«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Giorgio Beretta
(14.11.2023) Voglio essere chiaro. Continuare a fornire armamenti a Israele da parte degli Stati Uniti e dei Paesi dell’Unione europea costituisce un esplicito sostegno all’indiscriminata e criminale operazione militare “Spade di ferro” condotta dalle forze armate israeliane nella Striscia di Gaza.
Come evidenziano diverse associazioni per i diritti umani, a fronte delle gravi violazioni del diritto internazionale e delle leggi di guerra, continuare ad inviare materiali militari a Israele rischia di rendere i Paesi fornitori complici di questi abusi contribuendone consapevolmente e in modo significativo.
Questo è inaccettabile per i Paesi dell’Unione sia ai sensi delle normative nazionali, degli impegni assunti in sede comunitaria in materia di controllo delle esportazioni di armamenti, sia soprattutto delle norme del “Trattato internazionale sul commercio di armi” che è stato ratificato dai principali Paesi dell’Unione nell’aprile del 2014 ed è entrato in vigore il 24 dicembre dello stesso anno.
Le istituzioni europee hanno pertanto il dovere non solo di richiamare lo Stato di Israele al rispetto delle Convenzioni internazionali, ma di sospendere, se non revocare, le forniture di armamenti e sistemi militari.
Un editoriale di Dario Basile sull'edizione torinese del Corriere della Sera di ieri 31 ottobre dal titolo: "L'inverno liquido e la montagna piemontese in cerca di un futuro".
Se ne parlerà domenica 5 novembre p.v. a Borgo San Dalmazzo in provincia di Cuneo (ore 19.00), in occasione del Salone della montagna "Winter Outdoor Weekend". Alla novantesima presentazione di "Inverno liquido.La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa" sarà presente uno degli autori, Maurizio Dematteis.
Puoi leggere l'editoriale di Basile nell'allegato.
Quella che segue è la lettera di Elena Cecchettin pubblicata dal Corriere della Sera. La sorella di Giulia fin dalle prime ore ha preso posizione perché la tragedia sia spunto di riflessione sulla violenza di genere.
di Elena Cecchettin
Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro.
La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling.
Una staffetta di digiuno per la Pace e il cessate il fuoco inizia oggi 3 novembre in Trentino e proseguirà nei venerdì di novembre (e in altri giorni della settimana con l'adesione di gruppi che vorranno aderire), per testimoniare la vicinanza alle vittime delle guerre e condannare ogni forma di violenza.
La #staffettadigiunotrentino è promossa dal Cantiere di Pace del Trentino e dal Centro Pace di Rovereto in rete con tante associazioni del Trentino.
Questo il calendario con le prime adesioni:
Venerdì 3 novembre – Ilaria P., Andrea T., Massimiliano P., Giovanna S., Luigi A., Sandra D.
Lunedì 6 novembre - Khezar I., Leila L., Jihane S., Najoua M., Siham D., Paolo R., Paola T, Emma D. G., Stefano R.
Venerdì 10 novembre – Ilaria P., Marco B., Michele N., Alessandra S., Giovanna S., Luigi A., Marta A., Silvana R., Bruno M., Luigi C., Manuela G., Gabriella M.
Lunedì 13 novembre - Khezar I., Leila L., Jihane S., Najoua M., Siham D, Jacopo Z., Silvano B. e Laura M., Lucia C.
Venerdì 17 novembre - Ilaria P. , Maria Grazia S., Roberto M., Fiordanna D., Miriam F., Paolo M., Giovanna S., Luigi A., Mariangela D., , Manuela G.
Lunedì 20 novembre - Khezar I., Leila L., Jihane S., Najoua M., Siham D.
Venerdì 24 novembre - Ilaria P., Alberto T. e Giulia B., Miriam F., Giovanna S., Luigi A., Walter N., Rudi P., Manuela G.
Lunedì 27 novembre - Khezar I., Leila L., Jihane S., Najoua M., Siham D.
Intervista ad Ali Rashid, pubblicata dal blog "Volere la luna" *
di Loris Campetti
Per molti anni in Italia la causa palestinese ha avuto un nome: Ali Rashid. È stato primo segretario della delegazione generale palestinese, nei fatti l’ambasciatore di un popolo senza Stato. Eravamo in un’altra stagione, in cui i palestinesi rappresentavano la parte più avanzata del mondo arabo e, pur tra una guerra e l’altra, tra i raid e le occupazioni israeliane, la politica veniva prima delle armi, se non altro le governava. E l’Italia aveva a cuore la causa palestinese. Giorni fa, Ali ha messo nero su bianco la sua disperazione in una riflessione il cui titolo esplicita la sua utopia che bombe e missili stanno frantumando: «Eppure una volta eravamo fratelli». Ricordo la passione con cui socializzava il suo sogno, uno stato laico democratico capace di accogliere tutti, vittime di ieri e di oggi, al di là delle fedi e delle razze. E ancora oggi, dentro la macelleria in atto a Gaza e dopo la strage di Hamas, non ha cambiato idea, ma considera con amarezza: «Ci stiamo trasformando tutti in vittime e carnefici per la gabbia di un delirio che si chiama Stato-nazione, segnato da confini che discriminano in nome di razze che non esistono e appartenenze funzionali all’esercizio del potere. La ragione, l’umanità, la vita ci supplicano di dire no alla guerra. Nessuno ci ha condannato a farci a pezzi anche se ci assicurano che questo avviene per il nostro futuro. Perché nella guerra non ci sono più, se mai ci sono stati, vincitori e vinti. Perché la violenza segna chi la subisce e chi la fa». Nel 2006 Rashid è stato eletto parlamentare nel gruppo di Rifondazione comunista.
