce più per dividere che per cambiare, oggetto di compensazione rispetto al premierato e di difficile attuazione. E’ giusto provare ad affossarla con un’alleanza ampia che coglie l’occasione per mettere in difficoltà il governo Meloni.

In Trentino, più per partito preso che per convinzione, le destre difendono la legge Calderoli, e le sinistre sostengono il referendum abrogativo. Nessun dibattito, nessun confronto e così l’Autonomia speciale, a quanto pare, non ha nulla da dire o non vuol dire nulla rispetto alla riforma che comunque chiama in causa le Autonomie speciali.

Il problema non è il rischio immediato per la nostra Autonomia, ma quanto si sta registrando nel dibattito o meglio nello scontro in atto in Italia. Perché dalla opposizione al disegno di legge Calderoli si è ben presto passati all’opposizione all’Autonomia differenziata e oggi, a forza di semplificazioni, sono sempre di più gli slogan contro l’Autonomia punto e a capo.

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Una legge civetta e l'autogol del referendum
Il Monte Peralba, visto dalla Val Visdende. Un monte simbolico delle geografie ecosistemiche

A fine luglio si è svolto a Dosoledo (BL) l'incontro di un folto gruppo di persone provenienti dal Trentino, dall'Alto Adige Südtirol, dal Friuli, dalla provincia di Belluno e da altre aree marginali del Veneto per riflettere sulla Regione che non c'è, la regione ecosistemica delle Dolomiti (https://www.michelenardelli.it/diario-di-bordo/2024/07/). Fra le varie questioni ci si è confrontati anche sul tema della riforma Calderoli e sulla proposta di referendum abrogativo che ne è seguita, proponendoci di avviare una discussione per uscire dalla dimensione propagandistica e manichea con cui si sta affrontando questo delicatissimo tema. Con l'intervento dell'amico Giorgio prende dunque il via la pubblicazione su questo blog di una serie di interventi intorno alla questione.

di Giorgio Cavallo*

Quale sia il progetto politico a breve-medio termine dell’attuale maggioranza politica che governa l’Italia appare evidente. L’approvazione della legge sulla autonomia differenziata spalanca le porte al più rapido possibile percorso parlamentare per la modifica costituzionale relativa al Premierato e quindi alla definitiva trasformazione della Repubblica. Il progetto Renziano di accentramento del potere governativo troverà così una ben più radicale soluzione e, con molte probabilità il corpo elettorale in un referendum avrà perso molti degli anticorpi di difesa democratica che hanno portato al risultato del 2016 e tutto sommato potrebbe non disdegnare di identificarsi nella semplificazione del “capo”. D’altronde è dagli anni 90 del secolo scorso che abbiamo imparato a votare il leader o la persona (Sindaco, Governatore, preferenza unica, collegi uninominali) e non una proposta politica o amministrativa.

Oggi la sinistra immagina la battaglia contro l’autonomia differenziata come il primo tempo di una partita che poi forse giocherà fino ai supplementari per poter difendere i valori base della democrazia e della Costituzione. Per fare questo però ritiene che il consenso popolare possa derivare da una accentuazione propagandistica dei limiti di una legge squilibrata e di fatto inattuabile, in contenuti e in procedure, attraverso la mitizzazione di conflitti (nord contro sud, ricchi contro poveri) e la riproposizione garantista della efficienza di un percorso di centralizzazione della amministrazione dello stato.

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L'ascensore di Prijedor
La prima di copertina dell'edizione italiana del libro

Darko Cvijetic

L'ascensore di Prijedor

Bottega Errante Edizioni (2018)

Un condominio di mattoni rossi, inaugurato nel 1975 per ospitare 104 famiglie di tutte le fedi, di ogni provenienza e ceto sociale, un "villaggio verticale" abitato da un mosaico di persone che rispecchiano la Jugoslavia: un sogno di emancipazione alto 13 piani che si eleva al di sopra della cittadina di Prijedor.

Una comunità che si sgretola nel 1992, già nei primi giorni della guerra, quando gli aggressori entrano prepotetemente nel palazzo e ne devastano la struttura sociale, e i vicini di casa si trasformano in soldati e nemici.

La Montagna Sacra
la prima di copertina del libro

Enrico Camanni

La Montagna sacra

Editori Laterza (2024)

Enrico Camanni sarà al Parco di Levico con La Piccola Libreria a presentare "La Montagna sacra" il 31 luglio 2024, alle ore 18.00 

Le montagne esistono perché noi posiamo scalarle, possiamo camminarci, possimo sciarci?

