«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
«Tempi interessanti» (76)
(11 febbraio 2018) Il dovere di far tesoro del passato affinché possiamo imparare dalla storia ha un nemico forse ancora più subdolo del “negazionismo”: l'ipocrisia e la retorica. Per questo non amo le celebrazioni e tanto meno le “giornate internazionali” della memoria. ... L'olocausto, le leggi razziali, i sistemi concentrazionari non sono stati un incidente della storia, sono invece l'esito di culture e di politiche (oltre che di interessi) che hanno profondamente segnato il Novecento, quel tempo degli assassini che – contrariamente a quel che afferma il ministro Minniti – non è affatto morto e nemmeno adeguatamente elaborato...
Joze Pirjevec
Foibe
Una storia d'Italia
Einaudi, 2009
«Il crollo dell'Italia nel settembre del 1943 e quello del Terzo Reich nel maggio 1945 ebbero nella Venezia Giulia contraccolpi ben diversi dal resto del Paese. In questa regione mistilingue, oggetto di contesa dal 1948 da parte delle etnie conviventi, si verificò un drammatico capovolgimento dei ruoli: i padroni di lingua italiana, che dopo l'8 settembre avevano collaborato con i tedeschi per salvare il salvabile, si trovarono fra i vinti. Gli s'ciavi, come erano detti con spregio gli sloveni e i croati, erano i vincitori. Per di più comunisti. In questa situazione colma di tensioni etniche, sociali e ideologiche si scatenò una violenta resa dei conti con deportazioni ed esecuzioni sommarie di nemici veri o presunti, molto sbrigativamente sepolti nelle voragini carsiche delle "foibe"».
Finalmente anche in Trentino avrete l'occasione per vedere il film del secolo
SARAJEVO REWIND 2014>1914
di e con Simone Malavolti e Eric Gobetti
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=xLP2hnNSKn8&t=5s
Martedì 28 novembre 2017, alle ore 20,30 alla presenza di Simone Malavolti, presso Centro per la Cooperazione Internazionale, Vicolo di San Marco 1 a Trento.
Eric Gobetti
Alleati del nemico
L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941 – 1943)
Editori Laterza, 2013
«Negli anni cruciali della seconda guerra mondiale, l'Italia fascista impegna enormi risorse militari, diplomatiche, economiche e propagandistiche per imporre il suo dominio su circa un terzo dell'intero territorio jugoslavo. E' una parabola breve, in cui però si condensa tutta la pochezza dell'impero di Mussolini: dai sogni di dominio sui Balcani nella primavera del 1941 al senso di sconfitta nell'estate del 1943. Efficacemente osteggiati dei partigiani di Tito, gli occupanti stringono ambigue alleanze con diverse realtà collaborazioniste, contribuendo a scatenare una feroce guerra civile. Vittime e carnefici al tempo stesso, i soldati del regio esercito combattono con pochi mezzi e scarse motivazioni ideali, costretti a vivere mesi e mesi in condizioni estreme, vinti dalla noia, dalla paura, dall'abbandono e, in fondo, anche dal fascino del ribelle».
Per una serie di ragioni ho aspettato che se ne andassero le giornate della memoria e del ricordo per pubblicare questa proposta di lettura.
di Ugo Morelli *
«Sii minimalista. Aiuta una persona. Solo una. Puoi sempre farlo. Fallo adesso». Così conclude il suo libro sulla memoria il direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz, Piotr M. A. Cywinski. Viene da ascoltarlo non solo come antidoto alla retorica, nemica dell’assunzione diretta ed effettiva della responsabilità; ma anche come proposta di partire da ognuno di noi per comprendere quali vincoli e quali possibilità incontriamo quando ci confrontiamo con le differenze.
Siamo in un’epoca in cui i diritti universali sono messi in discussione per il ritorno da ogni lato della predominanza dei diritti particolari; ogni voce che ragioni di una società egualitaria tace o al massimo sussurra inascoltata; non riusciamo a prevedere e ad affermare effettivamente il rispetto delle differenze, di ogni differenza, rischiando ad ogni momento di alimentare nuovi capri espiatori.
In ricordo di Ottorino Bressanini
di Michele Nardelli
Paolo Burli mi chiama mentre sono a Roma nel quartiere Ostiense, poco prima di incontrare lo scrittore Eraldo Affinati nell'ambito del mio (e ora di tanti altri) “Viaggio nella solitudine della politica”. Mi dice che Ottorino Bressanini è alla fine del suo percorso e che sarà questione di giorni. Improvvisamente un'infinità di immagini mi si affollano per la mente come se lungo il percorso di una vita ciascuno dei nostri momenti d'incontro avesse rappresentato un'occasione perduta per dirci qualcosa di più o per scambiarci un gesto di amicizia.
Avevo saputo dell'insorgere della sua malattia poco meno di un anno fa, a Baitoni di Bondone, in occasione della festa dello Spi Cgil dove mi avevano invitato con Paul Renner e Vincenzo Passerini a parlare della guerra mondiale in corso e che quotidianamente rimuoviamo. Nello sconcerto dei tanti amici e compagni presenti quel giorno e che qualche anno prima avevano dovuto salutare Milena Demozzi, dirigente della Cgil del Trentino e compagna di Ottorino, anche lei portata via a soli 52 anni da un tumore.
Dopo di allora avevo rivisto Ottorino una sola volta e i segni della malattia già iniziava a portarseli addosso. Ma sfuggiva via, come a non voler parlare di sé, lasciandomi l'impressione che già si fosse rassegnato come a voler considerare conclusa la propria vicenda.
«Tempi interessanti» (57)
... In quei giorni incontrai per un breve saluto il comandante in capo, nella sua tradizionale divisa militare. La rivoluzione cubana e il terzomondismo avevano rappresentato per la mia generazione un punto di riferimento nella lotta contro l'imperialismo e dunque l'emozione per quella stretta di mano e per quello scambio di parole era forte. Avevo di fronte a me l'eroe della rivoluzione che aveva osato sfidare l'imperialismo nordamericano, il compagno di Ernesto Guevara che pure aveva scelto altre strade lontano da Cuba, il personaggio che aveva dato corpo al sogno di milioni di esseri umani dimostrando che in fondo la scalata al cielo non era impossibile. Eppure Fidel Castro mi sembrò già allora il simbolo di una storia che stava per finire...