Ho raggiunto telefonicamente Ali Rashid ad Amman, la città dov’è nato da una famiglia scacciata da Lifta, un villaggio alle porte di Gerusalemme, dall’esercito israeliano nel pieno delle sue funzioni: «La pulizia etnica». Parliamo di quel che resta della Striscia di Gaza.
«Come in una discarica, a Gaza sono finiti gli abitanti della costa meridionale della Palestina, vittime della pulizia etnica. Per svuotare ogni città o villaggio palestinese furono compiuti piccoli e grandi massacri. Lo stesso è avvenuto nei luoghi dove sono sorte città nelle vicinanze di Gaza, teatro degli eccidi compiuti da noi palestinesi in una catena di orrori che sembra inarrestabile. Oggi la situazione è terribile, uomini, donne e bambine muoiono sotto le bombe israeliane, muore l’umanità, si muore di fame, di sete, di malattie, di disperazione, le incubatrici si spengono perché non c’è elettricità e altri bambini muoiono, crollano case, ospedali, chiese. Forse che le loro vite valgono meno di quelle dei bimbi israeliani uccisi dalla stessa follia?»
di Diego Cason
Nella storia umana la pace è transitoria, una fortunata contingenza, prodotta e protetta da una solida barriera di iniquità, figlie del predominio. Lo sapeva già Esiodo 2800 anni fa:
O Perse, ascolta tu la Giustizia, né mai favorire
la Prepotenza: ch’è male pel debole; e il forte, ancor esso
non la sostien leggera, ma sotto il suo peso s’aggrava,
quand’ei nella Follia della colpa s’imbatte. Assai meglio
vale seguir l’altra via, che guida a Giustizia: Giustizia
sempre alla fine trionfa, lo stolido impara a sue spese.
La pace è un’aspirazione utopica che, come il fuoco, deve essere quotidianamente alimentata. Se la fiamma dell’utopia langue o si estingue l’armonia è perduta e con essa la pace. Anche Pindaro tre secoli dopo, a proposito di Atene, scrive:
Quivi abita, insieme con Ordine e Giustizia sua suora, per cui
in pie’ le città restan salde, e Pace, datrice di beni,
figlie auree di Tètide dal savio consiglio.
Tracotanza, ch’è madre superba
dell’Odio, sanno esse respinger lontano.
Pindaro associa, come è necessario, per avere un’armonia duratura, le tre figlie di Tètide. La loro madre ebbe anche un figlio maschio, Achille, simbolo della prepotenza, condannato alla perenne guerra alla quale si adattò, credendosi immortale, perché ambiva la gloria. Il conflitto e il violento massacro dei fratelli stanno scritti nella natura ferina dell'uomo. Per ottenere la pace è necessario rifiutare il destino e desiderare qualcosa di meglio da condividere con gli altri.
In ricordo di Franco Giacomoni.
Il luogo è la sede dell'associazione degli alpinisti di Sarajevo, nel cuore della città vecchia. Un folto gruppo di persone fatica a trovare posto, come a rispondere ad un richiamo che non conosce confini. E' il 27 novembre 2006 e qui, in questo luogo simbolico di una città che nel 1984 ospitò le Olimpiadi invernali, viene presentato l'opuscolo intitolato "Staze. Planiranje, znakovi i odrzavanje" (Sentieri. Pianificazione, segnaletica e manutenzione), il manuale della SAT, la sezione trentina del Club Alpino Italiano, tradotto in serbo-croato-bosniaco perché divenga uno strumento di riavvicinamento delle popolazioni e di smilitarizzazione delle montagne, in Bosnia Erzegovina come in tutti i Balcani. Tutt'intorno antiche attrezzature da montagna. Con me ci sono Pier Giorgio Oliveti, direttore del Circuito Città Slow e responsabile della comunicazione del CAI, Valentina Pellizzer, responsabile di Oneworld Sud Est Europe e il presidente della SAT Franco Giacomoni. Altri avrebbero dovuto raggiungerci in aereo, ma l'aeroporto di Sarajevo ha annullato tutti i voli in arrivo a causa di una forte nevicata.