Ha senso, in un ecosistema così fragile, perseguire un modello di sviluppo fondato sulla crescita, sull'aumento anno dopo anno di turisti e di impianti?

Perché altre culture, dall'Himalaya alle Ande, hanno immaginato l'esistenza di montagne sacre, luoghi da cui l'uomo dovesse restare lontano?

Cosa ci insegna questa idea di limite?

Connessione di sguardi e di pensieri. I miei Balcani, quattro anni dopo.
A colloquio con Zlatko Dizdarevic

di Michele Nardelli

(17 luglio 2024) Non ho mai tenuto il conto dei viaggi balcanici, prima della guerra degli anni '90 e soprattutto successivamente, quando questa parte di Europa è diventata ai miei occhi – come uso dire – uno straordinario caleidoscopio sulla modernità. Ma di certo quello dal quale sono da poco rientrato, sul piano del confronto con gli interlocutori nelle nostre conversazioni come su quello emotivo, ha lasciato il segno. Per la deriva autoritaria che segna i paesi attraversati, per la devastazione sociale e l'assenza di futuro che induce chi ne ha la possibilità ad andarsene (ma non tutti), per il diffuso disincanto verso il progetto politico europeo, ma anche per le connessioni di pensiero che ne sono venute. E per il piacere di riabbracciare persone che non vedevo da tempo e avvertire la profondità delle relazioni costruite.

Ad accompagnarmi in questo viaggio ci sono stati Snjezana Djuricic e Domenico Sartori. Snjezana, oltre che raffinata interprete, attenta osservatrice delle cose del mondo, senza la quale questo viaggio non sarebbe stato possibile. Domenico, giornalista e amico con il quale abbiamo condiviso tratti importanti di lavoro sulla comunità trentina, pressoché nuovo (se escludiamo la sua partecipazione nel settembre 2003 al viaggio di Osservatorio Balcani che collegò attraverso il Danubio Vienna con Belgrado) in questa parte di Europa. Alla fine del nostro viaggio, nel suo quaderno di appunti non c'erano più pagine bianche.

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Un grande albergo alle ex caserme delle Viote? Siamo alle solite...
Le ex caserme delle Viote

Si è riaperta nei giorni scorsi la discussione sul futuro delle ex caserme austroungariche delle Viote, sul gruppo montuoso del Bondone in Trentino, per l'annunciata intenzione da parte della Provincia Autonoma di Trento di alienare questo importante patrimonio pubblico destinandolo ad un utilizzo alberghiero.

Qualcuno potrebbe affermare che considerato l'attuale stato di abbandono del nucleo principale delle vecchie caserme adibito a suo tempo a Centro di Ecologia Alpina e di degrado per la parte delle caserme che nel corso degli anni non ha conosciuto che minimi interventi conservativi, si potrebbe giustificare l'alienazione di questo patrimonio. Ma non ci si rende conto che in questo modo si darebbe il là ad un nuovo capitolo di una vecchia storia che per più di mezzo secolo ha visto questo straordinario ecosistema oggetto di mire speculative, dall'insana idea di fare delle Viote il Sestriere trentino (la città in quota) degli anni '50, alla cementificazione dei decenni successivi lungo il versante orientale rivolto verso la città, dal progetto di rilancio degli anni '80 e '90 ancora incentrato sull'effetto piazza e sull'industria dello sci, al Patto territoriale che con le nuove volumetrie ancora rilanciava il modello fallimentare degli anni precedenti. Fino ad arrivare alla più recente proposta di un nuovo grande impianto funiviario capace di collegare la città alla località Vason, come se questa e non un'idea radicalmente diversa fosse la soluzione per uscire da un fallimento pluridecennale.

L'intervista de L'Adige

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Belluno e l'autonomia negata, ecco il documentario
da www.ladige.it

Rimbalza sui social l'opera realizzata dal canale di divulgazione culturale NovaLectio, che con una serie di interviste descrive le allarmanti condizioni sociali in un territorio alpino inascoltato, sofferente per lo spopolamento e la crisi dei servizi pubblici. Una provincia che per anni aveva tentato un dialogo (inascoltato) con il Trentino

di Zenone Sovilla*

Delle battaglie autonomistiche ultra decennali della vicina provincia dolomitica di Belluno l'Adige si è occupato spesso, fin dal primo referendum cosiddetto secessionista. Era il 2005 quando il Comune di Lamon, nell'area sudoccidentale del Bellunese, al confine con le aree trentine del Vanoi e del Tesino, fu l'apripista di una serie di votazioni, su base costituzionale, animate in particolare dal movimento Bard (Belluno autonoma Regione Dolomiti), allo scopo di portare finalmente al centro dell'attenzione del legislatore nazionale la questione di questo fazzoletto alpino pesantemente svuotato di strumenti istituzionali

