"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Nei giorni scorsi è stato lanciato un appello al Sindaco di Roma per riconsiderare simboli e toponomastica del colonialismo italiano che segnano innumerevoli luoghi pubblici di Roma. Un analogo appello è stato rivolto al Presidente della Regione Lazio. L'iniziativa prende il via dopo la pubblicazione del libro "Roma coloniale" di Silvano Falocco e Carlo Boumis (Edizioni Le Commari, 2022) e ha suscitato un dibattito pubblico tutt'altro che banale. Sappiamo bene come i simboli rappresentino molto spesso ferite aperte che andrebbero innanzitutto riconosciute, elaborate, storicizzate, sanate. Pensiamo a come il tema della toponomastica rappresenti una questione aperta e divisiva nel vicino Sid Tirolo - Alto Adige, una terra oggetto di occupazione coloniale da parte dello Stato italiano e del suo tragico ventennio fascista. In realtà in ogni città e comune abbiamo a che fare con i segni del fascismo o delle conquiste della follia imperiale: monumenti, edifici, strade e piazze che ricordano questo passato inglorioso o personaggi che, a scavare poi nemmeno molto, erano figure ignobili o generali che hanno massacrato e mandato al massacro tanta povera gente. Senza dimenticare che tutto questo coinvolge anche storie famigliari che spesso preferiamo rimuovere. Non si propone di cancellare questo passato, ma di considerarlo per quello che è stato, affinché diventi occasione per un percorso di rivisitazione critica della storia. Roma si è proposta di farlo a partire da un libro che a riaperto pagine spesso dimenticate e altrimenti destinate all'oblio. Personalmente parlo spesso della necessità di elaborare il Novecento. Pensiamoci, ma ci sarebbe lavoro per tutti. Anche nelle nostre prossimità. L'Appello che qui viene riportato, insomma, ci riguarda. Potremmo iniziare con il firmarlo, aderendovi, aggiungendo un vostro commento, scrivendo sulla mia pagina di facebook. (m.n.)
Lettera appello al Sindaco d Roma Roberto Gualtieri – Roma capitale
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La nostra città, ancora oggi, custodisce centinaia di tracce del feroce colonialismo italiano, celebrato attraverso piazze, vie, viali, larghi, ponti, lapidi, busti e palazzi la cui presenza muta permette di continuare a godere del senso di superiorità imperiale di cui sono intrisi.
Una vera e propria odonomastica coloniale che fa di Roma, con oltre 140 odonimi, il luogo d’Italia maggiormente connotato da quell’esperienza storica.
Come Lei ben sa, anche per il contributo essenziale delle seconde generazioni, è sorto ovunque, nel nostro paese, un movimento di “de-colonizzazione dello sguardo” che, nelle città, chiede di assegnare un significato nuovo, veritiero e più giusto, a quelle tracce, perché oggi é impossibile continuare a vedere statue, monumenti o vie intrise di storia coloniale in modo innocente, acritico.
Un primo intervento ha portato il Consiglio Comunale di Roma Capitale, il 4 agosto 2020, ad approvare una mozione per intitolare la fermata della metro C non all’Amba Aradam - luogo di una battaglia feroce che vide l’uccisione di migliaia di etiopi per mano dell'esercito e dell'aviazione italiana con l’uso di gas tossici – ma a Giorgio Marincola, partigiano nato in Somalia, legato al Partito d'Azione e ucciso in Val di Fiemme nel maggio del 1945.
di Giuliano Muzio
(Luglio 2022) La Festa dell’Unità di Nomi è ormai diventata una tradizione consolidata per il Trentino. Giunta alla sua 73° edizione, da tempo non si cura del fatto che il giornale da cui ha preso il nome non esista più, ma, grazie agli sforzi di una comunità che trova proprio nella festa un suo momento di coesione e rinnovamento, ha proseguito le sue attività con l’intento di offrire momenti di svago e di socialità, nel solco delle tradizioni ideali che l’hanno generata.
Quest’anno si trattava di riprendere dopo la forzata sosta pandemica e, purtroppo, di registrare il triste ritorno della guerra in Europa. Per questo, nel consueto momento di socialità della domenica mattina, solitamente dedicato ai canti corali della Resistenza, stavolta si è voluto parlare di Europa e si è deciso di farlo con Michele Nardelli che da anni, in modo tanto autorevole quanto originale, affronta il tema partendo da una prospettiva storica e culturale. È stato un bel modo di confrontarsi, ripercorrendo i passaggi storici che ci hanno portato alla situazione attuale. Constatando che hanno radici profonde, quasi millenarie, spesso ignorate, più o meno volutamente.
Ogni 31 maggio a Prijedor si commemora la brutale pulizia etnica del 1992. Uno sguardo da vicino su questa cittadina europea, che rimane profondamente ferita
di Edvard Cucek
Trent’anni fa una giunta militare guidata dai serbo-bosniaci prese il potere in tutta la municipalità di Prijedor (Bosnia nord-occidentale) dopo aver rovesciato il governo legalmente eletto alle prime elezioni democratiche della Bosnia Erzegovina indipendente. Ai cittadini non serbi della municipalità di Prijedor venne imposto di segnare le proprie case con un lenzuolo bianco e quando uscivano di casa di indossare sul braccio una fascia bianca. Fu il primo passo verso la pulizia etnica che si scatenò di lì a poco… Questa è la storia.
