«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
Atto d’accusa di Ferrandi: «Tanta retorica e memorie contrapposte». "Trentino", 30 giugno 2016
di Elena Baiguera Beltrami *
Che significato può avere oggi il volto tumefatto di Gavrilo Princip, stampigliato sulla bicicletta di un ragazzo bosniaco? Il Che Guevara dei Balcani? Per chi? E soprattutto perché? Nazionalismi che covano ancora sotto le ceneri del secolo breve, iniziato nel 1914 con un conflitto mondiale a Sarajevo e tramontato tra il 1992 e il 1995 di nuovo con l’assedio di Sarajevo?
Era il 28 giugno del 1914 e con il gesto omicida del giovane serbo-bosniaco Gavrilo Princip, nei confronti dell’arciduca Francesco Ferdinando e della arciduchessa Sofia, si accende la miccia del conflitto che manderà in frantumi l’impero austroungarico e condannerà l’Europa ad una carneficina di 16 milioni di morti, più di 20 milioni di feriti e mutilati, tra militari e civili.
Oggi, a 102 anni da quella immensa tragedia, sopra il sogno di una Europa unita, torna a soffiare il vento delle divisioni e dei nazionalismi sul fuoco di nuove povertà, degli ideali traditi, delle migrazioni percepite come minacce al proprio benessere e al proprio status. Difficile però affacciarsi a questo scenario senza capire ciò che è appena passato, senza una “inchiesta” sul 900, definito il secolo con più perdite di vite umane della storia dell’uomo, che possa fornire la chiave per riconoscere le matrici dell’odio prima che si materializzino in ideologie e si coagulino in pensiero collettivo.
Ci ha provato martedì sera, all’ex Convento degli Agostiniani di vicolo S. Marco a Trento, l’associazione “territoriali#europei”, affrontando una indagine sul ’900 moderata da Michele Nardelli, con l’ausilio di tre autorevoli intellettuali: Giuseppe Ferrandi direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino, Bozidan Stanisic scrittore bosniaco e Marcello Flores storico del Novecento e docente all’Università di Siena.
Sabato 28 maggio 2016 il Forum trentino per la pace e i diritti umani, UISP, Centro Astalli, ATAS onlus e Fondazione Museo Storico del Trentino, nell'ambito del progetto UISP "Passi: montagne da attraversare", vi invitano a una passeggiata di condivisione e racconti sul tema dei conflitti e dei confini, dalle montagne trentine alle storie di terre lontane.
La partenza è prevista alle 9.30 per quelli che intendono arrivare a Cadine con i mezzi pubblici (ritrovo presso la statua di Dante in Piazza Dante). Per quelli che preferiscono i mezzi propri, ci si trova direttamente a Cadine al Parcheggio "Fer de Caval" alle ore 10.00.
La giornata prevede: giro del Sorasass in mattinata, pranzo al sacco e visita guidata al Forte di Cadine nel primo pomeriggio.
Accompagna e interviene: Michele Nardelli.
Vi aspettiamo!!
Per maggiori info: http://www.uisp.it/trento/index.php?idArea=654&contentId=736
Il 28 dicembre del 1908, alle 5 e 21 del mattino, un evento sismico di enormi proporzioni si abbatte sulle città di Messina e di Reggio Calabria. I sismografi nemmeno riescono a registrare l'entità precisa della scossa, così forte da farne impazzire i pennini. Lo tsunami e gli incendi che ne seguono faranno il resto. Alla fine il conto delle vittime sarà disastroso: oltre 90 mila morti, metà della popolazione di Messina e un terzo di quella di Reggio. Qualcuno ha scritto che si trattò di un presagio di quel secolo, il Novecento, che con le sue guerre seminò ovunque morte e dolore.
La ricostruzione della tragedia attraverso un documentario della RAI
https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=qoiEZ0CRCOo
1955 - 2015, il sessantesimo anniversario della "Conferenza di Messina"
Quattro giorni di celebrazioni, conferenze, dibattiti per celebrare il sessantesimo anniversario della Conferenza di Messina e per riflettere sull'Europa (e sul Mediterraneo) del nostro tempo.
La conferenza di Messina si tenne nel 1955, dal 1º al 3 giugno. Fu una riunione interministeriale dei sei stati membri della CECA. Parteciparono alla conferenza i ministri degli esteri dei sei paesi.
La conferenza, iniziata in un clima non particolarmente felice per la recente bocciatura da parte del Parlamento francese dell'accordo sulla CED (Comunità europea di difesa), proseguì non senza qualche difficoltà nei primi due giorni dei lavori, ma sorprendentemente il terzo giorno, alla conclusione della conferenza venne resa nota quella che viene conosciuta come "dichiarazione di Messina" (ovvero Risoluzione di Messina), attraverso la quale i sei paesi enunciavano una serie di principi e di intenti volti alla creazione della Comunità Europea dell'energia atomica (o Euratom) e di quella che diverrà, nel volgere di due anni con la firma dei Trattati di Roma del 1957, il Mercato Europeo Comune (MEC, poi CEE e quindi Unione europea).