Dopo Lamon seguirono decine di territori confinanti, specie con il Trentino, ma anche con l'Alto Adige, cioè dell'area bellunese impropriamente denominata "ladina storica", quasi a nobilitarla rispetto ai municipi vicini e appartenente alla medesima minoranza linguistica ma non già all'Impero asburgico.

Nella gran parte dei casi vinsero i sì all'addio alla matrigna Regione Veneto colonizzatrice; ma per ragioni alquanto oscure, l'unico via libera parlamentare fu ottenuto da Sappada, comune germanofono bellunese di nordest che nel 2017 passò al Friuli Venezia Giulia. Una regione, quest'ultima, che peraltro in materia di politiche per la montagna non si distingue gran che dal Veneto, entrambe prevalentemente di mare e di pianura.

Ci fu anche un comune, quello di San Pietro di Cadore, dove in municipio si fece presente l'impossibilità di indire il referendum, perché l'unico confine non bellunese è con l'Austria...

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«Verranno di notte»
La prima di copertina del libro

Lo spettro della barbarie in Europa

Un'intervista a Paolo Rumiz sul suo ultimo libro "Verranno di notte" (Feltrinelli, 2024) *

Alla seconda pagina del suo nuovo libro, Verranno di notte (Feltrinelli), un pamphlet vorticoso, teso e poetico sull'Europa e la notte che le incombe addosso, le guerre che la assediano, il disamore e l'intolleranza che la investono, Paolo Rumiz scrive che l'identità è una parola che «non serve più a dire dove sei e da dove vieni, ma a cercare la rissa e a sdoganare armi; identità, stessa radice di idiotes, che in greco vuol dire "quelli ripiegati su se stessi", che hanno paura della complessità del mondo e non si lasciano fecondare dall'incontro con l'altro». Domenica, nel suo intervento a Viva24, la convention dell'estrema destra a Madrid, organizzata da Vox, Giorgia Meloni ha detto: «Possiamo costruire una Ue migliore e differente, può cambiare identità». Gli stessi che volevano abolire l'Europa, ora vogliono rifondarla. Non è chiaro in nome di cosa. Sono chiari i no, ma non si capisce, come ha scritto Orsina su questo giornale, cosa questa destra globale voglia in positivo. Scrive Rumiz: «La parola contro dilaga, il per è scomparso dal vocabolario».

L'Europa vibra di una guerra ancor sotterranea di tutti contro tutti, e Rumiz lo vede dal confine italo sloveno, dove si è trasferito da tempo, e dove da tempo, di notte, si sveglia agitato e si appunta gli incubi, le visioni, il resto del giorno prima che gli è rimasto addosso e le percezioni, soprattutto le percezioni – scrive di aver imparato a fidarsi molto di più di quelle che delle analisi. Le riporta tutte su questo libro, che è antologia, diario e poema. Dice come le cose sono e come potrebbero essere. E le dice in italiano e in inglese (il libro in inglese è disponibile in ebook su tutte le piattaforme). «Ci tengo: non ho scritto solo per gli italiani: ho scritto per gli europei».

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Alessandro Rotta, uno di noi

sabato, 18 maggio 2024 ore 10:00

Alessandro Rotta

Oggi ci siamo trovati numerosi in un luogo molto bello (Villa Venier) a Sommacampagna (VR) per ricordare Alessandro Rotta, amico che ci ha lasciati il 24 febbraio scorso a soli 51 anni.

Con Alessandro abbiamo condiviso idee, emozioni, viaggi attorno al percorso di ricerca di Osservatorio Balcani. Fu l'inizio di un tragitto umano e professionale che lo ha portato a diventare capo di gabinetto del Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per il Sud del Caucaso.

Negli ultimi anni ci si incontrava di rado, ma Alessandro era e per sempre rimarrà uno di noi, parte di una comunità di pensiero e di impegno che proseguirà il suo cammino per le strade della pace in Europa e nel Mediterraneo.

Una proposta c'è già sul tappeto, nata dalla conversazione collettiva e condivisa in linea di massima con la famiglia, ma ancora in nuce. Ne parleremo quanto prima. 