È una storia che parla di tre campi di concentramento nella zona di Prijedor: Keraterm, Omarska e Trnopolje. Civili uccisi 3176, di cui 256 donne e 102 bambini. I dati non sono definitivi. Definitivo è che per il momento quelle persone non hanno una dignità nemmeno da morti. Una lapide. Un monumento. Un posto dove poter lasciare i fiori almeno quando i resti della vittima non sono ancora stati identificati e sepolti. Il 31 maggio di ogni anno, partendo dal 2012, quelli che hanno subito questa tragedia commemorano questa data. I sopravvissuti ricordano i loro morti. Gli altri dicono che non è mai successo e negano. Da dieci anni ormai le autorità serbe locali cercano di ostacolare qualsiasi processo che potrebbe portare finalmente alla condivisione della memoria e a una riconciliazione così auspicata. Una pace giusta.
Ormai ci siamo. Venerdì 27 maggio 2022 prende il via la tre giorni che Slow Food regionale ha deciso di dedicare al tema delle Terre Alte (e che segna una sorta di nostro contributo in vista dell'edizione di Terra Madre che si svolgerà a Torino nel mese di settembre). Fra gli altri volevo segnalarvi questi appuntamenti:
- venerdì 27 maggio alle ore 18.00, presso il salone della Bookique, in via San Martino 29 a Trento, il confronto di apertura sul tema "Ecosistemi e nuove geografie. Per un forum permanente delle Terre Alte. Dopo un mio breve intervento iniziale sono previsti i contributi di Franco Farinelli, già presidente Associazione Geografi Italiani, Università di Bologna (da remoto); Ugo Morelli, professore scienze cognitive applicate al paesaggio, Università di Bergamo; Marta Villa, antropologa, Università di Trento; Raoul Tiraboschi, vicepresidente di Slow Food Italia. Alcuni produttori porteranno la loro esperienza: Ala Azadkia, portavoce Comunità Slow Food dei produttori e co-produttori Zafferano di Qa’en; Graziella Bernardini: portavoce Comunità Slow Food per lo sviluppo agroculturale degli Altipiani Cimbri; Oskar Messner, coordinatore Slow Travel Val di Funes (da remoto);
In terra di Spagna: paesaggi fisici ed umani.
Attese, solitudini, perdite personali e storiche. Condivisioni. Questi i lineamenti del viaggio.
Un viaggio affrontato con stati d’animo diversi da parte dei vari viaggiatori, ciascuno dotato di personale bagaglio, di vita vissuta e di attese.
di Micaela Bertoldi
al-Andalus. Il ritorno
Al-Andalus: che mondo è mai questo?
Fine di epoche, di sogni e di eroi,
fine di amori perduti
strappati dalla risacca del tempo
Nostalgia di un passato
di ciò che è stato e non c’è più
di chi c’è stato e non è più
... questo mi dice a Cordoba
la splendida moschea,
questo ripete la fiera Granada
con le sue vie in salita
con la volta stellata
dei più antichi bagni arabi
questo evoca la voce di Garcia Lorca
dalla sua casa natale e
altrettanto riecheggia nella fenditura
di roccia dell’orrido naturale a Ronda
dove bocche di leone color lillà
s’aggrappano con forza: per resistere.
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Dopo circa quattro mesi dall’inizio della guerra in Ucraina proponiamo una serie di brevi riflessioni
che riteniamo utili sia di fronte alla congiuntura attuale che in una prospettiva futura.
1. Innanzitutto, per non ripetere gli errori del passato, va preso atto come questa guerra dimostri – se mai ce ne fosse bisogno – che la pace si costruisce, prima di tutto, coltivandola quotidianamente e costantemente. Nessuna guerra ha un inizio improvviso ed imprevisto. Di conseguenza stupisce che alcune istituzioni internazionali (l’ONU e l’Unione Europea in particolare) si siano rivelate incapaci di presidiare, monitorare e, dove necessario, intervenire (in termini diplomatici e di interposizione a tutela dei civili) ben prima che le fratture diventassero insanabili. Non possiamo sempre occuparci dell’oggi, ignorando cosa è successo ieri. Altrimenti domani saremo daccapo.
Slow Food Trentino Alto Adige vi dà appuntamento dal 27 al 29 maggio – a Trento e alle Viote del Bondone, per una tre giorni dedicata alle Terre Alte. SCOPRI IL PROGRAMMA COMPLETO
L’iniziativa è ricca di appuntamenti e stimoli diversi: dal Mercato della Terra ai Laboratori del Gusto a incontri dedicati alla riflessione sul futuro di questo ecosistema e su come possa essere protagonista di una diffusa e capillare rigenerazione.
Terre Alte è il titolo dell’iniziativa. E i suoi protagonisti sono gli artigiani del cibo buono pulito e giusto, i cuochi, le associazioni e i numerosi attivisti che si impegnano per il bene della montagna.
Perché parlare di Terre Alte è necessario?
Quando nel 2020 con Terra Madre abbiamo avviato il ragionamento sugli ecosistemi lo abbiamo fatto con l’obiettivo di immaginare nuove geografie attraverso cui ridisegnare il pianeta comprendendone complessità e interdipendenze. E per interrogarci sulla crisi che tutti gli ecosistemi stanno attraversando e sulle possibilità di rigenerazione per ognuno di essi.