"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Una canoa piena di buchi

C'è vita al campo di Jasenovac,

di Ferdinando Cotugno *

Ho aspettato un po', prima di scrivere quest'ultimo dispaccio di Areale da COP28 a Dubai. È successo tutto di mattina, in pochissimo tempo. Sono arrivato alle 8, alle 10 era già storia. Dopo trecento ore di negoziati è bastato praticamente un minuto e il Global Stocktake è stato approvato, c'è stato un lungo applauso, tutti hanno iniziato a correre, ho corso anche io, mi sono trovato davanti all'inviato cinese per il clima Xie Zhenhua che abbracciava il ministro danese dell'ambiente Dan Jørgensen, e la COP era già finita. È strano come le cose della vita durino tanto e poi finiscano all'improvviso. È andata, è finita, l'astronave del multilateralismo per affrontare i cambiamenti climatici è atterrata anche quest'anno, dopo una serie di turbolenze molto violente. Mi sono preso tempo per far scendere tutto, ho camminato un po' avanti e indietro mentre qui si smantellava tutto, poi mi hanno detto di sbrigarmi, perché tra due ore l'Expo di Dubai non sarà più suolo ONU e verrà restituito agli Emirati, quindi questo ultimo dispaccio è scritto col cuore in gola, prima di essere cacciato. Questo è l'ultimo episodio di Areale da COP28, cominciamo.

Trentaquattro parole

Tanti mi hanno chiesto: beh? Abbiamo vinto? Abbiamo perso? Io rispondo: abbiamo assistito alla storia, ed è una storia che siamo chiamati a decodificare, digerire e applicare. La conferenza sul clima più controversa ha portato al primo accordo esplicito sui combustibili fossili da quando esiste il processo multilaterale per affrontare i cambiamenti climatici. Oh. Ecco. Da oggi è un fatto condiviso, potremmo dire ufficiale, che il clima è un problema di combustibili fossili, che si risolve partendo dai combustibili fossili.

Prima di stamattina lo dicevano gli scienziati, lo dicevano i movimenti, era una verità fattuale trattata come una posizione di parte. Da oggi il fatto che il clima sia un problema di combustibili fossili è invece un patrimonio di tutte le parti, e di tutti i paesi della comunità umana. È così che inizia la fine di petrolio, gas e carbone. Sarà un finale lungo, diluito, contraddittorio, pieno di rebound, come ogni dipendenza. Ma è iniziato stamattina. Oggi abbiamo fatto la cosa che ogni persona dipendente da qualcosa deve fare per smettere: dirsi, abbiamo un problema, ho un problema. Ed è iniziato sotto la guida di un paese produttore di petrolio e gas. Lo ha sottolineato lo stesso al Jaber: «È un risultato storico». Può legittimamente rivendicare di essere il primo a esserci riuscito da quando esistono le COP.

Le parole decisive sono trentaquattro, nel testo in inglese. Sono le trentaquattro parole più importanti del mondo, oggi. È il paragrafo del Global Stocktake sulle fonti fossili di energia. Trentaquattro parole col potenziale di cambiare il corso della civiltà umana. Non ci sono quelle più attese, né le migliori possibili. Nel testo non si parla di phase out, cioè di «eliminazione», nonostante il fronte di oltre 120 nazioni costruito dall'Unione Europea nelle ultime, convulse ore.

La formulazione è meno netta, ma dietro queste parole c'è il consenso di tutti i paesi della Terra, compresi i produttori di petrolio e gas.

«Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science».1

Appuntale, trascrivile, anche se non sono le parole perfette, perché ora sono parole che ti appartengono. Contando anche il preambolo, la COP28 ci dice che per una riduzione delle emissioni in linea con il contenimento delle temperature entro 1.5°C, le parti hanno concordato di allontanarsi dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in un modo che sia giusto, ordinato ed equo, accelerando l'azione in questo decennio critico, in modo da arrivare allo zero netto nel 2050, come richiesto dalla scienza.Uno dei punti migliori di questo documento è quello sui tempi: non c'è più solo una vaga e pericolosa formulazione sul 2050, come nelle prime bozze, quelle molto amichevoli con i petrolieri, ma l'accento a intervenire nel corso di questo decennio «critico», come chiesto dalla comunità scientifica per non sprecare l'ultima finestra di opportunità per contenere la crisi climatica entro limiti gestibili.

