«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Federico Zappini
Socialismo o barbarie. Il celebre motto di Rosa Luxemburg risuona oggi con una pregnanza che impressiona. Non si tratta di nostalgia ideologica o di una provocazione. Il sistema neoliberista accumula macerie – crisi ricorrenti, premesse di collasso ecologico, moltiplicazione dei fronti di guerra a “normalizzazione” dell’instabilità globale – tanto da ostruire ogni proiezione verso destini desiderabili. Non stupisce che l’uso della forza diventi il linguaggio utilizzato per intervenire in ogni questione, geopolitica, economica o migratoria che sia.
È di fronte a questo quadro destabilizzato che dobbiamo collocare la questione cruciale del nostro tempo, ossia la sfida per la giustizia sociale. Al centro di questa sfida sta il tema delle povertà, vlutamente poste al plurale per descriverne la varietà di cause e conseguenze.
Non si scappa dai numeri
Non mancano i numeri per analizzare i contorni del fenomeno. Anzi, essi compongono ormai un doloroso rosario. L’ultimo rapporto in ordine di tempo è quello nel quale Caritas fotografa un aumento del 62% delle richieste di supporto nell’arco di dieci anni (2014/2024), intercettando nella prossimità dei propri centri l’ampliarsi delle fragilità che colpiscono famiglie e singoli, in particolare anziani o lavoratori poveri tra i 35 e i 50 anni. Si tratta della spia di una tendenza che attraversa la società italiana.
Ali Rashid, il mio amico Ali, mio fratello Ali, non è più fra noi. Il suo cuore malandato si è fermato, non ce l'ha fatta a reggere oltre il dolore di una terra, la Palestina, per la quale aveva speso una vita.
Qualche giorno fa Ali mi aveva inviato le immagini di un ulivo millenario che bruciava da ore alimentato dal vento, anch'esso vittima designata della tragedia che si andava consumando nella Mezzaluna fertile per togliere di mezzo, con il genocidio della sua gente, anche le tracce della sua storia.
Quell'immagine rappresentava, non so quanto inconsapevolmente, il suo ultimo atroce messaggio, un editoriale senza parole perché tutte quelle possibili erano già state consumate. Il mio dolore è grande, caro Ali, alleviato solo dall'immaginare che il tuo corpo stanco ha finalmente trovato pace.
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Riporto la riflessione che Ali scrisse mesi fa di fronte al nuovo tragico capitolo di una guerra infinita nella sua terra.
Eppure una volta eravamo fratelli.
di Ali Rashid
(un numero insopportabile di morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.
Vivono in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.
Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.
Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.
di Giorgio Cavallo *
È’ iniziato il percorso di discesa per le modifiche costituzionali allo Statuto di autonomia del Friuli-Venezia Giulia. Mancano due passaggi parlamentari che non sembrano avere ostacoli se permane la stabilità politica attuale.
Per la verità il nodo della identificazione delle “aree vaste” elettive, nelle loro dimensioni (vecchie Province?), accanto a quello delle competenze e della legge elettorale non sarà un passaggio semplice nella sua evidente connessione con la fine incerta dell’era Fedriga. Quello che era stato pensato come una furbata decisiva per la stabilizzazione di un quadro politico indiscutibile può risolversi proprio nel suo inverso.
Pur con fatica, si cominciano ad intravvedere dei segnali che invitano a riflettere non solo sulla riorganizzazione degli enti locali ma proprio sull’adeguatezza della struttura regionale nell’affrontare le varie tempeste che l’attualità ci propone. Dalla geo politica alla stagnazione economica per arrivare alla crisi ambientale ed al crollo demografico. In termini di consenso, per un po’ continueranno a dominare le paure verso le immigrazioni ed i vari crimini, ma le carte possono rimescolarsi. Ed allora la domanda “a cosa serve la regione autonoma” potrà anche essere dilaniante.
Cari amici,
“Dio mio, Dio mio, perché ti abbiamo abbandonato?”. Questo rovesciamento del Salmo 22 sarebbe, come ci viene suggerito, la preghiera più appropriata a questo punto della storia umana: dovrebbe essere unanime, oltre ogni distinzione tra credenti e non credenti, perché dopo Francesco l’umanità non può che essere riconosciuta come una cosa sola, amata nella sua integrità, non condannata ad essere divisa tra “benedizione” e “maledizione” secondo la sorte che ne ha preconizzato Netanyahu all’ONU.
Tanto più questa unità si impone, quando nel pieno del genocidio di Gaza, compare la bomba più grande del mondo, che non ha neanche bisogno di essere nucleare per soggiogare e mettere a repentaglio la terra; una bomba che eventualmente, bontà sua, può cancellare il Cremlino, la piazza della Pace celeste a Pechino o il “Berlaymont” di Bruxelles, mentre provoca l’ovvia ritorsione dell’Iran. Allusivamente si chiama B2 (Bibi) Spirit, ispirata al patto d’acciaio che unisce il Pio Torturatore (in preghiera al Muro del Pianto) e il grande Mentitore che assicura due settimane di attesa mentre i suoi bombardieri sono già in volo senza scalo. Non c’è pietà, mentre il diritto, più che trasgredito, è oltraggiato, e la volontà di morte, che papa Francesco nelle sue ultime parole del messaggio di Pasqua sperava si rovesciasse in una umanità risorta, dilaga nel mondo.
