"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Storia

E allora le foibe?
La prima di copertina del libro

Eric Gobetti

E allora le foibe?

Edizioni Laterza, 2020



Per anni ho cercato di affrontare la tragedia che si è consumata nel corso del Novecento in quell'incrocio particolare di storie, culture, popolazioni che è – a seconda degli sguardi – il confine nord orientale, oppure quello nord occidentale, l'Alto Adriatico, la soglia dei Balcani o il limes fra latinità, slavismo e mondo tedesco, rifuggendo da letture manichee e nazionaliste.

E bene fa Eric Gobetti nel suo “E allora le foibe” uscito nelle scorse settimane a proporre come incipit del suo lavoro la necessità di rivedere i concetti che sin qui sono prevalsi nella lettura di quegli avvenimenti (e più in generale nella vecchia geografia politica), a cominciare da quello di “stato-nazione” rivelatosi tanto perverso da segnare tragicamente il secolo che così disinvoltamente quanto sbrigativamente ci siamo messi alle spalle.

Soprattutto per chi ha avuto in sorte di nascere lungo quel limes, è difficile prescindere da quell'intreccio (o meglio sarebbe dire da quell'ingorgo) identitario, fra improbabili radici nazionali, anagrafi storpiate, toponomastiche piegate al volere del potere di turno, appartenenze e narrazioni ossessive.

Nella mia terzietà, ho cercato di non eludere il conflitto, parlandone senza cadere nella vulgata spesso retorica delle parti, gettando ponti quasi sempre non voluti e poco apprezzati, iscrivendo gli avvenimenti nel contesto storico e geopolitico in cui si è consumata questa complessa vicenda, dando credito per quanto possibile alla verità dei fatti e riconoscendo il dolore di ciascuno. Avvalendomi del prezioso lavoro di chi, con analogo approccio e ben maggiore capacità di ricostruzione storica, ha dedicato alla vicenda di cui stiamo parlando una parte significativa del proprio impegno.

 

 

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La memoria di sé. Un racconto della città di Trento e dei suoi cambiamenti nell'ultima frazione di secondo
Kapla

di Michele Nardelli

Se considerassimo il calendario geologico, scala di grandezza in cui l'intera storia della Terra viene compressa nell'arco di un anno – esercizio che dovremmo considerare per avere un atteggiamento rispettoso verso il pianeta e la natura nonché per comprendere la limitatezza delle nostre esistenze – l'ultimo secondo di questa simulazione corrisponderebbe a centoquarantaquattro anni.

Non preoccupatevi, non intendo prendere in considerazione quest'ultimo secondo e pertanto tornare alla città di Trento del 1875, anche se averne memoria non sarebbe affatto inutile. Saremmo già, a ben vedere, nella città asburgica e alle principali scelte urbanistiche che daranno corpo nei decenni successivi alla Trento moderna, a cominciare dallo spostamento dal centro della città del corso del fiume Adige (1858).

 

Viaggio di studio in Bosnia-Erzegovina. Alle radici delle memorie d'Europa
Mostar

Dal 18 settembre al 23 settembre 2019 si svolge un nuovo viaggio di formazione in Bosnia Erzegovina rivolto agli insegnanti dell'Emilia Romagna. Il cuore del percorso formativo è dedicato a quanto accaduto nella regione balcanica alla fine del Novecento e a quel che quegli avvenimenti avrebbero potuto insegnarci.

ll percorso formativo è promosso dall'Istituto storico di Modena in collaborazione con la Rete dei Musei storici dell'Emilia Romagna e dall'Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna. Ad accompagnare il viaggio Michele Nardelli.