Ma oggi i ricordi, i pensieri, i suoni e le immagini proposte ci hanno fatto sentire Alessandro fra noi. Grazie per questo regalo. 

Sommacampagna (VR), Villa Venier

Senza terra e senz'acqua. Una palma ... non lontano da Londra
Palestina

di Soheila Javaheri

Quando percepisco delle sbarre invisibili, mi batto. Sento che angoscia e timore stanno entrando sotto la mia pelle e per distinguermi da loro ho bisogno di prendere le misure delle sbarre, devo percepire la loro dimensione, la distanza da me. È così che è nato il diario di una lettera immaginaria a Gaza.

Io e Jane eravamo sedute in The Albion Bar 15, in una via che porta alla piazza delle panchine bianche e delle piante fresche ma finte, davanti alla Ex School of Art and Free Library of Dudley. “Ex” perché abbandonata da tempo, oltre che messa all’asta dal Comune da due anni per essere venduta e sostituita con degli appartamenti. Abbiamo parlato della Palestina e poi di questo spazio dentro il quale sembrava impossibile poter parlare di Palestina. Jane mi ha raccontato che nella chiesa che frequenta, una delle più aperte in zona, aveva sentito alle sue spalle una donna di mezza età che, maledicendo i manifestanti pro Palestina a Londra, brontolava su questi ingrati che brandiscono una bandiera dimenticando la storia. Io prendevo questo e altri pezzi di notizie e non sapevo cosa farne, sembravano le forme e i colori accumulati in una scacchiera per me impossibile da leggere e distinguere, elementi che in loro presenza non mi permettono di vivere in pace.

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Quelle carovane che fecero diversa questa terra. In ricordo di Vittorio Cristelli
Vittorio Cristelli

(26 aprile 2024) Vittorio Cristelli nei giorni scorsi ha lasciato questo mondo. Non ci vedevamo da tempo e, malgrado mi fossi riproposto di andarlo a trovare, alla fine le nostre vite di corsa hanno avuto il sopravvento, perché il limite anche se ne parliamo (ma non abbastanza) poi non lo sappiamo declinare. Ed ora un'assenza, definitiva. Che si traduce in disagio. Provo a scriverne, avvertendo un debito di riconoscenza.

Perché c'è stato un passaggio di tempo, in particolare nel decennio successivo alla caduta del muro di Berlino, in cui la frequentazione con Vittorio è divenuta parte di una comune ed intensa ricerca culturale e politica. In quegli anni di profonde trasformazioni, negli assetti globali come intorno a noi, l'impegno per la pace s'intrecciò con un profondo interrogarsi su come reimmaginare lo scenario politico, trentino ma non solo.

Certamente la pace fu il terreno del nostro incontro. Le grandi speranze di un mondo diverso da quello che aveva segnato il secondo dopoguerra, che accomunava persone anche tanto diverse come noi attorno alle parole di padre Ernesto Balducci, si erano ben presto rivelate nel loro opposto: era di nuovo la guerra il tratto che riempiva lo scenario globale, dal Vicino Oriente alla regione africana dei Grandi Laghi, dall'America centrale ai Balcani.

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L'infelicità araba
Samir Kassir
 
L'infelicità araba
 
Einaudi, 2006
 

Eredi di una grande civiltà che guardava al futuro, gli arabi possono riappropriarsi del proprio destino. A patto di liberarsi della cultura del vittimismo. E di fare i conti con quella modernità che molti continuaano a vivere come una minaccia.

Samir Kassir (Beirut, 1960-2005) ha animato per due decenni la vita intellettuale e politica libanese. Nel 2005 ha ispirato la “primavera di Beirut”, il movimento di massa che ha condotto alla liberazione del Libano dalle truppe di occuupzione siriane. Un impegno che ha pagato con la vita, venendo assassinato il 2 giugno 2005 in un attentato. Questo è il suo ultimo libro, il suo testamento politico.

