"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Nell'ambito della tradizionale (quest'anno si svolge la settantatreesima edizione) Festa dell'Unità di Nomi (2-3-4-5 giugno 2022), domenica 5 giugno alle ore 11.00 una conversazione del titolo "Dialogo sull'Europa" con Michele Nardelli.
Sarà l'occasione per parlare della guerra in Ucraina, di un'Europa politica stretta fra globalizzazione e sovranismi, di un'Europa che nasce nel Mediterraneo e allergica ai confini, dell'intreccio di crisi che mettono in discussione il futuro dell'umanità.
Ogni 31 maggio a Prijedor si commemora la brutale pulizia etnica del 1992. Uno sguardo da vicino su questa cittadina europea, che rimane profondamente ferita
di Edvard Cucek
Trent’anni fa una giunta militare guidata dai serbo-bosniaci prese il potere in tutta la municipalità di Prijedor (Bosnia nord-occidentale) dopo aver rovesciato il governo legalmente eletto alle prime elezioni democratiche della Bosnia Erzegovina indipendente. Ai cittadini non serbi della municipalità di Prijedor venne imposto di segnare le proprie case con un lenzuolo bianco e quando uscivano di casa di indossare sul braccio una fascia bianca. Fu il primo passo verso la pulizia etnica che si scatenò di lì a poco… Questa è la storia.
È una storia che parla di tre campi di concentramento nella zona di Prijedor: Keraterm, Omarska e Trnopolje. Civili uccisi 3176, di cui 256 donne e 102 bambini. I dati non sono definitivi. Definitivo è che per il momento quelle persone non hanno una dignità nemmeno da morti. Una lapide. Un monumento. Un posto dove poter lasciare i fiori almeno quando i resti della vittima non sono ancora stati identificati e sepolti. Il 31 maggio di ogni anno, partendo dal 2012, quelli che hanno subito questa tragedia commemorano questa data. I sopravvissuti ricordano i loro morti. Gli altri dicono che non è mai successo e negano. Da dieci anni ormai le autorità serbe locali cercano di ostacolare qualsiasi processo che potrebbe portare finalmente alla condivisione della memoria e a una riconciliazione così auspicata. Una pace giusta.
Un rito che ripetiamo. Un rito che abbiamo fattodiventare punto fermo, ricordo, grido di ribellione. Un rito che vuole tenere vivi nomi dimenticati, persone uccise e gettate in un angolo della memoria.
Ci saremo anche quest’anno per la Giornata Internazionale delle Fasce Bianche. Saremo come sempre in silenzio. Saremo come sempre in un luogo pubblico. Saremo come ogni anno fermi. Reciteremo i nomi di quei 102 bimbi morti in una guerra senza senso, nella Bosnia così lontana nel tempo e nella memoria. Avranno i nomi dei bambini morti in silenzio–senza ricordo–nelle guerre in Siria, nello Yemen, in uno di 34 luoghi dove si combatte. Avranno, quest’anno, anche i nomi dei bambini ucraini uccisi dalla criminale
aggressione russa.
In terra di Spagna: paesaggi fisici ed umani.
Attese, solitudini, perdite personali e storiche. Condivisioni. Questi i lineamenti del viaggio.
Un viaggio affrontato con stati d’animo diversi da parte dei vari viaggiatori, ciascuno dotato di personale bagaglio, di vita vissuta e di attese.
di Micaela Bertoldi
al-Andalus. Il ritorno
Al-Andalus: che mondo è mai questo?
Fine di epoche, di sogni e di eroi,
fine di amori perduti
strappati dalla risacca del tempo
Nostalgia di un passato
di ciò che è stato e non c’è più
di chi c’è stato e non è più
... questo mi dice a Cordoba
la splendida moschea,
questo ripete la fiera Granada
con le sue vie in salita
con la volta stellata
dei più antichi bagni arabi
questo evoca la voce di Garcia Lorca
dalla sua casa natale e
altrettanto riecheggia nella fenditura
di roccia dell’orrido naturale a Ronda
dove bocche di leone color lillà
s’aggrappano con forza: per resistere.
«Tempi interessanti» (122)
Quello che segue è il testo di un appello presentato a Trento da un folto gruppo di persone espressione della società civile della nostra regione, dal quale è nato un "Cantiere di Pace" al lavoro da metà di aprile.
In questo momento così tragico per la guerra in corso in Ucraina e denso di incognite per le sorti dell'umanità, noi vogliamo guardare al futuro e scegliamo di preparare la pace. Siamo consapevoli che si tratta della strada più difficile, perché si scontra con il paradigma degli antichi (si vis pacem para bellum) che poi è rimasto lo stesso dei moderni, perché l'attitudine alla guerra ha accompagnato la vicenda umana e perché questo ci richiede di fare i conti con la parte più inconfessabile della nostra natura. Ma è anche l'unica strada/possibilità se intendiamo dare un futuro all'umanità.
***
Dopo circa quattro mesi dall’inizio della guerra in Ucraina proponiamo una serie di brevi riflessioni
che riteniamo utili sia di fronte alla congiuntura attuale che in una prospettiva futura.
1. Innanzitutto, per non ripetere gli errori del passato, va preso atto come questa guerra dimostri – se mai ce ne fosse bisogno – che la pace si costruisce, prima di tutto, coltivandola quotidianamente e costantemente. Nessuna guerra ha un inizio improvviso ed imprevisto. Di conseguenza stupisce che alcune istituzioni internazionali (l’ONU e l’Unione Europea in particolare) si siano rivelate incapaci di presidiare, monitorare e, dove necessario, intervenire (in termini diplomatici e di interposizione a tutela dei civili) ben prima che le fratture diventassero insanabili. Non possiamo sempre occuparci dell’oggi, ignorando cosa è successo ieri. Altrimenti domani saremo daccapo.
Caro Professore caro,
ti scrivo, ancora una volta.
Questa lettera veleggerà nell’aria fino a raggiungerti nel silenzio dell’universo dove sei approdato. Non posso ignorare il morso di dolore che stringe lo stomaco, al pensiero della morte nonostante la tua lunga complicata vita.
Di recente ho attraversato le dolenti spiagge dell’abbandono della persona amata ed ora il saluto che devo rivolgere a te acuisce il solco della perdita. Delle varie perdite, che si sommano a mano a mano che si devono salutare i volti di quanti hanno intercettato i nostri passi e con cui si sono condivisi pensieri e speranze.
Nel tuo romanzo “Il petalo giallo”1 hai messo in campo lo scambio di lettere tra i personaggi della storia narrata, ribadendo che le lettere collegano, spiegano, fanno affiorare il rimosso, illuminano, aiutano. Tra i protagonisti, Igor a Magda, un tempo le lettere erano state “un dono, di una creatura accorta ma sognatrice e infantile, che l’aveva aiutato a ritornare nel mondo degli esseri umani”, perché l’invio di missive in qualche caso permette di ricucire gli strappi della vita.
Forse anche fra noi, pur in piccola misura, i messaggi scambiati hanno lenito momenti di solitudine. Leggendo le tue narrazioni, ho intercettato tante domande ed è forse da qui che ha preso il via la nostra corrispondenza, fatta di cartoline e di lettere, scritte a mano o battute a macchina, come facevi solitamente, secondo antica usanza. Per questo oggi ti scrivo e, col tuo permesso, condivido pubblicamente alcuni argomenti di cui abbiamo discusso da lontano.
Spero che altri possano raccogliere il testimone e proseguire allargando il cerchio del dialogo intrapreso.
Un abbraccio denso di affetto.
Micaela