"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Domenica 9 febbraio 2025: Passeggiata dalle Viote del Bondone a Vason organizzata da ventidue associazioni per contrastare un modello di sviluppo turistico anacronistico e predatorio che viene proposto per il Monte Bondone, così come per tante altre località del Trentino.
Appuntamento ore 10. 00 al parcheggio delle Viote per una facile passeggiata di 3 km fino alla piazzetta di Vason, adatta a tutt e intervallata da interventi di approfondimento.
Domenica 9 febbraio 2025, anche in Trentino, ventidue tra associazioni e movimenti parteciperanno alla mobilitazione nazionale "La Montagna non si arrende", un'iniziativa diffusa che coinvolgerà l'intero arco alpino e la dorsale appenninica per contrastare un modello di sviluppo anacronistico e predatorio, basato su pratiche estrattive e grandi-eventi come i giochi olimpici.
Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato sul pianeta Terra e in Trentino, come in tutte le Alpi, le temperature stanno crescendo a una velocità doppia rispetto alla media globale. L’intero Trentino si trova quindi a gestire un cambiamento climatico repentino con grandi impatti sul nostro territorio.
Quello che invece non cambia è la logica di sfruttamento delle nostre montagne che punta solo all’ottenimento di consenso e a vantaggi economici di breve termine, perlopiù privati, con un enorme spreco di risorse pubbliche.
di Giorgio Cavallo
(27 gennaio 2025) Sta rapidamente scemando l’interesse della pubblica opinione per il caso del generale libico ricercato dalla Corte Penale internazionale e riportato in patria dal governo italiano con un volo dedicato.
In uno stato di diritto come riteniamo sia l’Italia, ma anche in altre democrazie come ad es. Israele, siamo ormai abituati, quando serve qualcosa di particolare in termini di interpretazione di comportamenti “disumani”, a produrre normative che lo permettano. Sarà poi il sistema giudiziario e la verifica costituzionale a impedirne l’applicazione qualora si superino determinati limiti. In Italia il continuo tira e molla della legislazione (e della stessa regolamentazione) in materia di immigrazione ne è un esempio palese. Nessuno può mettere in dubbio che trasportare migranti in un porto lontano dall’area di ritrovamento è un atto “criminale” poiché diminuisce la quantità di ulteriori salvataggi di emergenza, ma fintanto che la norma non è contestata da una qualche magistratura abilitata, un dipendente pubblico pare costretto ad applicarla. E nessuno dubita che la norma esista (e probabilmente sia “valida”) perché c’è un popolo che democraticamente la sostiene in un quadro dove la “lotta alla immigrazione”, formalmente a quella clandestina ma di fatto in tutti i possibili campi di applicazione, è un elemento “identitario” della maggioranza eletta che governa l’Italia.
Il 20 dicembre scorso si è riunito da remoto il Collettivo di scrittura nato attorno al libro “Inverno liquido”. Pur trattandosi di un incontro piuttosto informale di fine anno è stato comunque denso e partecipato1. Quella che segue è una sintesi di quanto ci siamo detti.
Una comunità di pensiero
Questo cerchiamo di essere. E non è poca cosa. Perché in questo tempo disgraziato, aver dato vita ad uno spazio che si propone di alzare lo sguardo sull'impatto delle crisi sugli ecosistemi, non è in effetti cosa da nulla. L'approccio dei più è quello di rincorrere gli eventi, inevitabile esserne subalterni. Quando invece sappiamo che i cambiamenti profondi, culturali in primis, richiedono tempi distesi. Come scrive Paolo Conte “ci va il tempo che ci va”2.
Eppure, dall'osservazione del reale emergono segnali inequivocabili, che l'accanimento terapeutico dei finanziamenti pubblici non riesce a nascondere, come ad esempio la continua moria di imprese nel settore impiantistico o l'inutilità degli impianti per l'innevamento artificiale quando le temperature sono troppo elevate. O, ancora, nel susseguirsi di eventi estremi che seccano le centrali di approvvigionamento idrico o che mettono sott'acqua intere regioni, senza che tutto ciò porti ad interrogarsi sull'insostenibilità del modello di sviluppo che si è imposto nel tempo.
Il rapporto. Dopo mesi di lavoro, la rivista scientifica rivede i numeri. Il 60% sono donne e bambini.
di Andrea Capocci *
Il numero di oltre 45mila vittime riportato dal ministero della sanità di Gaza è una notevole sottostima delle perdite palestinesi causate della guerra di Israele. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, a causa delle difficili condizioni in cui versano le strutture di soccorso della Striscia il 40% dei morti potrebbe mancare dai registri.
