«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Ugo Morelli *
(4 gennaio 2025) Ma chi siamo? Questi quattro gatti che si ostinano a farsi venire l’ulcera, derisi o vittime dell’indifferenza dei contemporanei, Cassandre senza audience, impegnati a segnalare che la follia del nostro tempo riguardo alla crisi ambientale, climatica e di vivibilità sul pianeta Terra ci porta all’autodistruzione? Noi tapini che rischiamo persino di fornire assoluzione a chi leggendoci ritiene di aver risolto il problema per la sola adesione formale all’ideologia ambientalista? Qui ci mettiamo insieme in alcuni, noti a doppiozero, come fan e assidui contributori: da Matteo Meschiari a Maurizio Corrado; da Amitav Ghosh a Elizabeth Kolbert; da Paolo Vidali a Mauro Barberis; da molti altri che non cito in questo contributo, a me stesso che scrivo.
Siamo quelli che sono convinti di dover scegliere a fronte della questione: se si tratti di estrarre e catturare ancora qualche risorsa presunta risolutiva, o invece di scoprire finalmente che siamo parte del tutto da cui dipende la nostra stessa esistenza, affrontando quella che Ghosh definisce la grande cecità. Una scelta che fa, forse, la differenza nell’affrontare la nostra condizione umana attuale sulla Terra. Quella condizione di noi terrestri è la nostra territà come la chiama giustamente Matteo Meschiari anche nell’introduzione al libro di Maurizio Corrado, Pleistocity. Frammenti di un discorso ecologico, Terracqua, Reggio Calabria 2024. Con il suo originale e pungente stile narrativo, Meschiari scrive: «Il Tribunale della Storia, chiamiamolo così, è uno strano miscuglio di consapevolezza e di senno di poi, di ramanzine e di buoni propositi. In ogni caso la sua efficacia è uguale a zero, tranne per una cosa: fare la lista di chi ci aveva visto giusto nonostante la nebbia sociale, nonostante la cortina ideologica e il perbenismo del suo tempo.»
L'amico Mauro Ceruti, ordinario di Filosofia della scienza all'Università IULM di Milano e fra i pionieri dell'elaborazione del pensiero della complessità, mi invia questa breve ma intensa riflessione che voglio condividere con i lettori di questo blog.
Nel panorama attuale di crisi globali, Mauro Ceruti ci invita a riflettere sulla fragilità condivisa dell'umanità e sulla necessità di costruire un nuovo paradigma di fraternità universale. Dal rischio dell'autodistruzione nucleare al cambiamento climatico, fino al ruolo controverso della tecnologia, il filosofo esplora le possibilità di un futuro fondato sulla cultura dell'incontro e sull'ecologia integrale. Come possiamo trasformare le sfide globali in opportunità per una nuova coscienza planetaria.
di Lucio Caracciolo *
Da venerdì scorso la Siria è rientrata nell’equazione della “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco
(2 dicembre 2024) Contatto. La ripresa in grande stile del conflitto di Siria connette i due epicentri che stanno ridisegnando i rapporti di forza nel mondo: l’ucraino e il mediorientale. Una sola guerra calda, ormai. Nella quale sono più o meno direttamente coinvolte tutte le potenze massime. Uno sguardo alla carta geografica rende l’idea del continuum che dalla pianura sarmatica via Mar Nero sfiorando il Caucaso penetra verso il Levante e la Penisola Arabica, per culminare nello Yemen controllato dagli Houti, chiave di volta dei passaggi fra il nostro mare e quelli cinesi. All’incrocio dei tre grandi imperi eurasiatici — russo, persiano e ottomano — in aggiornata competizione, coprotagonisti della partita fra Stati Uniti e Cina per l’egemonia planetaria, centrata sull’Indo-Pacifico.
Da venerdì scorso, quando una variegata miscela di milizie jihadiste e ribelli anti-Asad ha occupato Aleppo abbandonata dalle truppe di Damasco per puntare in velocità verso la capitale, la Siria è rientrata nell’equazione della “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco. Il regime sembra in via di dissoluzione. Pareva così anche nei primi anni Dieci, quando fu investito dall’onda della “primavera araba”. Le prossime settimane permetteranno forse di stabilire se di coma si tratti, preludio della fine, o solo dell’ennesimo rimescolamento delle partite siriane e levantine. Nuova spartizione dei resti di Siria.
di Federico Zappini *
L’inchiesta giudiziaria che coinvolge amministratori, imprenditori e professionisti tra Trentino e Alto Adige ci impone una riflessione sulla fase storica che stiamo attraversando. Fin d'ora dobbiamo cogliere l’occasione per interrogarci sulla relazione ambigua tra potere politico e interessi economici. Un intreccio pericoloso, non nuovo purtroppo.
Ogni volta che un amministrator* è coinvolto in una vicenda di malaffare non è solo la sua figura a essere messa in discussione. E' la credibilità dell’intero sistema di gestione della cosa pubblica a subire un colpo, alimentando un sentimento di sfiducia che delegittima l'intero impianto della democrazia rappresentativa. I dati sull’affluenza alle urne sono lì a dimostrarlo, ma non sono i soli. Sempre meno cittadini credono che prendere parte al processo democratico faccia davvero la differenza, convincendosi anzi che quel campo sia irrimediabilmente impraticabile.
