"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Sono molti gli studi sul tema: l’idea di fondo è uscire dalla tradizionale polarizzazione montanari-cittadini pensando un nuovo stile di interconnessione continua fra sistemi socio-territoriali. Un articolo su Avvenire di oggi 26 aprile.
di Edoardo Castagna*
Agli ultimi Mondiali di sci alpino duecento atleti hanno presentato alla Federazione internazionale una lettera in cui chiedevano di prendere atto dell’insostenibilità dell’attuale sistema agonistico. Gli atleti (tra i quali la coppia d’oro del Circo bianco, Aleksander Kilde e Mikaela Shiffrin, e la nostra più grande campionessa, Federica Brignone) hanno chiesto interventi semplici e sensati: non forzare l’apertura della stagione prima del tempo e posticiparne invece la chiusura, sfruttando l’innevamento più prolungato delle montagne scandinave; oppure evitare trasferte ripetute a lungo raggio (nella stagione appena conclusa si è andati due volte in Nordamerica, a dicembre e poi di nuovo a marzo). Non si conosce la reazione concreta della Federazione, il cui presidente è anche il proprietario di una delle più importanti aziende produttrici di sci (e ha tutto l’interesse a mettere in mostra le novità della stagione il prima possibile e nel maggior numero di luoghi possibile); ma la sensibilità dimostrata da chi in montagna e di montagna vive, come gli sciatori, è in perfetta coerenza con quanto da tempo vanno elaborando gli studiosi delle dinamiche dello spopolamento e del ripopolamento delle aree interne.
(aprile 2023) Vittorio Bellavite era una figura poliedrica che bene incarnava ciò che un tempo chiamavamo “identità demoproletaria”. Quel pensiero laterale che faceva convivere in un'unica soggettività culture politiche diverse, il Concilio Vaticano II e la teologia della liberazione, il pacifismo e la nonviolenza, l'egualitarismo e l'ambientalismo, nello sforzo tutt'altro che banale di condurre a sintesi pensieri e pratiche di liberazione.
La sua storia politica era quella di molti di noi, il cristianesimo dei poveri, il Movimento Politico dei Lavoratori di Livio Labor, il Partito di Unità Proletaria di Vittorio Foa e Silvano Miniati, l'impegno in Democrazia Proletaria e, conclusasi questa esperienza, la Convenzione per l'alternativa di Milano, la Costituzione Beni Comuni, l'associazione “Laudato si'”. E poi la sua dedizione nel movimento ecclesiale "Noi Siamo Chiesa", parte di quel movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica, di cui era coordinatore e portavoce in Italia, come a riprendere nel suo ultimo tragitto quell'antico filo conduttore peraltro mai interrotto.
Zibaldone è un programma radiofonico curato da Steven Forti sulle onde di Radio Contrabanda, una storica radio libera barcellonese con sede nella centralissima Plaça Reial.
Steven vive a Barcellona dal 2006 dove è arrivato prima per il programma Erasmus e in seguito, dopo la laurea all'Università di Bologna, grazie ad una borsa di dottorando intorno ai temi della ricerca storica sulla Spagna e la Cataluña.
Oltre alla Radio e a numero se collaborazioni con riviste e giornali italiani e spagnoli, Steven partecipa alla realizzazione di un Festival musicale appena nato: Cose di Amilcare (www.cosediamilcare.eu). Il riferimento è ad Amilcare Rambaldi, lo storico fondatore del Club Tenco di Sanremo (1972). Una rassegna musicale, ma non solo, patrocinata dallo stesso Club Tenco in collaborazione con il BarnaSants di Barcellona (festival dedicato alla canzone d’autore).
Nei giorni scorsi, la puntata del programma Zibaldone dedicata ai temi del cambiamento climatico e delle guerre della memoria aveva come titolo “Inverno liquido e storia contesa”.
Sotto i colpi della crisi climatica, i territori di montagna devono ripensarsi, e superare il turismo di massa.
di Flavio Pintarelli *
Non più tardi di un anno e mezzo fa, le conseguenze del riscaldamento globale sulle regioni di montagna sembravano oggetto di dibattito soltanto tra specialisti ed esperti, o al centro degli interessi delle poche comunità locali dove il loro impatto era già evidente. Poi qualcosa è cambiato. All’inizio della stagione sciistica del 2021, i media austriaci hanno pubblicato le foto di alcune piste da sci che, innevate in modo artificiale, spiccavano con il loro candore nel paesaggio circostante verde e marrone. Non erano le prime immagini a documentare il fenomeno, ma sono state tra le prime a diventare virali.
Qualche mese più tardi sono girate molto altre foto, quelle delle olimpiadi invernali di Pechino 2022. Oltre alle piste di sci alpino innevate artificialmente in un panorama brullo, ha colpito molti anche il trampolino costruito a fianco ai resti di una vecchia acciaieria in disuso. Quelle immagini riuscivano a far dialogare insieme un simbolo della modernità, il complesso industriale dismesso, e uno della “post modernità”, il trampolino innevato artificialmente, dando così voce al discorso sull’Antropocene come eredità spettrale dell’utopia moderna. Nell’estate dello stesso anno, un seracco di ghiaccio si è staccato dal corpo della Marmolada ed è rovinato a valle, portando con sé le vite di 11 persone. Nessuno ha potuto fare a meno di notare che il crollo si era verificato dopo settimane di temperature ben al di sopra delle medie del periodo. L’ondata di calore a cui è stato attribuito il crollo sulla Marmolada non ha più smesso di accompagnarci. Tramutata in siccità, è diventata un tema ricorrente della cronaca e una presenza fissa nel panorama mediatico degli ultimi mesi.