I limiti della storia (occidentale) e l'avanzare delle altre storie
Schiavismo in America

di Simone Casalini

L’omicidio di George Floyd, soffocato a Minneapolis da un poliziotto bianco, grano di un rosario di violenza «statale» senza fine, ha ridestato il mondo (Trento e Bolzano comprese, con partecipate manifestazioni di piazza) al tema del razzismo quando questo sembrava ormai sdoganato nella forma proteiforme e ambigua della politica contemporanea. Otto minuti e 46 secondi di filmato, il tempo dell’agonia di Floyd pressato dal ginocchio dell’agente Derek Chavin (con un pedigree di 18 denunce per violenza in 19 anni di servizio), reo di aver pagato con una banconota contestata da 20 dollari un pacchetto di sigarette, hanno segnato un principio di smottamento nella coscienza di un Paese, gli Stati Uniti, a cui non sono serviti due mandati del primo presidente afro-americano (Barak Obama) per rimuovere il razzismo di Stato, e più in generale nell’Occidente che ha malcelato le ombre sanguinarie della sua storia, che poi è la Storia. Addirittura scatenando un’ondata iconoclasta e una revisione di giudizio (non revisionismo) su alcuni personaggi di questa Storia universale, ampiamente compromessi dal fenomeno coloniale.

Il problema, però, è proprio questo. Schiavismo e colonialismo — la cui eredità s’incunea fino ai nostri lidi sociali — sono dispositivi che non hanno lasciato colpe né giudizi storici né memoriali e nemmeno statue per le vittime.

La Banda del Matese
La prima di copertina del libro

Bruno Tomasiello

La Banda del Matese

1876 - 1878

I documenti, le testimonianze, la stampa dell'epoca

Galzerano Editore, 2009

 

«Spinto dagli ideali internazionalisti e fiducioso della "propaganda del fatto", il piccolo gruppo di rivoluzionari, dopo uno scontro a fuoco con i carabinieri a San Lupo, domenica 8 aprile 1877, a Letino e Gallo, sulle montagne del Matese, occupò il Municipio, bruciò gli archivi comunali, distrusse i contatori dei mulini e, in nome della Rivoluzione Sociale, dichiarò decaduto il re Vittorio Emanuele II».

A distanza di 130 anni la ricerca di Bruno Tomasiello fa riemergere dall'oblio episodi e testimonianze archivistiche e giornalistiche, opere e documenti interessantissimi, rendendoli vivi e comprensibili , contribuendo ad una maggiore conoscenza di questo episodio storico, troppo spesso dimenticato dalla storiografia ufficiale, che ha proiettato i piccoli comuni di San Lupo, Letino e Gallo nella storia dell'anarchia e del socialismo italiano e internazionale.

Il Giorno del Ricordo come strumento per cancellare le memorie degli altri
Esodo giuliano dalmato

di Roberto Spagnoli *

Il 10 febbraio si celebra il “Giorno del ricordo” istituito nel 2004 per conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra, e della più complessa vicenda del confine orientale».

Purtroppo ogni anno il 10 febbraio viene preso in ostaggio da forze politiche a cui non interessa rinnovare la memoria della complessa vicenda del confine orientale ma solo usare in maniera strumentale la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo. Del resto una sorta di “peccato originale” è insito nella stessa legge che ha istituito questa solennità dove si parla “dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre”. Quelle terre, tuttavia, non erano soltanto loro.

Cinquant'anni fa. Per ricordare e riflettere
Praga, 21 agosto 1968

di Michele Nardelli

(20 agosto 2018) Cinquant'anni. E' passato mezzo secolo da quella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968 in cui i carri armati fecero irruzione in Cecoslovacchia e invasero le strade di Praga.

Ne ho un ricordo nitido, malgrado fossi poco più che un bambino. Con mio fratello Carlo nella nostra stanza alle Camalghe il piccolo transistor era sintonizzato sulle frequenze di Radio Praga e fu proprio in quei momenti, passata la mezzanotte, che venne lanciato il disperato appello affinché la Primavera non venisse soffocata.

Sappiamo che la storia andò in altro modo e che dovettero passare altri vent'anni per la fine di quella dittatura. Ed ero a Praga in quel 29 dicembre 1989 quando Vaclav Havel parlò alla folla dei manifestanti dalle finestre del Forum civico che di lì a poco l'accompagnarono al Castello in veste di presidente dell'allora Cecoslovacchia.

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