"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Questa riflessione è recentemente apparsa sulla rivista altoatesina-sudtirolese "Il Cristallo"
di Michele Nardelli
Prologo
E' la sera del 22 marzo scorso. Migliaia di persone affluiscono per un concerto al Crocus City Hall di Krasnogorsk, nella moderna periferia nord occidentale di Mosca, ignare che di lì a poco in quel luogo si sarebbe scatenato l'inferno. Qualche ora più tardi, sugli schermi di tutto il mondo, appariranno le immagini di un peraltro esiguo gruppo di terroristi che – incontrastati – sparano ad ogni cosa che si muove intorno a loro, entrano nell'immenso auditorium dove si dovrebbe svolgere il concerto (e dove dieci anni prima si era esibito Joe Cocker) e vi danno fuoco. Dalle immagini non sembra un commando particolarmente addestrato, questi uomini sembrano piuttosto avere l'aspetto dimesso e improvvisato di mercenari non certo animati da fanatismo religioso, non uno slogan, non una qualche simbologia, solo armi che uccidono a casaccio. Considerazione che trova conferma anche nei video delle stesse persone che fuggono con una piccola utilitaria e poi catturate il giorno successivo. Uno di loro, secondo le informazioni ufficiali, dirà che gli erano stati promessi 500 mila rubli, il corrispettivo di 5 mila euro. Come sappiamo la Federazione Russa era stata allertata per possibili attentati che avrebbero potuto colpire luoghi affollati e, ciò nonostante, la polizia interverrà solo ad azione terroristica compiuta. Senza bisogno di cadere nel complottismo, la vicenda puzza di bruciato. Fra le macerie annerite i corpi senza vita di oltre 140 persone, moltissimi i dispersi. Diverse centinaia i feriti.
Sono nata il ventuno a primavera
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
(Alda Merini da Vuoto d’amore, 1991)
nell'interpretazione di Milva (2004)
Pubblichiamo la prefazione alla traduzione italiana del rapporto di Greenpeace «Arming Europe» sugli effetti della spesa militare di Carlo Rovelli. L’ebook è scaricabile gratuitamente sul sito www.sbilanciamoci.info
di Carlo Rovelli *
Penso che ci troviamo su una china drammaticamente pericolosa. L’“Orologio dell’Apocalisse”, la valutazione periodica del rischio di catastrofe planetaria iniziata nel 1947 dagli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists, non ha mai indicato un livello di rischio alto come ora. Le tensioni internazionali sono cresciute bruscamente. Molti governi moltiplicano forsennatamente le spese militari. Si parla apertamente di una possibile guerra atomica. La demonizzazione reciproca si è impennata: nelle narrazioni di molti paesi, “gli altri” vengono dipinti come criminali pazzi e pericolosi, in perfetta simmetria.
C’era un tempo in cui i leader mondiali, da Clinton a Gorbaciov, da Mandela ai politici che hanno fermato la guerra civile in Irlanda, pensavano in termini di “risolvere i problemi senza spargere sangue”. Oggi i politici parlano in termini di “vincere e abbattere il nemico, non importa se costa spargere sangue”. Queste sono le parole che vengono pronunciate sempre più spesso a Washington come a Tel Aviv, a Mosca come a Berlino. Un esasperato nazionalismo si diffonde in vari paesi del mondo, dall’India agli Stati Uniti, e cresce ovunque. La catastrofe climatica è già in corso, e le contromisure che stavamo iniziando a prendere sono già state accantonate, messe in secondo piano dall’urgenza di litigare. Il mondo scivola inesorabilmente verso un’altra delle sue periodiche catastrofi: quando gli esseri umani si massacrano l’un l’altro, pieni di ardore, convinti da ogni parte di essere nel giusto, dalla parte del vero Dio, della Democrazia, della Santa Patria, tutti convinti che gli aggressori, i cattivi, siano gli altri.
di Federico Zappini *
Sono passati sei mesi dai feroci attacchi condotti da Hamas in alcuni kibbutz israeliani posti a nord della Striscia di Gaza. Le immagini di quelle ore, testimonianza di violenze efferate, ci hanno raggiunto lasciandoci sgomenti.
Un tale carico di violenza non ha impiegato molto ad attivare i suoi effetti nefasti. Nei centottanta giorni successivi, e anche ieri nella giornata in cui anche a Gaza terminava il periodo di Ramadan, davanti ai nostri occhi si è dispiegata la reazione militare dello Stato d’Israele su di un fazzoletto di terra (360 kmq di estensione, venti volte meno della provincia di Trento) nella forma di una sproporzionata azione militare che anche in questo caso ha visto come vittime ampiamente maggioritarie – tra le oltre 30.000 che contiamo fino ad ora – uomini, donne e bambini con nessuna altra “responsabilità” oltre a quella di essere nati e cresciuti in uno spicchio sbagliato del Mondo, tormentato da indicibili sofferenze senza un impegno sufficiente per cambiarne il destino e per intraprendere un percorso credibile di pacificazione e giustizia.