Tangentopoli – a inizi anni ’90, quando ero ancora meno che un adolescente – è stata in questo un punto di rottura decisivo. In quel frangente l'interesse economico non solo premeva su singole parti del mondo politico ma trovava sponda in ampia parte del sistema dei partiti, dentro una pratica strutturata di corruzione e collusione. Alla cosiddetta fine della Prima Repubblica non è seguita una fase di rigenerazione della proposta politica ma una sorta di stanca inerzia a cui abbiamo dato il nome "crisi della rappresentanza". Ce ne proviamo ad occupare da un po', con risultati alterni.
Lo spettro della barbarie in Europa
Un'intervista a Paolo Rumiz sul suo ultimo libro "Verranno di notte" (Feltrinelli, 2024) *
Alla seconda pagina del suo nuovo libro, Verranno di notte (Feltrinelli), un pamphlet vorticoso, teso e poetico sull'Europa e la notte che le incombe addosso, le guerre che la assediano, il disamore e l'intolleranza che la investono, Paolo Rumiz scrive che l'identità è una parola che «non serve più a dire dove sei e da dove vieni, ma a cercare la rissa e a sdoganare armi; identità, stessa radice di idiotes, che in greco vuol dire "quelli ripiegati su se stessi", che hanno paura della complessità del mondo e non si lasciano fecondare dall'incontro con l'altro». Domenica, nel suo intervento a Viva24, la convention dell'estrema destra a Madrid, organizzata da Vox, Giorgia Meloni ha detto: «Possiamo costruire una Ue migliore e differente, può cambiare identità». Gli stessi che volevano abolire l'Europa, ora vogliono rifondarla. Non è chiaro in nome di cosa. Sono chiari i no, ma non si capisce, come ha scritto Orsina su questo giornale, cosa questa destra globale voglia in positivo. Scrive Rumiz: «La parola contro dilaga, il per è scomparso dal vocabolario».
L'Europa vibra di una guerra ancor sotterranea di tutti contro tutti, e Rumiz lo vede dal confine italo sloveno, dove si è trasferito da tempo, e dove da tempo, di notte, si sveglia agitato e si appunta gli incubi, le visioni, il resto del giorno prima che gli è rimasto addosso e le percezioni, soprattutto le percezioni – scrive di aver imparato a fidarsi molto di più di quelle che delle analisi. Le riporta tutte su questo libro, che è antologia, diario e poema. Dice come le cose sono e come potrebbero essere. E le dice in italiano e in inglese (il libro in inglese è disponibile in ebook su tutte le piattaforme). «Ci tengo: non ho scritto solo per gli italiani: ho scritto per gli europei».
di Ferdinando Cotugno *
(22 novembre 2024) Le conferenze sul clima funzionano così: due settimane di performance e un giorno o due di verità così distillata e pura da fare male agli occhi. Quella parte è cominciata nel pomeriggio. Gli affaristi sono già tornati a casa, i lobbisti hanno influenzato quello che potevano influenzare, i padiglioni sono stati smantellati, i bar iniziano a chiudere, i volontari si fanno i selfie e iniziano a pensare a cosa faranno dopo. E tutti gli altri iniziano a negoziare per salvarsi la vita.
Poche ore fa è arrivata quella che probabilmente sarà la penultima bozza del New Collective Quantified Goal di COP29. Le bozze di solito esplodono alle COP come petardi, un minuto prima sono tutti tranquilli, in attesa di qualsiasi cosa possa svegliarci, un minuto dopo suonano le notifiche a tutti, tutte insieme. Poi si reagisce a seconda della propria prospettiva, tutti cominciano a correre, cercare fonti, spunti, letture, interpretazioni, esegesi, prospettive, è il punto in cui la gente qui tende davvero a perdere il controllo, è un momento sempre strano, e bello, e assurdo, e doloroso, perché vedi che sono anche spaventati, ci sono destini ultimi di nazioni e popoli in quelle bozze, anche in quelle dei soldi per il clima, che sono forse il più estremo dei destini ultimi. L'arca di Noè era gratis, ma era prima dell'economia di mercato.
di Ferdinando Cotugno *
«Mugugnare», verbo intransitivo, derivato da mugugno – «brontolare, bofonchiare, borbottare per scontentezza, senza profondo e grave risentimento». Questa è la definizione della Treccani, tienila a mente, ci tornerà utile.
Quattro anni fa, per le vie di Glasgow, durante le due settimane di COP26, sfilarono centomila persone sotto il temporale. Molti erano arrivati in treno, attraversando l'Europa, c'era chi era arrivato dagli angoli più remoti del mondo, tutti portando con sé rabbia, inquietudine, ma anche speranza.
Tutti condividevano l'idea che ciò che accadeva nella conferenza ONU sul clima fosse rilevante, che meritasse attenzione. In fondo, anche la rabbia è una forma di attenzione. Tutto questo era tre autocrazie fa.