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La pulizia etnica della Palestina
copertina Pappe

Ilan Pappe

La pulizia etnica della Palestina

Fazi Editore, 2008

 

«Nel 1948 nacque lo Stato di Israele. Ma nel 1948 ebbe luogo anche la Nakba (catastrofe), ovvero la cacciata di circa 250.000 palestinesi dalla loro terra. La vulgata israeliana ha sempre narrato che in quell'anno, allo scadere del Mandato britannico in Palestina, le Nazioni Unite avevano proposto di dividere la regione in due Stati: il movimento sionista era d'accordo, ma il mondo arabo si oppose; per questo, entrò in guerra con Israele e convinse i palestinesi ad abbandonare i territori - nonostante gli appelli dei leader ebrei a rimanere - pur di facilitare l'ingresso delle truppe arabe. La tragedia dei rifugiati palestinesi, di conseguenza, non sarebbe direttamente imputabile a Israele. Ilan Pappe, ricercatore appartenente alla corrente dei New Historians israeliani, ha studiato a lungo la documentazione (compresi gli archivi militari desecretati nel 1998) esistente su questo punto cruciale della storia del suo paese, giungendo a una visione chiara di quanto era accaduto nel '48 drammaticamente in contrasto con la versione tramandata dalla storiagrafia ufficiale: già negli anni Trenta, la leadership del futuro Stato di Israele (in particolare sotto la direzione del padre del sionismo, David Ben Gurion) aveva ideato e programmato in modo sistematico un piano di pulizia etnica della Palestina...». 

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«Il Professore». La storia di un pluriomicidio che ci riporta in un tempo sospeso.
la prima di copertina del libro

Gianfranco de Bertolini

Il Professore

Storia documentata di delitto e di amicizia

Edizioni del Faro, 2023

di Michele Nardelli

Sono molteplici le sensazioni che ho provato quando sono giunto a pagina 621 del romanzo di Gianfranco de Bertolini “Il professore” (Edizioni del Faro, 2023).

La prima è quella di aver percorso un tratto ancora in buona parte da scrivere dell'effervescente ma anche tormentato secondo dopoguerra di una “periferia” che salì improvvisamente alla ribalta delle cronache politiche. Avvenimenti che intercettarono lo spirito del tempo e che contribuirono a cambiare nell'arco di qualche stagione le relazioni sociali e il nostro modo di vivere. Farne tesoro, fuori dagli stereotipi e dalle banalizzazioni, non sarebbe male.

Anche il tragico epilogo della vicenda narrata nel romanzo potrebbe essere assunto come emblematico di una società che dopo i grandi rivolgimenti degli anni '60 e '70 stava sempre più atomizzandosi, laddove il disagio del singolo non riusciva più a trovare risposte collettive. E questo malgrado il fatto che almeno una parte della politica, fra mille contraddizioni, seppe qui interpretare la transizione dalla prima alla seconda repubblica in maniera diversa e creativa rispetto alla deriva del rancore che conoscemmo altrove. Pensammo stoltamente che questa terra avesse anticorpi sufficienti, ma non era così e quando ce ne accorgemmo era ormai troppo tardi.

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La politica come riconoscimento della complessità. In ricordo dell'amico Massimo
Massimo Gorla in un momento di convivialità con Emilio Molinari

Sono vent'anni da quando Massimo Gorla ci ha lasciati. 

di Emilio Molinari e Michele Nardelli

Chissà come Massimo avrebbe vissuto questi anni “maledettamente interessanti”. Intanto forse avrebbe avuto da ridire su questo aggettivo, interessanti. O comunque avrebbe messo l'accento sull'avverbio, quel “maledettamente” che già segnava il tempo del suo mettersi di lato, quella “nuttata” che già nell'ultimo decennio del secolo scorso lasciava intravedere quel che ci saremmo dovuti aspettare nei decenni a venire.

Per non sbagliarsi, Massimo Gorla pensò di lasciarci il 20 gennaio 2004, alla soglia del suo settantunesimo compleanno. Per chi non ha avuto il privilegio di conoscerlo, Massimo è stato un protagonista nella storia della nuova sinistra in Italia e in Europa, parlamentare italiano per due legislature, responsabile esteri di Democrazia Proletaria e tanto altro ancora, ma in primo luogo un caro amico con il quale abbiamo condiviso un tratto importante delle nostre vite, pubbliche e private, quando questa distinzione era piuttosto sottile, forse fin troppo per quanto l'agire politico avvolgeva le nostre esistenze. Eppure se la gioia del vivere non ci era affatto estranea, per Massimo di certo occupava un posto speciale che faceva il paio con la sua gentilezza.