Oggi ci sono tristemente familiari – dopo anni di sguardo colpevolmente rivolto altrove – il posizionamento dei valichi di ingresso a Gaza (Erez a nord e Rafah verso l’Egitto), i nomi delle città che compongono la Striscia (le martoriate Gaza City e Khan Yunis su tutte) e degli ospedali bombardati (Al-Shifa), le storie delle organizzazione che più si sono spese in un contesto così difficile, come nel caso di World Central Kitchen che ha perso recentemente in un raid sette dei suoi operatori sul campo.
di Emilio Molinari *
(22 marzo 2024) L’odierna perdita di memoria lascia dei vuoti dentro i quali trova rifugio l’indifferenza per le catastrofi epocali che già viviamo… a pezzi.
Pensiamo alla guerra mondiale nucleare. È oggi fra le cose possibili, quasi scontata, anche se il nostro cervello non riesce a considerarla tale. Pensiamo alla crisi climatica e idrica. Direttamente o indirettamente, ne percepiamo la minaccia e la accantoniamo. Perché ci dice che le risorse, i Beni Comuni fondamentali alla vita – Aria, Acqua, Terra – si vanno degradando o esaurendo, in una parola vengono a mancare alla produzione di cibo e alle attività economiche.
Guerra e scarsità delle risorse strettamente combinate ci danno la dimensione dell’odierno contesto in cui viviamo. Entrambe ci chiedono un ribaltamento culturale nell’approccio ai nostri bisogni e al consumo delle risorse. E ci chiedono soprattutto una cultura della condivisione: nella loro gestione, nella loro distribuzione, nella loro proprietà, nella visione di una politica collettiva globale. Ci chiedono di guardare al mondo.
Le ACLI trentine in collaborazione con Italia Nostra propongono
MONTAGNA, AUTONOMIA, COMUNITÀ
Un percorso di conoscenza, consapevolezza e proposta sul valore dell’autogoverno delle terre alte
Montagna, Autonomia e Comunità rappresentano i tre lati di un unico triangolo al centro del quale c’è il futuro del Trentino. In questi ultimi anni abbiamo assistito alla fine di un ciclo lungo di sviluppo che aveva accompagnato la costruzione dell’edificio autonomistico e a cui era seguito l’avvio di una fase di tendenziale miglioramento delle condizioni relative allo sviluppo economico, sociale e culturale della nostra provincia. Questa fase espansiva si è conclusa con la parabola discendente della globalizzazione dei mercati, dell’emergere della cosiddetta economia di guerra e del declino dell’Occidente.
Emergono oggi nuovi problemi legati alla caduta di competitività della montagna che si accompagnano ai rischi dell’abbandono e dello spopolamento, ma anche dell’omologazione legata alla progressiva cancellazione dei segni identitari, all’inquinamento, alla cementificazione e allo spaesamento delle comunità originarie. Emergono inoltre le nuove sfide che riguardano le modificazioni climatiche che, dopo Vaia e la propagazione del bostrico, indicano la necessità di una riconciliazione del modello
di sviluppo con gli equilibri della natura.
Sostenibilità, riconversione ecologica dell’economia e un radicale cambiamento dei livelli di consumo delle risorse rappresentano le nuove sfide ed insieme le nuove opportunità per i territori di montagna. Sfide che potranno essere affrontate solo se accompagnate da un grande progetto di “ricostruzione” delle comunità locali, dal rilancio della cultura dell’autogoverno e del livello di responsabilità rispetto al futuro delle nuove generazioni. È in questo quadro e in questa prospettiva che è possibile è doveroso ragionare sul futuro dell’Autonomia trentina, questione che non può essere delegata ad una mera operazione di difesa istituzionale e finanziaria, ma che deve essere rilanciata con consapevolezza attraverso una nuova stagione di impegno partecipativo.
di Soheila Javaheri
Quando percepisco delle sbarre invisibili, mi batto. Sento che angoscia e timore stanno entrando sotto la mia pelle e per distinguermi da loro ho bisogno di prendere le misure delle sbarre, devo percepire la loro dimensione, la distanza da me. È così che è nato il diario di una lettera immaginaria a Gaza.
Io e Jane eravamo sedute in The Albion Bar 15, in una via che porta alla piazza delle panchine bianche e delle piante fresche ma finte, davanti alla Ex School of Art and Free Library of Dudley. “Ex” perché abbandonata da tempo, oltre che messa all’asta dal Comune da due anni per essere venduta e sostituita con degli appartamenti. Abbiamo parlato della Palestina e poi di questo spazio dentro il quale sembrava impossibile poter parlare di Palestina. Jane mi ha raccontato che nella chiesa che frequenta, una delle più aperte in zona, aveva sentito alle sue spalle una donna di mezza età che, maledicendo i manifestanti pro Palestina a Londra, brontolava su questi ingrati che brandiscono una bandiera dimenticando la storia. Io prendevo questo e altri pezzi di notizie e non sapevo cosa farne, sembravano le forme e i colori accumulati in una scacchiera per me impossibile da leggere e distinguere, elementi che in loro presenza non mi permettono di vivere in pace.