Le trentaquattro parole prodotte con enorme fatica a Dubai sull'allontanarsi velocemente dai combustibili fossili ora sono un patrimonio di tutta l'umanità, sono la richiesta di tutti i paesi, compresi quelli produttori di combustibili fossili. Il punto non è lo scarso valore legale di questo testo, ma il suo immenso peso politico. Finora le nazioni erano riuscite a trovare un'intesa solo sul «cosa fare» (contenere l'aumento delle temperature) ma mai sul «come farlo», mai in modo così preciso e in linea con la scienza. Ciao, elefante nella stanza, benvenuto alle COP. Bello vederti. Iniziare a smettere di affidarsi alle fonti fossili già questo decennio non è più solo la richiesta ragionata degli scienziati o quella disperata di Greta Thunberg o Ultima generazione, ma l'intenzione condivisa pubblicamente da tutte le nazioni. Quelle trentaquattro parole sono uno strumento politico che avrà bisogno di politici bravi e politiche brave. Da solo, non serve a niente. Ma ora è in mano tua, vostra, nostra.

Per questo erano nervosi

È questo che rende ciò che è successo nella plenaria di COP28 a Dubai storico, nonostante la formulazione sia linguisticamente debole e non ci sia niente di immediatamente applicabile nel testo. Da stamattina ogni forza politica che chiede una strategia energetica non fossile può rivendicare che dietro quella richiesta c'è un consenso scritto di tutti i paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti, la Cina, l'Arabia Saudita o il Qatar. È il motivo per cui l'industria oil and gas era così nervosa per questa COP28, per questo ha mandato migliaia di lobbisti ed esperti di pubbliche relazioni, per questo ha investito milioni di dollari in campagne pubblicitarie mirate durante l'evento, per questo c'erano le pubblicità di Exxon dappertutto a Dubai: per evitare esattamente quello che è successo questa mattina.

Le conferenze sul clima erano nate trent'anni fa per tradurre in azione politica la conoscenza scientifica. Oggi la COP28 ha mandato un messaggio politico esplicito, ora sta a chiunque faccia politica, a qualsiasi livello, tradurlo sul piano delle policy concrete. Sono i nostri compiti a casa, i nostri nuovi argomenti, la nostra missione. Lo erano già, ma oggi hanno un peso completamente diverso. Possiamo iniziare a chiamarla: crisi dei combustibili fossili. È successo nel paese del petrolio e del gas, ma è successo anche nell'anno più caldo mai affrontato dalla civiltà umana. È successo, e non si può più tornare indietro.

Non tutto è andato bene, chiaro. Quello di Dubai è un accordo contraddittorio e imperfetto, come inevitabile che fosse. Riconosce l'importanza di accelerare su tecnologie a zero o basse emissioni, tra cui rinnovabili, idrogeno, nucleare e cattura e stoccaggio della CO2. Quest'ultima è una vittoria dei produttori di petrolio e gas, anche se il testo ne riconosce l'utilità solo nei settori in cui è più difficile abbattere le emissioni, per limitarne un uso indiscriminato (e su questa precisazione si vede il peso dell'Europa).

Un'altra vittoria del fronte delle fossili è il riconoscimento al ruolo che i combustibili di transizione possono giocare nella transizione per assicurare la sicurezza energetica. È una scappatoia pericolosa, è il punto peggiore dell'accordo, dall'ottica della mitigazione. Ma anche qui, rieccoti il bicchiere mezzo pieno: la COP28 ha sfatato la mistificazione più grande: l'idea che per fare la transizione basti aggiungere GW di rinnovabili. Quello serve, ma non è sufficiente. Bisogna aggiungere GW di rinnovabili e allontanarsi dai combustibili fossili. L'idea di mangiare casatiello tutti i giorni ha iniziato a essere smantellata.

Una canoa piena di buchi

«Quella multilaterale è il tipo di politica più difficile che ci sia», ha detto l'inviato per il clima degli Stati Uniti John Kerry nella plenaria finale. «Tutti tornano a casa scontenti di qualcosa, di un paragrafo o una parola, ma un messaggio politico è stato mandato». Il primo orizzonte in cui far atterrare le intenzioni dell'accordo siglato a Dubai sono gli NDC (nationally determined contribution), gli impegni che i paesi devono aggiornare entro il 2025, come previsto dall'accordo di Parigi. Finora erano stati insufficienti sia nell'intenzione che nell'applicazione. L'urgenza che si respirava a questa COP veniva proprio da qui: la crisi climatica sembra sempre più un collasso, e con gli NDC presi finora la traiettoria di aumento delle temperature viaggia verso +3°C. Da lì deriva ogni altra politica nazionale: trasporti, riscaldamento, elettricità, industria.
Ogni paese, «secondo le diverse circostanze nazionali», sarà chiamato a mettere obiettivi più ambiziosi in ogni settore. È lì che si vedrà quanto il messaggio politico di COP28 sarà stato convincente e condiviso.

