"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Quinto Antonelli
Storia intima della grande guerra
Lettere, diari e memorie dei soldati al fronte
Donzelli Editore, 2014
Con il dvd del film di Enrico Verra "Scemi di guerra"
Questo libro non è per noi. Siamo degli intrusi noi che oggi sbirciamo tra le lettere e i diari dei soldati. I loro testi erano infatti parte di una comunicazione intima, chiusa all'interno della cerchia famigliare. Se gli ufficiali colti, quando scrivono alla famiglia, scrivono un po' anche per i posteri, chi scrive queste pagine è per lo più un soldato subalterno (che prima di essere chiamato alla guerra faceva l'operaio, il contadino, l'artigiano), con l'unica ambizione di rivolgersi ai suoi famigliari, per difendere quel ponte comunicativo che il conflitto rischia di interrmpere: «Ti raccomando di scrivermi presto onde potermi rallegrare un poco, perché la mia vita di trincea è peggiore a quella dei nostri porci».
Si tratta di una ricchissima documentazione (che quasi sempre si sttrae alle norme ortografiche e sintattiche, e per questo può sembrare ingovernabile) raccolta presso il Museo storico del Trentino, e a lungo esclusa dal racconto nazionale, in quanto considerata marginale, se non conflittuale: gli autori sono infatti "tutti" gli italiani, anche quelli che un secolo fa erano sudditi dell'Austria: trentini, giuliani, triestini.
Reportage Chernobyl
L'atomo e la vanga. La scienza e la terra
Le storie non le cerchi, sono loro a trovarti. È sempre così. Chernobyl è una storia dimenticata. Del destino delle persone che hanno vissuto e subito le conseguenze dell'incidente si sa molto poco. Eppure Chernobyl è una perfetta metafora del mondo che ci circonda, del rapporto spesso perverso che abbiamo con la tecnologia, della disinformazione di cui siamo vittime rispetto ai grandi disastri ambientali, del rapporto bulimico che stringe le società occidentali con l'energia. Ne consumiamo sempre di più, per il soddisfacimento di quelli che riteniamo essere i nostri bisogni inalienabili, trascurando spesso l'impatto che questi hanno sullo stato di salute del pianeta. Ma Chernobyl è soprattutto la lucida realtà del rapporto antico tra l'uomo e la scienza o, per dirla con le parole di uno dei testimoni della tragedia: tra l'atomo e la vanga.
Ieri 9 maggio, giorno dell'Europa, è stata riaperta dopo molti anni di ristrutturazione, la Vijećnica, la Biblioteca Nazionale di Sarajevo, che venne distrutta dell'agosto del 1992 all'inizio dell'assedio di quella città. E' un avvenimento importante, non solo per la città di Sarajevo ma per ogni cittadino europeo, o almeno così dovrebbe essere. Per ricordare questa tragedia, vi voglio riproporre il capitolo “La neve nera” tratto dal libro “Le stelle che stanno giù” (Edizioni Spartaco) di Azra Nuhefendić, corrispondente di Osservatorio Balcani Caucaso.
di Azra Nuhefendić
La Vijećnica è il simbolo della distruzione di Sarajevo e della Bosnia Erzegovina. Custodiva, prima della guerra, un milione e mezzo di libri, tra i quali 155.000 esemplari rari e preziosi e 478 manoscritti. Era l'unico archivio nazionale di tutti i periodici pubblicati in, o sulla Bosnia Erzegovina. Dopo tre giorni di rogo, dalla Biblioteca bruciata sono rimasti solo lo scheletro di mattoni e dieci tonnellate di cenere.
"Una grande catastrofe culturale", cosi il Consiglio di Europa ha definito la distruzione della Biblioteca Nazionale di Sarajevo. "La pazzia visibile", così il quotidiano inglese "The Times" intitolava l'articolo sulla devastazione della Vijećnica.
Il 25 agosto 1992, poco dopo la mezzanotte, i nazionalisti serbi spararono le prime bombe incendiarie sulla Vijećnica dalle colline che circondano la città. La Biblioteca Nazionale fu bombardata per tre giornate intere. La precisione dei lanci non lasciava dubbio che il bersaglio fosse proprio la Vijećnica.
(10 maggio 2014) Quando, in quei giorni di fine agosto del 1992, venne incendiata la Vijećnica, la Biblioteca nazionale di Sarajevo, l'Europa volse il suo sguardo altrove. Non solo i potenti, sia chiaro, anche i cittadini europei - che evidentemente ancora non lo erano (e non lo sono) - pensarono che quella cosa non li riguardasse più di tanto.
Come avvenne per i successivi tre anni e mezzo, quello che accadeva di là del mare non li turbava affatto, chiusi nei propri luoghi comuni che descrivevano quella tragedia come l'ennesimo capitolo della ferocia tipica di quella gente, guerre etniche e arcaiche – si diceva – che nemmeno il quotidiano stillicidio di morte riusciva a turbare più di tanto.
Presentazione del libro "Trento nelle guerre d'Europa e d'Italia nella seconda metà del XV secolo. L'origine del lanzichenecchi".
Michele Nardelli in dialogo con l'autore Francesco Prezzi
(20 aprile 2014) Rubin Carter se ne è andato. Nel 1975 Bob Dylan dedicò una canzone alla storia del peso medio ingiustamente accusato d'omicidio che era in carcere da alcuni anni. "Mi sono vergognato di vivere in un paese dove la giustizia è un gioco" cantava Dylan. Ecco la canzone, la traduzione e il testo originale.
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=hr8Wn1Mwwwk
Colpi di pistola risuonano nel bar notturno
Pistol shots ring out in the barroom night
entra Patty Valentine dal ballatoio
Enter Patty Valentine from the upper hall.
vede il barista in una pozza di sangue
She sees the bartender in a pool of blood,
grida "Mio Dio! Li hanno uccisi tutti!"
Cries out, "My God, they killed them all!"
Ecco la storia di "Hurricane"
Here comes the story of the Hurricane,
l'uomo che le autorità incolparono
The man the authorities came to blame
per qualcosa che non aveva mai fatto
For somethin' that he never done.
lo misero in prigione ma un tempo egli sarebbe potuto diventare
Put in a prison cell, but one time he could-a been
il campione del mondo
The champion of the world.
Sono passati 36 anni dal rapimento e dall'assassinio di Aldo Moro e degli agenti della sua scorta. Pagine di storia da riscrivere su un decennio di grandi cambiamenti infranti dal piombo.
(23 marzo 2014) Enrico Rossi parla di una lettera scritta da uno dei due passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del rapimento. "Dipendevo dal colonnello Guglielmi"
"Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul sellino posteriore dell'Honda in via Fani quando fu rapito Moro. Diede riscontri per arrivare all'altro. Dovevano proteggere le Br da ogni disturbo. Dipendevano dal colonnello del Sismi che era lì". Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione, racconta così all'ANSA la sua inchiesta.
La lettera, racconta Rossi, iniziava così: "Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Camillo Guglielmi (l'ufficiale del Sismi che si trovava in via Fani all'ora della strage, ndr), con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente...".