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Una canoa piena di buchi
C'è vita al campo di Jasenovac,

di Ferdinando Cotugno *

Ho aspettato un po', prima di scrivere quest'ultimo dispaccio di Areale da COP28 a Dubai. È successo tutto di mattina, in pochissimo tempo. Sono arrivato alle 8, alle 10 era già storia. Dopo trecento ore di negoziati è bastato praticamente un minuto e il Global Stocktake è stato approvato, c'è stato un lungo applauso, tutti hanno iniziato a correre, ho corso anche io, mi sono trovato davanti all'inviato cinese per il clima Xie Zhenhua che abbracciava il ministro danese dell'ambiente Dan Jørgensen, e la COP era già finita. È strano come le cose della vita durino tanto e poi finiscano all'improvviso. È andata, è finita, l'astronave del multilateralismo per affrontare i cambiamenti climatici è atterrata anche quest'anno, dopo una serie di turbolenze molto violente. Mi sono preso tempo per far scendere tutto, ho camminato un po' avanti e indietro mentre qui si smantellava tutto, poi mi hanno detto di sbrigarmi, perché tra due ore l'Expo di Dubai non sarà più suolo ONU e verrà restituito agli Emirati, quindi questo ultimo dispaccio è scritto col cuore in gola, prima di essere cacciato. Questo è l'ultimo episodio di Areale da COP28, cominciamo.

Trentaquattro parole

Tanti mi hanno chiesto: beh? Abbiamo vinto? Abbiamo perso? Io rispondo: abbiamo assistito alla storia, ed è una storia che siamo chiamati a decodificare, digerire e applicare. La conferenza sul clima più controversa ha portato al primo accordo esplicito sui combustibili fossili da quando esiste il processo multilaterale per affrontare i cambiamenti climatici. Oh. Ecco. Da oggi è un fatto condiviso, potremmo dire ufficiale, che il clima è un problema di combustibili fossili, che si risolve partendo dai combustibili fossili.

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«Il monito della ninfea», cinque anni dopo.
Seconda edizione

(29 ottobre 2023) Sono trascorsi cinque anni dalla tragedia di Vaia. Da quel 28 ottobre 2018 quando il ciclone extratropicale si depositò sul territorio dolomitico lasciando dietro di sé la devastazione di 42.525 ettari di bosco, insieme ad altre conseguenze sul piano ambientale e idrogeologico. Si trattò dell'evento naturale di maggior impatto ambientale mai registrato nell'arco alpino, come conseguenza della crisi climatica che segna il nostro tempo. Il ciclone - inedito in un'area tradizionalmente temperata come il Mediterraneo - era partito infatti nella sua propaggine occidentale proprio come effetto dell'aumento della temperatura in superficie del mare cresciuta quell'anno di circa tre gradi.

Non si tratta però di una semplice ricorrenza. Nel corso di questi cinque anni gli effetti di Vaia si sono misurati in vari modi e ancor oggi intere aree boschive sono ancora li come la forza del vento li ha lasciati. C'è però un effetto collaterale più grave di altri: si chiama bostrico tipografo. Un coleottero sempre presente nelle Alpi ma che, proprio in relazione alle conseguenze degli eventi estremi prodotti dalla crisi climatica, dall'infragilimento di boschi monocolturali e dalla temperatura media nell'arco alpino che ha già raggiunto la crescita di due gradi centigradi, ha trovato una condizione particolarmente favorevole ad una sua anomala proliferazione. Che porta alla morte nell'arco di una stagione dell'abete rosso aggredito.

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Mostri? No, figli del patriarcato
Violenza di genere

Quella che segue è la lettera di Elena Cecchettin pubblicata dal Corriere della Sera. La sorella di Giulia fin dalle prime ore ha preso posizione perché la tragedia sia spunto di riflessione sulla violenza di genere.

di Elena Cecchettin

Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro.

La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling.

La locandina dell'evento

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Tempi storici, tempi biologici
La prima di copertina del libro

Enzo Tiezzi

Tempi storici, tempi biologici

Con una nuova introduzione venticinque anni dopo

Donzelli editore, 2001



Mentre con lo schiudersi del nuovo millennio la scienza celebra i fasti di risultati fino a ieri semplicemente inimmaginabili, è nello stesso tempo davanti agli occhi di tutti una crisi radicale del nostro rapporto con la natura. …

La modernità di Tempi storici, tempi biologici sta proprio nell'aver intuito l'intreccio fra economia sostenibile e fisica evolutiva, tra valori etici e politica ambientale, tra estetica e scienza della complessità.

«I tempi che ci interessano sono quelli biologici, ma la rapidità con cui i parametri di oggi si muovono è di gran lunga superiore a prima. Le modificazioni naturali, che prima avevano tempi di millenni, oggi per il duro impatto delle moderne tecnologie possono avere tempi brevissimi»

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