L’analisi, coordinata dalla ricercatrice Zeina Jamaluddine della prestigiosa London School of Hygiene & Tropical Medicine, calcola che già a giugno del 2024 una ragionevole stima dei morti causati da bombardamenti e raid israeliani è di 64mila vittime, e con buona certezza compresa tra le 55 mila e le 78 mila. Alla data del 30 giugno, il ministero di Hamas parlava di 38mila vittime, di cui diecimila non identificate. Cioè, poco più della metà della cifra reale. Oggi, trascorsi altri sei mesi, i ricercatori ritengono che siano morti sotto le bombe già più di settantamila palestinesi.
L'amico Mauro Ceruti, ordinario di Filosofia della scienza all'Università IULM di Milano e fra i pionieri dell'elaborazione del pensiero della complessità, mi invia questa breve ma intensa riflessione che voglio condividere con i lettori di questo blog.
Nel panorama attuale di crisi globali, Mauro Ceruti ci invita a riflettere sulla fragilità condivisa dell'umanità e sulla necessità di costruire un nuovo paradigma di fraternità universale. Dal rischio dell'autodistruzione nucleare al cambiamento climatico, fino al ruolo controverso della tecnologia, il filosofo esplora le possibilità di un futuro fondato sulla cultura dell'incontro e sull'ecologia integrale. Come possiamo trasformare le sfide globali in opportunità per una nuova coscienza planetaria.
di Lucio Caracciolo *
Da venerdì scorso la Siria è rientrata nell’equazione della “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco
(2 dicembre 2024) Contatto. La ripresa in grande stile del conflitto di Siria connette i due epicentri che stanno ridisegnando i rapporti di forza nel mondo: l’ucraino e il mediorientale. Una sola guerra calda, ormai. Nella quale sono più o meno direttamente coinvolte tutte le potenze massime. Uno sguardo alla carta geografica rende l’idea del continuum che dalla pianura sarmatica via Mar Nero sfiorando il Caucaso penetra verso il Levante e la Penisola Arabica, per culminare nello Yemen controllato dagli Houti, chiave di volta dei passaggi fra il nostro mare e quelli cinesi. All’incrocio dei tre grandi imperi eurasiatici — russo, persiano e ottomano — in aggiornata competizione, coprotagonisti della partita fra Stati Uniti e Cina per l’egemonia planetaria, centrata sull’Indo-Pacifico.
Da venerdì scorso, quando una variegata miscela di milizie jihadiste e ribelli anti-Asad ha occupato Aleppo abbandonata dalle truppe di Damasco per puntare in velocità verso la capitale, la Siria è rientrata nell’equazione della “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco. Il regime sembra in via di dissoluzione. Pareva così anche nei primi anni Dieci, quando fu investito dall’onda della “primavera araba”. Le prossime settimane permetteranno forse di stabilire se di coma si tratti, preludio della fine, o solo dell’ennesimo rimescolamento delle partite siriane e levantine. Nuova spartizione dei resti di Siria.
di Ferdinando Cotugno *
(22 novembre 2024) Le conferenze sul clima funzionano così: due settimane di performance e un giorno o due di verità così distillata e pura da fare male agli occhi. Quella parte è cominciata nel pomeriggio. Gli affaristi sono già tornati a casa, i lobbisti hanno influenzato quello che potevano influenzare, i padiglioni sono stati smantellati, i bar iniziano a chiudere, i volontari si fanno i selfie e iniziano a pensare a cosa faranno dopo. E tutti gli altri iniziano a negoziare per salvarsi la vita.
Poche ore fa è arrivata quella che probabilmente sarà la penultima bozza del New Collective Quantified Goal di COP29. Le bozze di solito esplodono alle COP come petardi, un minuto prima sono tutti tranquilli, in attesa di qualsiasi cosa possa svegliarci, un minuto dopo suonano le notifiche a tutti, tutte insieme. Poi si reagisce a seconda della propria prospettiva, tutti cominciano a correre, cercare fonti, spunti, letture, interpretazioni, esegesi, prospettive, è il punto in cui la gente qui tende davvero a perdere il controllo, è un momento sempre strano, e bello, e assurdo, e doloroso, perché vedi che sono anche spaventati, ci sono destini ultimi di nazioni e popoli in quelle bozze, anche in quelle dei soldi per il clima, che sono forse il più estremo dei destini ultimi. L'arca di Noè era gratis, ma era prima dell'economia di mercato.