Spesso nei momenti difficili dei rapporti tra gli stati membri dell'Unione Europea è stato volto lo sguardo e l'attenzione verso quello spirito, lo spirito di Messina, che animò la conferenza ed i padri fondatori della Comunità Europea che a quella conferenza parteciparono.
Oggi, l’Unione Europea ha bisogno di un nuovo slancio, di affrontare le nuove sfide che la storia ha posto sul suo cammino. Soprattutto, ha bisogno di ripensarsi, partendo dalle sue radici culturali che affondano nel bacino del Mediterraneo con tutte le sue contraddizioni, ma anche con la sua storia millenaria.
(30 aprile 2015) Con la conquista di Saigon da parte del Fronte di liberazione nazionale si concludeva quarant'anni fa una delle pagine più tragiche del Novecento, la guerra del Vietnam.
Il 30 aprile 1975 ebbe fine una guerra durata quindici anni i cui numeri, per quanto approssimativi, ci possono aiutare a comprenderne la dimensione:
- più di sette milioni fra morti e feriti, 4 milioni i civili morti e più di un milione i combattenti vietnamiti;
- sul Vietnam sono stati usati più esplosivi di quelli usati su tutti i fronti durante la Seconda guerra mondiale, oltre un’enorme quantità di armi e defolianti chimici;
- tre milioni saranno i soldati americani che si sono alternati in Vietnam, 58.226 vennero uccisi in azione o classificati come dispersi in combattimento, 303.704 soldati furono i feriti;
(25 aprile 2015) Il 4 ottobre 2009, in occasione del 65° anniversario della strage di Marzabotto, Massimo Cacciari tenne una orazione che ho pensato di riprendere come riflessione in questo giorno a ricordo della liberazione.
di Massimo Cacciari
Buongiorno a tutti, ai miei colleghi e a voi e un ringraziamento in particolare al Sindaco di Marzabotto che mi ha onorato con questo invito. Ho riflettuto al significato che poteva avere questo invito e ho pensato che si dovesse a un’idea, che io sia in grado di aiutare un po’ tutti, me per primo, a riflettere su questa strage, sull’evento tragico che ha colpito questi luoghi.
È un giorno di ricordo e di pianto, perché i morti, soprattutto i morti ammazzati in questo modo, si piangono. Però c’è lacrima e lacrima. Ci sono lacrime che offuscano lo sguardo, che confondono, che impediscono di vedere, e ci sono le lacrime che tengono l’occhio sgombro, pulito, e che fanno vedere meglio. E dobbiamo piangere così. E così hanno pianto gli amici e i colleghi che mi hanno preceduto.
Di quale crimine parliamo? Perché è essenziale chiedercelo. È evidente che non si tratta di omicidi, o di semplici omicidi di massa. L’omicidio colpisce l’individuo. L’omicidio è qualcosa di facilmente definibile e determinabile. È un atto che colpisce una persona o un insieme di persone. Qui non siamo di fronte ad un omicidio, lo comprendiamo subito, non è una questione semplicemente quantitativa. Può esserci anche un omicidio di cento persone, di duecento persone, di mille persone, se si intende colpire l’individuo. Qui no. Qui anzitutto sono degli omicidi che sono avvenuti su un teatro, in un teatro, all’interno di una guerra. Sono allora crimini di guerra? Si tratta di crimini di guerra? No, perché il crimine di guerra, così come è definito anche nel diritto di guerra – perché, ahimé, vi è anche un terribile, tremendo, diritto di guerra, che le comunità internazionali hanno sempre riconosciuto, riconoscendo con ciò che la guerra è in qualche modo inevitabile… Vi è un diritto di guerra. Ma ci troviamo di fronte ad un crimine che offende il diritto di guerra? Il diritto di guerra regola i rapporti tra eserciti, regola il modo in cui vengono trattati i prigionieri. Qui noi ci troviamo di fronte sì a una guerra, ma non alla violazione del diritto di guerra, non ad un crimine di guerra.
di Michele Nardelli
(14 aprile 2015) Decine di conferenze, incontri, interventi scritti: ho ripetuto fin quasi alla noia che le celebrazioni per il centenario dell'inizio della prima guerra mondiale avrebbero potuto diventare l'occasione per elaborare le tragedie del secolo breve, affinché l'elaborazione di ciò che è accaduto nel Novecento ci mettesse al riparo dal ripetersi di quegli orrori.
Così non è stato e probabilmente non sarà. Non ci predisponiamo ad imparare, questo è il problema. Il nostro sguardo distratto sorvola, preferisce non fare i conti con il dolore della storia, nemmeno quella a noi più vicina. Oppure dar credito ai luoghi comuni, al sentito dire, alle fanfare che ci raccontano quel che vogliamo sentirci dire. In realtà non siamo mai stati così ignoranti.