Piccole precisazioni a margine: a differenza di alcune interpretazioni apparse nel dibattito italiano, COP28 non mette sullo stesso piano nucleare e rinnovabili. L'atomo è presente come opzione net zero legittima, sulle rinnovabili c'è invece un impegno a triplicarle globalmente in sei anni, raddoppiando l'efficienza energetica. Sono pesi e livelli completamente diversi. Nota a margine del margine: mentre questo accordo storico veniva applaudito dai ministri di tutto il mondo (ed Europa), il nostro, Pichetto Fratin, pubblicava su Instagram una sua foto con una racchetta da ping pong in mano. Ognuno fa le scelte che ritiene di fare, ma l'Italia vista da Dubai è un paese piccolo e periferico, pericoloso perché ignorante, provinciale, perso nelle sue mono-manie. Ma questa è l'acqua, oggi.

Questa COP28 ci ha insegnato che si può fare politica per salvarsi la vita, con quel tipo di urgenza, di partecipazione, con i nervi scoperti e avendo tutto sul piatto, eppure negoziando, che si può stare dentro i processi con tutto quello che si ha in corpo e nella testa senza farli saltare, costruire alleanze tra diversi, tra le economie, i continenti, i mondi. Non è il miglior accordo, forse nemmeno il miglior accordo possibile, ma è un accordo reale, e noi possiamo vivere, prosperare, cambiare, avere un impatto solo sul piano della realtà.

Faremo con quello che avremo. Continuiamo a essere in pericolo dentro un mondo pericoloso, ma abbiamo degli strumenti politici nuovi e un orizzonte diverso. Qualunque sia la tua dimensione politica, ricordati di quelle trentaquattro parole. Sono il tuo mandato. La sintesi migliore, come spesso è capitato in queste due settimane, l'hanno trovata i delegati delle Marshall Island: «Eravamo venuti fin qui per costruire una canoa, ne abbiamo una piena di buchi, ma dobbiamo metterla in acqua, perché non abbiamo nessun'altra opzione». Metterla in acqua e navigare. Loro sono i migliori navigatori del mondo, non hanno alternativa che fidarsi, a questo punto non possiamo che fidarci anche noi, della politica, della democrazia, del multilateralismo, degli strumenti imperfetti e limitati con i quali ci troviamo ad agire e fare politica contro forze, eventi e risorse più grandi di noi.

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Hey, è finita, grazie. Non riesco nemmeno a cominciare a esprimere la gratitudine per il fatto di non essermi mai sentito solo, durante queste due settimane, lavoro imperfetto ma comunitario, nell'ansia, la fretta, l'eccitazione, il bisogno di capire, l'abnorme sovrastimolazione, la bellezza della condivisione, di avere lettrici e lettori, di non essere solo, di non essere soli. Ci sarà tempo per digerire tutto, per parlarci, per elaborare, per affrontare i numeri, i dati, le conseguenze, le implicazioni.

Questa è la newsletter di un giornale, se vuoi bene ad Areale, vuoi bene a Domani. Se ci tieni ad Areale, ci tieni a Domani, che mi ha mandato qui per due settimane in una delle città più care del mondo, libero di scrivere quello che vedevo, trovavo, capivo, senza nessuna limitazione se non fosse il mio tentativo di avvicinarmi a una comprensione e una verità e un interesse pubblico e condiviso. Se vuoi farmi un regalo, dopo queste trecento ore in giro, valuta se ti va di abbonarti a Domani, un giornale che è sempre pieno di cose, o di regalare a qualcuno un abbonamento a Domani, perché Areale esiste perché esiste la comunità di Domani. Non so dirti, davvero, quanto te ne sarei grato. Sarebbe un modo per iniziare a costruire COP29 insieme.

Il fatto politico più importante di oggi, 13 dicembre, a Dubai, è che il futuro esiste ancora.



* Areale da COP28 finisce qui, una delle canzoni che ho ascoltato più spesso nelle cuffiette mentre facevo i chilometri su e giù qui o cercavo di concentrarmi per scriverti è Redemption Song, che è una canzone di Bob Marley, ma che io ascolto sempre con la voce di Joe Strummer. «Won't you help to sing / These songs of freedom? / 'Cause all I ever have / Redemption songs».

1«Uscire dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l'azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza».

 

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