L'intervento andava sottoposto a Vas e Vinca. CAI Alto Adige, Dachverband für Natur-und Umweltschutz, Lipu e Mountain Wilderness: basta impianti sciistici ad alta quota in aree già estremamente sofferenti per i cambiamenti climatici
Il Tar di Bolzano, con la sentenza n. 176 del 17.06.2025, accoglie il ricorso delle associazioni ambientaliste CAI Alto Adige, Dachverband für Natur-und Umweltschutz, Lipu e Mountain Wilderness che avevano chiesto di annullare la delibera della Giunta provinciale del 5 marzo 2024, che autorizzava l’ampliamento del comprensorio sciistico della Val Senales. Questo ampliamento avrebbe provocato gravi danni ad un’area alpina caratterizzata da maestose morene, laghi e una natura ancora nella maggior parte incontaminata.
La delibera della Provincia autonoma di Bolzano aveva approvato il progetto di ampliamento in Val Senales a 3000 m di quota circa, che prevedeva la realizzazione di una seggiovia a 6 posti, per una lunghezza dell’impianto di risalita di circa 1 km, di una stazione a valle e una a monte, oltre a nuove piste di circa 2,6 ettari, in un’area tutelata dal Piano Paesaggistico del Comune di Senales classificata “zona rocciosa-ghiacciaio”. Si tratta infatti di una zona di transizione alpina - subalpina, che si trova all’interno dell’area sensibile dell’Hochjoch, in gran parte priva di vegetazione ed il cui paesaggio è caratterizzato da imponenti campi morenici.
Il Premio Nobel Giorgio Parisi, le politologhe Donatella della Porta e Nadia Urbinati, il farmacologo Silvio Garattini, lo storico dell’arte Salvatore Settis sono tra i 40 promotori di quest’appello che invita a votare per i 5 referendum su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno 2025.
Siamo in un mondo segnato da instabilità e conflitti, siamo in un’Italia in declino, tra crisi economiche e fragilità sociale. L’incertezza sul futuro condiziona la nostra vita e colpisce in particolare le generazioni più giovani. Le regole che ci diamo, tuttavia, sono lo strumento che abbiamo per ridurre quest’insicurezza.
Negli ultimi anni le condizioni di incertezza e precarietà sono state aggravate anche da alcune politiche che regolano la nostra vita e il nostro lavoro. Diventare cittadini italiani è diventato più difficile per chi è di origine straniera. Le tutele del lavoro sono state ridotte, con effetti negativi sulla qualità dell’occupazione, sui salari, sulle disparità tra uomini e donne, sulla sicurezza sul lavoro. Politiche di questo tipo hanno alimentato la sfiducia, allontanato le persone dalla politica, aggravato la crisi della democrazia. Non è una deriva inevitabile. Le regole e le politiche possono essere cambiate per dare più protezione a chi vive e lavora in Italia.
di Tomaso Montanari *
Mio Dio, prendi tutto | e lasciaci vicino al nostro mare
qui | vicino alle tombe dei nostri cari | qui | e alle nostre case qui.
Non ci assentiamo, | rimarremo vicini.
Prendici se vuoi… lasciaci se vuoi | quando vuoi, come vuoi
non siamo lontani dall’occhio del tuo cuore |oppure…,
oh, Dio, | sii la nostra muraglia:
non sfuggiremo, quando scenderà la notte, | alla nostra morte.
Mai come in questo 2 giugno 2025 ci sente remoti da una Repubblica che dovrebbe ripudiare la guerra, ma ancora festeggia la sua Costituzione facendo sfilare i carri armati sulla via fascista dell’impero coloniale. Se il linguaggio tronfio e grottesco del potere appare di questi tempi ancora più ripugnante, è quello della poesia a restituirci dignità.
Perché, come scrive Franco Marcoaldi nella sua ultima, mirabile raccolta poetica (Una parola ancora, Einaudi): “L’unica cosa buona dell’assoluto | caos in cui siamo finiti | è la misera fine dei pigri | cliché dei tempi andati: il Bene, | il Male, la Patria, l’Occidente. | Parole passe-partout che ormai | non aprono piú niente. Parole | cieche, sorde, disossate. Buone | soltanto per tornei, marce, | caroselli, ridicole parate”. Semmai qualcosa è capace di ridare un senso a quelle parole vuote non si trova certo dalle parti della ripugnante parata del 2 giugno, no. Ma semmai a Gaza: dove il Male è visibile, a occhio nudo. E dove perfino la parola ‘patria’ può recuperare un senso.