“La crisi climatica e la siccità vanno affrontate subito e in maniera realmente efficace. Non servono slogan e soluzioni estemporanee ma interventi integrati che vadano oltre l’emergenza mettendo in campo una politica idrica che favorisca l’adattamento ai cambiamenti climatici.”
Questo l’appello che le associazioni CIPRA Italia, CIRF, Deafal, Dislivelli, Federazione Nazionale Pro Natura, Federparchi, Free Rivers Italia, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness e WWF Italia lanciano oggi. Serve un’azione politica che vada oltre l’emergenza con la messa in atto di efficaci “piani ordinari”. La grave crisi idrica in corso è senza dubbio da inquadrare nella epocale crisi climatica ed ecologica in atto e come tale va approcciata in modo strutturale, affrontando le cause e non correndo dietro ai sintomi: bisogna dunque evitare risposte emergenziali e analizzare il problema con competenza, per individuare soluzioni realmente efficaci e durature.
L’attuale azione di Governo - come dimostrato anche dal DL Siccità appena approvato - basata esclusivamente su interventi infrastrutturali, su un’estensione dell’approccio commissariale e su un’ulteriore artificializzazione di un reticolo idrico già prossimo al collasso, appare assolutamente inadeguata. Le associazioni puntano su un approccio integrato e su una forte diversificazione delle azioni, ricorrendo ove possibile a soluzioni basate sulla natura che sono multiobiettivo e spesso più economiche e di maggiore impatto per andare oltre l’emergenza.
La prima azione necessaria è ricostituire una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere il sistema delle disponibilità, dei consumi reali, della domanda potenziale e definire degli aggiornati bilanci idrici. Disseminare il territorio di nuovi invasi non è la risposta. Nessuna opposizione “ideologica”, ma sono una soluzione che ha molte controindicazioni per cui è semplicemente scriteriato affidarsi esclusivamente ad essi, soprattutto se non si tratta più dei “laghetti” collinari di piccole dimensioni richiesti da alcune associazioni di categoria bensì di vere e proprie dighe, oggetto di vecchi progetti che vengono recuperati e spacciati per misure miracolose ogni qual volta c’è odore di nuovi finanziamenti.
E' uscito in questi giorni l'ultimo numero del Newsmagazine di "Dislivelli", Ricerca e comunicazione sulla montagna.
Un numero speciale interamente dedicato al tema "Oltre la neve: come cambia il turismo".
Ospita interventi di Michele Nardelli, Enrico Camanni, Federico Zappini, Maurizio Dematteis, Andrea Omizzolo, Philipp Corradini, Guido Lavorgna, Lorenzo Berlendis, Francesco Picciotto, Vanda Bonardo, Silvia Spinelli, Andrea Membretti, Alberto Di Gioia, Francesco Pastorelli, Luca Serenthà, Andrea Zinzani, Danilo Ortelli, Diego Cason e Giuseppe Dematteis.
Una cromaticità di pensieri e parole di particolare valore, che potete leggere qui:
http://www.dislivelli.eu/blog/immagini/foto_feb_marz_ok/116_WEBMAGAZINE_dicembre22_febbraio23.pdf
Un gran bel lavoro, complimenti a Maurizio e alla redazione del Magazine.
di Mauro Magatti *
Se a livello privato si osserva l’indebolimento dell’empatia, sul piano politico-istituzionale questo tempo segna il ritorno in grande stile del conflitto armato per risolvere le controversie che si moltiplicano nel mondo globalizzato. L’invasione dell’Ucraina ha fatto da evento catalizzatore di processi già avviati negli anni precedenti che adesso stanno però acquisendo natura sistemica. Sono tre le tendenze principali che si vanno rafforzando reciprocamente. Secondo l’ultimo Rapporto disponibile del Stockholm International Peace Research Institute già nel 2021 - cioè prima dell’invasione Ucraina - la spesa militare complessiva a livello mondiale aveva superato (per la prima volta dal 1949) i 2.000 miliardi di dollari annui.
Un’ascesa cominciata nel 2015 e alimentata da cinque Paesi: i due terzi delle spese militari globali sono infatti effettuati da Usa, Cina, Russia, India e Regno Unito. Gli Stati della Ue, più indietro, dopo i fatti ucraini hanno cominciato la rincorsa: la Francia ha annunciato un programma per la difesa di oltre 400 miliardi di euro nei prossimi 7 anni. La Polonia ha annunciato che porterà al 4% del Pil le proprie spese militari e la Germania le raddoppierà sino oltre i 100 miliardi annui. D’altra parte, la guerra in Ucraina proclama che, per “vincere” o almeno non perdere lo scontro bellico, servono armi sempre più sofisticate: in un mondo tecnologico anche la guerra diventa tecnica (anche se a morire sono poi uomini e donne in carne e ossa, a centinaia di migliaia).
Il secondo trend è la costruzione di muri. Anche in questo caso la tendenza è cominciata a ben prima dell’attacco all’Ucraina. Muri e recinzioni costruiti per cercare di separare ciò che in realtà è strutturalmente unito sono ormai diffusi in tutti i continenti. A oggi si contano circa 80 muri per quasi 50.000 km, l’equivalente della circonferenza dell’intero pianeta. A fine del 2022 sui confini europei si contavano 2.048 chilometri di barriere, quando nel 2014 erano 315 e zero nel 1990. A seguito dell’invasione dell’Ucraina, anche la Finlandia ha cominciato a costruire un muro sulla lunga frontiera con la Russia. E per fronteggiare la questione migratoria qualche mese fa dodici Stati membri (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia) hanno chiesto alla Commissione finanziamenti per la costruzione di barriere fisiche di difesa.